Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 11 febbraio 2016, n. 5710
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 3/9/2015 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LIBEREATI Giovanni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 settembre 2015 il Tribunale di Napoli ha respinto l’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti della ordinanza del 6 luglio 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che aveva respinto l’istanza dello stesso (OMISSIS) (indagato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1, 2 e 3) di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, anche con le modalita’ di controllo prescritte dall’articolo 275 bis codice procedura penale.
Il Tribunale di Napoli, nel respingere l’impugnazione, ha richiamato la propria precedente decisione del 26 gennaio 2015, di rigetto della analoga impugnazione proposta dallo stesso (OMISSIS) nei confronti della ordinanza del 20 novembre 2014 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, di rigetto di identica istanza del ricorrente (di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in comune diverso da quello di Napoli), sottolineando la gravita’ del quadro indiziario e l’esistenza di un pericolo concreto ed attuale di recidivanza, desunto non dal mero titolo di reato, ma dalla gravita’ dei fatti contestati e dallo specifico modus operandi del (OMISSIS), sintomatico del suo pieno inserimento nel sodalizio criminale diretto da (OMISSIS) e del suo ruolo partecipativo in tale organizzazione.
Quanto alla attualita’ del pericolo di reiterazione delle condotte, il Tribunale ne ha evidenziato la sussistenza, sulla base del rilievo che la condotta illecita oggetto della imputazione si era protratta per un arco di tempo ampio fino ad epoca recente. Il Tribunale ha, al riguardo, escluso la portata scagionante, o comunque riduttiva del periodo di partecipazione del ricorrente alla associazione criminale, delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) al Pubblico Ministero (di cui era stato prodotto il verbale nel corso dell’udienza innanzi al Giudice per le indagini preliminari), in considerazione della loro genericita’ e non incompatibilita’ con i gravi indizi esistenti nei confronti del (OMISSIS), ribadendo la persistenza di un grave pericolo di reiterazione, anche in considerazione della natura associativa del reato contestato all’indagato.
Ha poi escluso la idoneita’ di altre misure meno afflittive a salvaguardare le rilevate esigenze cautelari, pur tenendo conto della disponibilita’ dichiarata dal ricorrente ad indossare il dispositivo di controllo a distanza (cd. braccialetto elettronico), in considerazione del mancato superamento della presunzione di idoneita’ della misura della custodia in carcere derivante dal titolo di reato contestato al ricorrente.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, mediante il suo difensore, affidato ad un unico motivo.
Ha denunciato mancanza di motivazione (articolo 606 codice procedura penale, lettera e)), in relazione agli articoli 274 e 275 codice procedura penale, per l’assenza di una nuova valutazione delle esigenze cautelari originariamente ravvisate, soprattutto quando alla concretezza e attualita’ delle esigenze attinenti al pericolo di recidiva, come richiesto dalla Legge n. 47 del 2015, sottolineando la presenza di un elemento nuovo rispetto a quanto esistente al momento dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, costituito dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS) al Pubblico Ministero nel corso dell’udienza preliminare (che aveva riconosciuto il ricorrente nella foto numero 13, attribuendogli il nomignolo di “(OMISSIS)”, dichiarando di aver saputo che fino a quando era stato libero il ricorrente faceva il becchino; successivamente, mentre era in carcere, aveva saputo, da tale (OMISSIS), che il (OMISSIS) si occupava di stupefacenti). Tali dichiarazioni avrebbero consentito di ridurre l’eventuale partecipazione al reato associativo contestato al ricorrente esclusivamente all’anno (OMISSIS), essendo lo stesso stato arrestato nel 2014, con la conseguenza che cio’ avrebbe dovuto escludere la pervicacia e la ostinazione nella commissione di reati da parte del ricorrente evidenziata dal Tribunale e posta a fondamento del rigetto della sua istanza di sostituzione della misura cautelare.
Ha, inoltre, censurato l’ordinanza richiamata per la violazione del principio di gradualita’ nell’individuazione delle misure cautelari da applicare, anche alla luce del disposto dell’articolo 275 codice procedura penale, comma 3 bis non essendo state indicate le specifiche ragioni che rendevano inidonea la misura degli arresti domiciliari con la cautela del cosiddetto braccialetto elettronico, tenendo conto anche della circostanza che era stata richiesta l’esecuzione della misura in localita’ lontana da quelle del commesso reato (il Comune di (OMISSIS)).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile, in ragione della genericita’ dell’unico motivo cui e’ stato affidato.
