Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 17 febbraio 2016, n. 3085
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2445-2014 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VTA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 358/45/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI del 29/11/2012, depositata il 03/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’articolo 380 bis cod. proc. civ., e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati.
OSSERVA
(OMISSIS) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli, con la quale e’ stato accolto l’appello proposto dall’Agenzia avverso la decisione della CTP di Caserta n. 40-16-2010 che aveva accolto il ricorso della contribuente ad impugnazione di avviso di accertamento per IRPEF anno 2003, avviso adottato sulla premessa che la (OMISSIS) non avesse dichiarato un reddito da locazione di immobile diverso da abitazione (lastrico solare), di cui la stessa risultava essere comproprietaria in comunione con il marito e che la stessa (OMISSIS) aveva concesso in locazione prima a tale ” (OMISSIS) spa” e poi a tale “(OMISSIS) spa”.
Con la sentenza impugnata la CTR -dato atto che risultava provata la comproprieta’ dell’immobile in capo alla (OMISSIS) ed al marito di quella- ha evidenziato che il contratto di locazione era stato stipulato dalla sola (OMISSIS) che ivi aveva anche dichiarato di avere la piena e completa disponibilita’ dell’immobile, ivi risultando pure che il canone doveva essere accreditato su un conto corrente intestato alla locatrice. La (OMISSIS) – d’altronde – non aveva comprovato la effettiva ripartizione del menzionato reddito tra lei ed il coniuge. Cio’ posto, la CTR – dopo avere rilevato che sul punto della tassabilita’ del reddito in argomento si era formato il giudicato, cosi’ come si era formato giudicato circa il fatto che non spettasse la detrazione del 15% del canone- argomentava nel senso che non si potesse presumere la ripartizione del reddito in argomento tra i coniugi e per il solo fatto che il bene risultasse cointestato, “in presenza della prova contraria fornita dagli articoli citati del contratto di locazione”, donde si evinceva che il canone era da attribuire alla sola (OMISSIS), cui pure andava imputata la omessa denuncia ai fini fiscali.
La parte contribuente ha proposto ricorso affidandolo a due motivi.
L’Agenzia si e’ difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – puo’ essere definito ai sensi dell’articolo 375 c.p.c..
Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articoli 4 e 26) e con il secondo motivo (centrato sulla violazione delle “norme riguardanti la comunione legale dei beni”, articolo 177 c.c. e ss.) la parte ricorrente si duole che il giudicante abbia attribuito rilievo alla previsione contrattuale in violazione dell’articolo 4 TUIR che prevede l’imputazione per meta’ a ciascuno dei coniugi dei redditi dei beni che formano la comunione legale e dell’articolo 26 TUIR che prevede che i redditi fondiari concorrano, indipendentemente dalla loro percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprieta’. La comunione legale esistente sul bene locato attribuisce ai coniugi “pari poteri gestori e di conseguenza anche obblighi fiscali”, sicche’ non avrebbe potuto avere rilievo alcuno l’omessa dichiarazione della residua quota di reddito da parte dell’altro coniuge comproprietario, il quale non era stato oggetto di nessuna richiesta di pagamento, per tale titolo, da parte dell’Amministrazione Fiscale. La parte ricorrente si duole ancora che la pronuncia impugnata abbia violato la disciplina della comunione legale tra i coniugi, nel mentre avrebbe dovuto ritenere parimenti obbligato anche l’altro coniuge comproprietario, senza rilevanza del fatto che il contratto di locazione fosse stato stipulato da un solo comproprietario.
I motivi in rassegna appaiono infondati o inammissibili e da disattendersi.
Quanto al secondo motivo (che, per logica, deve intendersi sorretto dal congiunto riferimento all’articolo 4 del TUIR e articolo 177 c.c., per quanto la parte ricorrente abbia fatta separata valorizzazione delle due norme a riguardo dei due distinti motivi) esso appare inammissibile per difetto di autosufficienza a riguardo del presupposto storico necessario ai fini dell’applicazione nella specie di causa delle norme richiamate.
