Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 23 febbraio 2016, n. 3545
Fatto e diritto
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Milano, S.A. e V.C.E. , nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore S.F. , chiedevano nei confronti del Ministero della Salute e della Regione Lombardia, il riconoscimento del proprio diritto a percepire l’indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992 in conseguenza della patologia (“cerebellite immunoimmediata con lieve ritardo delle acquisizioni psicomotoria”) contratta a seguito di vaccinazioni (antipolio, anti DTP, antiepatite B e antimorbillosa). Il Tribunale, previa chiamata in giudizio dell’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Milano X, accoglieva (parzialmente) la domanda e condannava il Ministero alla corresponsione dell’indennizzo quantificato sulla base dei valori previsti dalla sesta categoria della tabella A allegata al d.P.R. n. 834/1981 con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa con rivalutazione (sull’intero importo) ed interessi dal 121^ giorno successivo alla presentazione della domanda. La Corte di appello di Milano, decidendo sul gravame proposto tanto dal Ministero della Salute quanto da S.A. e da V.C.E. , confermava la decisione di primo grado.
Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale il Ministero della Salute e S.F. (nelle more divenuta maggiorenne) propongono separati ricorsi.
Avverso il ricorso del Ministero resiste con controricorso l’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Milano X.
La Regione Lombardia è rimasta solo intimata.
Con l’unico articolato motivo di ricorso il Ministero della Salute censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva del Ministero anche rispetto alla domanda di condanna alla corresponsione dell’indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992. Rileva il ricorrente che tale legittimazione non può ricavarsi dalla sentenza di questa Corte a Sezioni unite n. 12538 del 2011 che avrebbe solo circoscritto la legittimazione del Ministero al profilo inerente l’accertamento del diritto non anche a quello inerente alla condanna ed evidenzia che le stesse SS.UU. danno espressamente atto che gli oneri economici degli indennizzi ex lege n. 210/1992 sono stati trasferiti alle Regioni.
Il ricorso si palesa manifestamente infondato proprio alla stregua del principio enunciato, in materia, dalle Sezioni unite di questa Corte che, con la sentenza n. 12538 del 2011, resa in una fattispecie in cui il Ministero della Salute era stato già destinatario di pronuncia di condanna nei gradi di merito, hanno osservato, in sintesi, che il legittimato passivo in una controversia avente ad oggetto una prestazione di assistenza sociale è il soggetto che, in forza della disciplina (sostanziale) di tale prestazione, è tenuto a riconoscerla, ossia è il soggetto coinvolto nel lato passivo del rapporto obbligatorio che sorge al verificarsi di certi presupposti di spettanza del beneficio; questa coincidenza, quando si tratta della pubblica amministrazione in senso lato che si articola in una pluralità di enti pubblici e di centri di imputazione soggettiva, non è indefettibile nel senso che il legislatore potrebbe dettare una regola specifica di individuazione della legittimazione passiva distinguendo ad esempio il soggetto che riconosce il beneficio e quello che in concreto lo eroga; nella fattispecie in esame il problema della legittimazione passiva sorge – e si pone in chiave problematica – proprio in ragione del decentramento della gestione del beneficio, che però è stato avviato in un contesto di riparto di competenze tra Stato e Regione che, all’epoca, vedeva la disciplina dell’indennizzo in esame, quale forma di assistenza sociale, rientrare nella competenza della legge statale, ed è proseguito nel mutato contesto della riforma dell’art. 117 Cost., che ha notevolmente ampliato le competenze del legislatore regionale; qualche anno dopo l’introduzione della prestazione assistenziale per cui è causa le funzioni ed i compiti in materia di indennizzo dei danni permanenti alla salute in caso di danni irreversibili da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, sono stati trasferiti alle Regioni e quindi ci si è chiesto se permanesse la legittimazione passiva del Ministero della sanità (poi della salute) o invece dovesse piuttosto affermarsi quella della Regione (e talvolta quella delle aziende sanitarie locali in caso di leggi regionali di ulteriore trasferimento delle funzioni amministrative a queste ultime); l’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. (8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) si è limitato a regolare la ripartizione tra Stato e regioni solo degli “oneri” derivanti dal contenzioso, rimaneva invece vigente – pur nel mutato quadro costituzionale delle competenze legislative Stato-Regioni – il d.lgs. n. 112 del 1998, art. 123 che prevedeva che sono conservate allo Stato le funzioni in materia di ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati; altresì rimaneva vigente la legge n. 210 del 1992 che, all’art. 5, prevedeva il ricorso al Ministero della sanità avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4, entro trenta giorni dalla