1. Il Tribunale di Napoli, nel disattendere l’appello dell’indagato, ha dato atto sia della necessita’, ai sensi dell’articolo 274 codice procedura penale, comma 1, lettera c), come modificato dalla Legge 16 aprile 2015, n. 47, di verificare oltre che la concretezza anche l’attualita’ del pericolo di recidivanza, non desumibile esclusivamente dalla gravita’ del titolo di reato per cui si procede, sia dell’obbligo, ai sensi dell’articolo 275 codice procedura penale, comma 3, secondo periodo (come modificato dalla medesima Legge 16 aprile 2015, n. 47), di accertare che le esigenze cautelari, ove ritenute sussistenti, non possano essere soddisfatte con misure diverse dalla custodia in carcere.
Sulla base degli elementi gia’ evidenziati nella propria precedente ordinanza del 26 gennaio 2015 (di conferma della decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, di rigetto della analoga istanza del (OMISSIS) di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari), il Tribunale ha ritenuto concreto ed attuale il pericolo di recidivanza, evidenziando la notevole gravita’ dei reati contestati (e non il solo titolo di reato) e lo specifico modus operandi dell’indagato (sintomatico del suo pieno inserimento nel sodalizio criminale e del suo ruolo all’interno dello stesso, nel quale era divenuto uomo di fiducia del capo, (OMISSIS), e suo stretto collaboratore nella gestione della piazza di spaccio di (OMISSIS), concedendogli l’uso della sua automobile per consentirgli di muoversi piu’ agevolmente ed occultare i proventi delle attivita’ illecite, attivandosi per reperire locali da destinare alla custodia degli stupefacenti e partecipando alla attivita’ di spaccio). Il Tribunale, inoltre, ha richiamato la valutazione di attualita’ di tale pericolo di recidivanza, in considerazione della protrazione delle condotte contestate al ricorrente in un arco di tempio ampio e fino ad epoca prossima, ed ha esaminato le dichiarazioni rese al Pubblico Ministero il 27 aprile 2015 dal collaboratore di giustizia (OMISSIS) (sulla base delle quali il ricorrente ha sostenuto che la sua eventuale partecipazione alla organizzazione capeggiata da (OMISSIS) e dedita al narcotraffico dovrebbe essere limitata al (OMISSIS)), ritenendo che da queste, sia per l’equivocita’ del dato temporale sia perche’ prive di valenza determinante, non potesse ricavarsi la dedotta riduzione del periodo di partecipazione del ricorrente alla associazione criminale, concludendo per l’assenza di elementi nuovi o non precedentemente considerati idonei a mutare il quadro indiziario in senso piu’ favorevole all’indagato.
Quanto alla idoneita’ della misura degli arresti domiciliari, anche con dispositivi di controllo a distanza e in un comune diverso da quello di (OMISSIS), il Tribunale ha evidenziato il mancato superamento della presunzione relativa di idoneita’ della custodia in carcere e la conseguente irrilevanza della disponibilita’ del ricorrente alla applicazione di strumenti di controllo a distanza o di altro domicilio, richiamando l’orientamento interpretativo secondo cui l’articolo 275 bis codice procedura penale non ha introdotto una ulteriore misura coercitiva, ma nuove modalita’ di esecuzione della misura cautelare personale, con la conseguente perdurante necessita’ di accertare che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte mediante misure diverse dalla custodia in carcere (Sez. 3, n. 7421 del 3/12/2014, Rv. 262418).
Ora, a fronte di tale motivazione, il ricorrente ha riproposto i medesimi elementi di (pretesa) novita’ gia’ sottoposti al Tribunale (consistenti nelle suddette dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), secondo cui il (OMISSIS), fino a quando l’ (OMISSIS) era stato libero, aveva lavorato come addetto ai servizi mortuari), senza curarsi in alcun modo della spiegazioni di compatibilita’ di tali dichiarazioni con la partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio criminale contenute nella ordinanza impugnata, con la conseguente inammissibilita’ di tale profilo della censura, consistente nella acritica riproposizione di elementi di fatto gia’ sottoposti al Tribunale e da questo esaminati e considerati, senza alcuna analisi critica della motivazione della ordinanza impugnata.