Ed invero, la parte ricorrente si e’ limitata ad affermare l’esistenza del titolo di proprieta’ sub specie di comunione legale tra i coniugi, ma non ha offerto il dettaglio in ordine alle modalita’ con cui tale presupposto e’ stato dimostrato in causa. Poiche’ nella pronuncia impugnata si fa esclusivo riferimento all’esistenza di una “comunione” tra le parti del rapporto coniugale, quest’ultima ben potrebbe essere di genere incidentale, vuoi per il fatto che l’immobile puo’ essere stato congiuntamente acquistato dai coniugi versanti in separazione legale dei beni, vuoi per il fatto che l’immobile puo’ essere stato acquistato congiuntamente prima del matrimonio.
Non vi e’ quindi ragione di passare all’esame del merito della doglianza proposta con il ridetto motivo.
Quanto al primo motivo, esso appare infondato nella parte in cui la ricorrente assume che la tassazione del reddito da locazione avrebbe dovuto essere in ogni caso riferita ad entrambi i comproprietari, a mente dell’articolo 26 del TUIR e percio’ indipendentemente dalla effettiva percezione del canone da parte di uno o piu’ dei comproprietari.
Benvero, l’articolo 26 deve essere letto in correlazione con il precedente articolo 25 il quale definisce i redditi fondiari, identificandoli in quelli inerenti ai terreni ed ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti nel catasto. Si tratta quindi dei redditi quantificabili sulla base delle risultanze catastali (e percio’ redditi medi, ordinari, ritraibili in condizioni normali dagli immobili in ragione di una classificazione per categorie) che sono oggetto di imposizione non in ragione del criterio dell’effettiva ricchezza prodotta bensi’ del criterio dell’astratta potenzialita’ a produrre reddito, a prescindere dal concreto realizzarsi del reddito stesso e dalla sua reale entita’.
Per questa stessa ragione l’articolo 26 adopera la formula “indipendentemente dalla percezione” (onde indicare il criterio del concorso di detti cespiti alla formazione del reddito complessivo dei soggetti che li possiedono) e non gia’ (o, non solo) per significare un’astratta identificazione per criterio legale dei soggetti ai quali i redditi in parola devono essere imputati. Per cio’ stesso, non potranno essere annoverati a siffatta categoria (anche perche’ non sono contemplati nel catalogo che di detta categoria reddituale e’ fatto al comma 2 dell’articolo 25) i “redditi derivanti da contratto di locazione”, indipendentemente dal fatto che nell’articolo 26, comma 1 si trovi giustapposta (per effetto delle modifiche introdotte dalla Legge n. 431 del 1998, articolo 8) una disciplina per regolamentare l’ipotesi della mancata percezione dei redditi di locazione delle unita’ immobiliari ad uso abitativo, poiche’ da detta sedes materiae nulla puo’ essere fatto derivare a proposito dell’alterazione della categorie concettuali di cui si e’ detto.
E neppure puo’ rilevare a tale proposito che il legislatore (articolo 37, comma 4-bis del TUIR) abbia ritenuto di creare una disciplina speciale per determinare l’ammontare del reddito dichiarabile in ordine ai fabbricati dati in locazione, si’ che prevalga quello di locazione (sub condizione dell’avvenuta registrazione del contratto di locazione) ovvero quello fondiario a seconda di quale sia l’ammontare piu’ elevato, perche’ ancora una volta cio’ non altera la distinzione tra le categorie concettuali ma serve soltanto come criterio di selezione dei redditi che si ritengono rilevanti ai fini della composizione della base imponibile.
Non vi e’ dubbio quindi che ai fini della disciplina del reddito derivante da contratto di locazione non possa essere applicata la regola che deriva dalla formula “indipendentemente dalla percezione”, che il legislatore ha inteso riservare (per le ragioni di cui gia’ si e’ detto) a riguardo dei soli redditi fondiari. Sul punto concorda anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15171 del 26/06/2009, sebbene con un sintetico, ma non per questo meno chiaro e pregnante, accenno.