notifica o dalla piena conoscenza della valutazione stessa; successivamente la Conferenza permanente, con accordo del 23 settembre 2004, modificativo del precedente accordo del 1 agosto 2002, Stato-Regioni adottava le “linee guida per la gestione uniforme delle problematiche applicative della legge 25 febbraio 1992, n. 210” che, tra l’altro, prevedevano modalità di proposizione del ricorso al Ministero della salute, per il tramite della regione o dell’A.S.L., avverso il giudizio della commissione medico ospedaliera; quindi nella sede in cui maggiormente si estrinseca la leale collaborazione, a livello normativo, tra Stato e Regioni, si prendeva atto, in sostanza, che nulla era mutato in tema di potere del Ministro della salute di decidere i ricorsi amministrativi in materia; dal complesso quadro normativo emerge che: a) le disposizioni sul contenzioso contenute nei cit. D.P.C.M. riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava anche un regola processuale sulla legittimazione passiva, né potrebbe ricavarsi per inidoneità della fonte a disciplinare tale aspetto pur in un mutato contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, che ora assegna alle regioni la competenza residuale in materia di assistenza sociale; b) la legge n. 210 del 1992, art. 5, continua ad assegnare al Ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera; c) questa competenza è stata fatta salva dal d.lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (ad opera dei cit. D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera dell’art. 117 Cost., comma 4, riformato); di tale permanente vigenza c’è indiretta conferma nel menzionato accordo Stato-Regioni; può allora concludersi affermando che, come il Ministro della salute decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale in esame, analogamente è nei suoi confronti che va proposta l’azione giudiziaria con cui il danneggiato rivendica l’indennizzo.
Si aggiunga che l’identificazione di un unico soggetto titolare dell’obbligazione nella sua interezza risulta conforme al disegno di semplificazione perseguito dalla normativa di cui al d.lgs. n. 112 e coerente con la tutela costituzionale dell’art. 38 Cost. (così Cass. n. 24889/2006; n. 10431/2007).
Con ricorso autonomo S.F. si duole della violazione dell’art. 2, comma 2, della legge n. 210/1992 per avere il giudice di secondo grado ritenuto che l’assegno una tantum previsto da detta norma si applichi esclusivamente per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento “prima dell’entrata in vigore della predetta legge” e l’ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge – così testualmente il motivo -.
Va innanzitutto ritenuta la tempestività del ricorso.
La sentenza impugnata è stata depositata in data 16/2/2012 ed il ricorso consegnato per la notifica in data 18/2/2013 e dunque entro il termine lungo annuale per l’impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ., nel testo previgente alla novella contenuta nella L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, novella inapplicabile ratione temporis trattandosi di controversia instaurata anteriormente ad essa, termine che scadeva il 16/12/2013 (sabato).
È stato da questa Corte ritenuto che la proroga del termine che scade nella giornata del sabato, ex art. 155, quinto comma, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. f), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, è applicabile, in forza dell’art. 58, comma 3, della legge 18 giugno 2009, n. 69, anche ai procedimenti pendenti alla data del 1 marzo 2006, e non più solo a quelli instaurati successivamente a tale data, salvi gli effetti del giudicato nel frattempo formatosi – cfr. Cass. 20/3/2014, n. 6542; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27048; Cass. 15 marzo 2010, n. 6212-.
Ciò premesso, il motivo merita accoglimento nei termini di seguito precisati.
È opportuno riportare di seguito la normativa di riferimento.
L’art. 1 della legge n. 210/1992 prevedeva al co. 1: “Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge”.
Il successivo art. 2 disponeva: “1. L’indennizzo di cui all’art. 1, comma 1, consiste in un assegno non reversibile determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’art. 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. 2. L’indennizzo di cui al comma 1, integrato dall’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324 e successive modificazioni, ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda. […..]”.
La suddetta disciplina, se per un verso consentiva pure a coloro che avessero subito il danno in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge di presentare domanda anche oltre il triennio dall’evento, limitava comunque l’indennizzo al tempo successivo alla domanda.
Tale limitazione è stata censurata dalla Corte costituzionale che, ravvisandovi un contrasto con il diritto alla salute sancito dall’art. 32 Cost. (proprio con riferimento alla prevista limitazione temporale, equivalente ad una inammissibile riduzione del danno indennizzabile alla stregua della natura del diritto che deve essere riconosciuto ai danneggiati), con sentenza del 18 aprile 1996 n. 118, ha dichiarato la illegittimità degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7.