2. Analogo ordine di considerazioni puo’ essere svolto per cio’ che concerne la censura relativa alla valutazione di idoneita’ della sola custodia in carcere, giacche’, a fronte della motivazione del Tribunale circa il mancato superamento della presunzione relativa di idoneita’ della custodia in carcere conseguente al titolo di reato, il ricorrente si e’ limitato a ribadire la necessita’ di indicare le specifiche ragioni per le quali non sarebbe idonea la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 codice procedura penale, comma 1 bis, omettendo anche a questo proposito di affrontare in modo critico ed argomentato gli argomentati posti a fondamento della decisione di conferma adottata dal Tribunale, spiegata con l’assenza di elementi nuovi e con la gravita’ del quadro indiziario, in accordo all’orientamento interpretativo secondo cui la previsione di cui all’articolo 275 bis codice procedura penale, che consente al giudice di prescrivere, con gli arresti domiciliari, l’adozione del cosiddetto “braccialetto elettronico”, non ha introdotto una nuova misura coercitiva, ma solo una modalita’ di esecuzione di una misura cautelare personale, sicche’, nei reati (come quello contestato al (OMISSIS)) con presunzione relativa di idoneita’ della custodia cautelare in carcere, la disponibilita’ ad indossare il predetto dispositivo presuppone che la presunzione sia gia’ vinta, ossia che il giudice, valutando gli elementi specifici del singolo caso, ritenga che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure diverse dalla detenzione carceraria (Sez. 3, n. 7421 del 03/12/2014, F., Rv. 262418; Sez. 5, n. 40680 del 19/06/2012, Bottan, Rv. 253716; da ultimo, Sez. 2 n. 4142 del 04/12/2014, dep. 28/01/2015, Aliberti, non ancora massimata).
E’, infatti, necessario che la situazione cautelare soggetta ad una disciplina eccezionale (quale e’ quella prevista per i reati che rientrano nell’elenco di cui all’articolo 275 codice procedura penale, comma 3, limitatamente a quelli che siano soggetti alla presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere) sia riportata nell’ambito della disciplina cautelare ordinaria in modo che il giudice cautelare possa formulare, secondo gli ordinari criteri, la prognosi di adeguatezza che, se positiva per la concessione degli arresti domiciliari, puo’ prevedere, come ulteriore e certamente rilevante modalita’ esecutiva, la sottoposizione dell’indagato alle procedure di controllo elettronico attraverso l’uso del cosiddetto braccialetto. Siccome il consenso all’adozione di mezzi di controllo elettronici o di altri strumenti tecnici rappresenta una condizione di esecutivita’ della misura alternativa al carcere, la preventiva disponibilita’ manifestata dall’imputato di sottoporsi alla procedura di controllo non radica alcun diritto alla sostituzione della misura sia in costanza di un regime cautelare speciale e sia in costanza di un regime cautelare ordinario, con la conseguenza che il giudice cautelare, con congrua motivazione, dovra’ sempre fare necessario riferimento, per la concessione o meno degli arresti domiciliari, alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’imputato degli obblighi e delle prescrizioni, che alla predetta misura cautelare sono collegati (Sez. 3, n. 5121 del 04/12/2013, Alija Rv. 258832) e cio’ anche quando, “in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”, il giudice ritenga necessario prescrivere “procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici” (articolo 275 bis codice procedura penale, comma 1).
Poiche’, nel caso di specie, gli argomenti adottati dal Tribunale per disattendere la tesi del ricorrente (circa l’adeguatezza degli arresti domiciliati ed il superamento della presunzione di idoneita’ della sola custodia in carcere) non sono stati in alcun modo esaminati ne’ affrontati criticamente, consistendo il ricorso nella mera reiterazione della affermazione di idoneita’ di tale diversa misura con dette cautele, anche tale profilo della censura deve essere ritenuto inammissibile a causa della sua genericita’ ed aspecificita.
3. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 codice procedura penale, non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’articolo 94 disp. att. codice procedura penale, comma 1 ter.
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