Resta quindi ineludibilmente applicabile alla specie di causa la regola generale dell’articolo 1 TUIR secondo il quale e’ presupposto di imposta “il possesso di redditi in danaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’articolo 6”, con le inevitabile conseguenze di genere classificatorio (per i fini per i quali cio’ eventualmente rilevi) che si vogliano eventualmente trarre nell’ottica dell’appartenenza del reddito di cui trattasi all’una o all’altra categoria di cui alla norma or ora menzionata. E percio’ resta anche confermata la regola di cui il giudice del merito ha fatto applicazione, relativa alla necessita’ di autonoma imputazione del reddito di locazione rispetto al titolo reale di possesso ove ne risulti concretamente differenziata la percezione, non essendoci ostacolo alcuno ad attribuire il reddito derivante dalla concessione in locazione non solo in capo a soggetto del tutto diverso dal legittimo proprietario (in termini si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19166 del 15/12/2003) ma anche in capo ad alcuni soltanto dei comproprietari che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano.
La sentenza impugnata non merita dunque cassazione avendo fatto corretto governo della disciplina di legge.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Roma, 30 luglio 2015.
ritenuto inoltre:
che la relazione e’ stata notificata agli avvocati delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria nella quale nella insistito per la declaratoria di fondatezza di entrambi i motivi di impugnazione;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, ritiene di non poter condividere la proposta contenuta nella relazione, dovendosi -per contro- ritenere fondato il primo motivo di ricorso che, pur centrato sulla contemporanea violazione degli articoli 4 e 26 del TUIR, sostanzialmente appare fondato a riguardo delle ragioni merce’ le quali la ricorrente si duole della mancata applicazione del regime fiscale dei redditi che formano oggetto della comunione legale tra i coniugi, a mente della prima delle due norme invocate, e percio’ potendosi del tutto prescindere dall’applicazione della seconda delle due norme in argomento. In quest’ottica, deve preliminarmente convenirsi con la parte ricorrente a riguardo del fatto che non puo’ considerarsi onere a suo carico quello di fornire -in questa sede- autosufficiente descrizione dei fatti necessari alla dimostrazione che l’immobile per cui e’ causa e’ compreso nella comunione legale dei beni a cui assume essere informato il regime patrimoniale del suo matrimonio. Ed invero, di cio’ si trova gia’ positivo accertamento nella pronuncia impugnata che -sia pure con accenti non peculiarmente perspicui e valorizzando un difetto di prova incongruamente posta a carico della parte pubblica- sul punto e’ comunque rimasta non censurata e con riguardo ad una valutazione in fatto che e’ precipuo oggetto delle competenze tipiche del giudice del merito. Ne consegue il sollievo da qualunque necessita’ in capo alla parte ricorrente di assolvere ad ulteriori oneri di allegazione. Cio’ posto (e poiche’ coincide la ricostruzione del giudice di appello e della parte ricorrente in ordine al fatto che quest’ultima avesse protestato sin dal primo grado di avere titolo all’applicazione del regime fiscale di cui al menzionato articolo 4 TUIR) il giudice del merito non avrebbe potuto omettere di valorizzare siffatta appartenenza dell’immobile alla comunione coniugale al fine di fare applicazione (prescindendo dalle apparenze contrastanti desumibili dal patto di locazione e prescindendo dall’applicazione della disciplina dell’articolo 25 TUIR) della specifica disciplina di imputazione dei redditi derivanti dai beni che formano la comunione medesima, in difetto della prova di deroghe al regime legale di quest’ultima. Il menzionato articolo 4 prevede, infatti, una imputazione necessaria dei redditi in parola, con la sola deroga riservata alla eventuale previsione di modifiche convenzionali stipulate a mente dell’articolo 210 c.c., sicche’ altre pattuizioni (per di piu’ intervenute con terzi estranei alla comunione legale) non sono idonee a modificare l’imputazione legale dei redditi ai fini fiscali. In presenza degli indicati presupposti di fatto, non avrebbe potuto il giudice del merito pretermettere l’applicazione della menzionata regola di legge per dare rilievo ad una pattuizione che non puo’ avere efficacia di deroga rispetto alla disciplina imperativa contemplata dalla norma fiscale che, si ripete, per i redditi dei beni che appartengono alla comunione coniugale trova limite nella sola stipulazione della comunione convenzionale;
consegue di necessita’ che la pronuncia impugnata – che non ha fatto applicazione dei richiamati principi – debba considerarsi meritevole di cassazione per l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo, e rinvio al medesimo giudice del merito, onde quest’ultimo rinnovi il proprio apprezzamento delle censure di appello alla luce della diritto correttamente applicabile;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Campania che, in diversa composizione, provvedere anche sulle spese di lite del presente giudizio
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