È seguito il D.L. 23 ottobre 1996 n. 548, convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 641 (legge di accompagnamento alla legge finanziaria), in forza del quale l’indennizzo di cui all’articolo 1, comma 1, della legge n. 210/1992 “consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111”; inoltre ai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 1, anche nel caso in cui l’indennizzo sia stato già concesso, è corrisposto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e la presentazione della domanda alla competente commissione medica (prevista dalla legge n. 210 del 1992 ai fini degli accertamenti sanitari), un assegno una tantum determinato nella misura pari al 30% per cento dell’indennizzo spettante al danneggiato a regime, con esclusione degli interessi e della rivalutazione monetaria.
Siffatta regola ha trovato, infine, più organica espressione nella legge 25 luglio 1997 n. 238 che, integrando la precedente disciplina ha, all’art. 1, ha così previsto: “1. L’indennizzo di cui all’articolo 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall’articolo 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L’indennizzo è cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. 2. L’indennizzo di cui al comma 1 è integrato da una somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda. La predetta somma integrativa è cumulabile con l’indennità integrativa speciale o altra analoga indennità collegata alla variazione del costo della vita. Ai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, anche nel caso in cui l’indennizzo sia stato già concesso, è corrisposto, a domanda, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo, un assegno una tantum nella misura pari, per ciascun anno, al 30 per cento dell’indennizzo dovuto ai sensi del comma 1 del presente articolo e del primo periodo del presente comma, con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria […]”.
Dunque, solo per i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie (fattispecie alla quale è stato assimilato il caso in cui il danno sia derivato da un trattamento sanitario che, pur non essendo giuridicamente obbligatorio, sia tuttavia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società: Corte cost. sentenza n. 27 del 1998 che ha affermato il principio secondo il quale non è lecito, alla stregua degli artt. 2 e 32 Cost., richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative; principio ribadito pure in ipotesi in cui l’incentivazione ad effettuare la vaccinazione non obbligatoria non fosse rinvenibile in atti normativi, ma semplicemente in “diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica di vaccinazioni” – si veda, tra le altre Corte cost., n. 107 del 2012 -) è previsto, oltre all’indennizzo di cui all’arti della Legge 210/92, un assegno una tantum, pari al 30% dell’indennizzo, dovuto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo stesso.
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale non ha riconosciuto tale assegno una tantum (e dunque non solo nella misura intera invocata – invero senza alcun supporto legislativo – dalla ricorrente ma neppure nella misura pari al 30% dell’indennizzo dovuto per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo stesso) con ciò incorrendo in una evidente violazione della previsione di legge.
Quest’ultima è infatti chiara nel prevedere che il suddetto assegno una tantum spetti a chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica e nel disporre che lo stesso debba essere liquidato, “per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell’evento dannoso e l’ottenimento dell’indennizzo” (principale), con i criteri forfettari di cui all’art. 1, comma 2, della Legge 25 luglio 1997, n. 238, con esclusione di interessi legali e rivalutazione monetaria – cfr. Cass. 7 luglio 2000, n. 9138 -.
Per quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso proposto dal Ministero della Salute e l’accoglimento per quanto di ragione di quello proposto da S.F. , la cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata con rinvio al altra Corte di appello che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra evidenziati. Il tutto, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5”.
2 – Solo l’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Milano X ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (adesiva alle conclusioni della relazione in punto di legittimazione).
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4 – In conclusione va rigettato il rigettato il ricorso proposto dal Ministero della Salute ed accolto per quanto di ragione di quello proposto da S.F. ; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
5 – La regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità relative al rapporto tra il Ministero della Salute e l’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Milano X segue la soccombenza; nulla per le spese di S.A. , V.C.E. e della Regione Lombardia che non hanno svolto attività difensiva avverso il ricorso del Ministero.
Sarà invece il giudice del rinvio a provvedere alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità relative al rapporto tra S.F. ed il Ministero della Salute.
6- Il ricorso del Ministero della Salute è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Tuttavia, nel caso di specie, tale disposizione non può trovare applicazione, in quanto il suddetto ricorrente è esente per legge dal versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso del Ministero della Salute ed accoglie quello di S.F. ; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione; condanna tale Ministero al pagamento, in favore dell’Azienda Sanitaria locale della Provincia di Milano 2, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%; nulla per le spese di S.A. , V.C.E. e della Regione Lombardia; rimette al giudice del rinvio la regolamentazione delle spese relative a S.F..
In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del Ministero ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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