Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 2 febbraio 2016, n. 1908

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23558-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, in persona del Responsabile del Settore Dipartimentale Recupero Crediti di (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3189/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA dell’8/05/20104, depositata il 15/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della controricorrente che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ stata depositata la seguente relazione.

“1. La (OMISSIS) s.p.a. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., l’atto col quale i convenuti avevano venduto l’unico bene immobile di loro proprieta’ alla s.r.l. Giani investimenti, della quale era socio al 25 per cento il fratello della (OMISSIS). Dichiaro’ la Banca che i convenuti erano fideiussori della s.r.l. (OMISSIS), della quale era pacifica l’insolvenza e contro la quale la Banca era in procinto di agire in via monitoria.

Si costitui’ la sola (OMISSIS), chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale, espletata una c.t.u. per verificare il valore del bene immobile venduto, respinse la domanda e condanno’ la Banca attrice al pagamento delle spese.

2. La pronuncia e’ stata appellata dalla (OMISSIS) s.p.a. ( (OMISSIS)), in qualita’ di successore della (OMISSIS), e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 15 maggio 2014, ha accolto la domanda di revocatoria ed ha dichiarato inefficace, nei confronti della Banca, l’atto di compravendita suindicato, condannando la (OMISSIS), in solido con il (OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS), al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre (OMISSIS) con atto affidato a due motivi.

Resiste la (OMISSIS) con controricorso.

(OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.

4. Osserva il relatore che il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere rigettato.

5. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione

degli articoli 165, 347 e 348 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo. Lamenta la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso di dichiarare l’appello improcedibile a causa del mancato deposito dell’originale dell’atto di appello entro la prima udienza di trattazione.

5.1. Il motivo non e’ fondato.

Costituisce ormai pacifica giurisprudenza di questa Corte il principio per cui l’improcedibilita’ dell’appello non puo’ essere dichiarata se l’appellante, nel costituirsi entro il termine di cui agli articoli 165 e 347 c.p.c., ha depositato una “velina” dell’atto d’appello in corso di notificazione, qualora egli abbia depositato, successivamente alla scadenza del termine medesimo, l’originale dell’atto notificato, conforme alla “velina” (sentenza 8 maggio 2012, n. 6912).

La contestazione odierna e’ diversa, perche’ la ricorrente lamenta che l’originale dell’atto di appello notificato sia stato depositato non alla prima udienza, bensi’ ad una successiva (e sul punto c’e’ una sostanziale ammissione da parte della (OMISSIS)); ma la soluzione non puo’ che essere la medesima, e cio’ per due ragioni: 1) perche’ l’articolo 348 cod. proc. civ., con previsione di carattere tassativo, limita l’improcedibilita’ al solo caso della mancata costituzione in termini; 2) perche’ non vi e’ alcuna contestazione circa la mancata conformita’ tra l’originale e la copia notificata, sicche’ l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo.

Il motivo, poi, oltre a non contenere una corretta contestazione dell’omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., non da neppure conto del se tale declaratoria di improcedibilita’ sia stata richiesta nelle conclusioni (dall’epigrafe della sentenza impugnata la domanda non risulta formalizzata).

6. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1391, 2727, 2697 e 2901 c.c. per mancanza dei requisiti per l’accoglimento dell’azione revocatoria.

6.1. Il motivo non e’ fondato.

La pacifica giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato che la prova del requisito della consapevolezza, da parte del terzo acquirente, del pregiudizio arrecato agli interessi del creditore – prevista quale condizione dell’azione dall’articolo 2901 c.c., comma 1, n. 2), prima ipotesi, puo’ essere data con ogni mezzo e, quindi, anche con presunzioni (v., tra le altre, le sentenze 27 marzo 2007, n. 7507, e 15 febbraio 2011, n. 3676).

Nella specie la Corte d’appello, con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, ha accertato che il bene immobile era stato acquistato ad un prezzo nettamente inferiore al suo valore di mercato; che la societa’ acquirente – della quale il fratello della (OMISSIS) era socio al 25 per cento aveva lasciato la (OMISSIS) nell’appartamento a distanza di dieci anni dall’acquisto; che non vi era alcuna prova dell’avvenuto versamento del prezzo; e che il vincolo di parentela suddetto costituiva un’evidente dimostrazione, anche se presuntiva, della consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo.

Le argomentazioni critiche di cui al motivo in esame si risolvono, attraverso la riproposizione delle argomentazioni usate dal Tribunale per rigettare la domanda, nel chiaro tentativo di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito.

7. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere rigettato”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Entrambe le parti hanno depositato memorie alla trascritta relazione, insistendo per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni, poiche’ le osservazioni critiche contenute nella memoria di parte ricorrente non valgono a superare il contenuto della relazione, risolvendosi in parte nella ripetizione di argomenti gia’ proposti e, quanto al resto, nel tentativo di sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.

2. Il ricorso, pertanto, e’ rigettato.

A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 8.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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