Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 26 gennaio 2016, n. 1353
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10861/2011 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS) (nuova denominazione della (OMISSIS) S.P.A.) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
COBAS DEL LAVORO PRIVATO – CONFEDERAZIONE COBAS, ESECUTIVO PROVINCIALE DI (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 175/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/02/2011 R.G.N. 961/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9/2/2009 la Corte d’appello di Torino dichiarava antisindacale su istanza del sindacato Cobas del lavoro privato, Confederazione Cobas, Esecutivo Provinciale di Torino, il comportamento della (OMISSIS) consistito nel diniego di operare la trattenuta per il pagamento della quota associativa a favore del sindacato istante.
Avverso detta sentenza ricorreva in Cassazione la (OMISSIS) e la Cassazione, in accoglimento del primo motivo del ricorso e ritenuti assorbiti gli altri motivi, cassava la sentenza impugnata rinviando nuovamente alla Corte di merito. Rilevava, infatti, che il collegio di merito, pur rigettando l’appello incidentale della (OMISSIS), non lo aveva esaminato ed in particolare non aveva svolto alcuna trattazione della questione della legittimazione attiva del sindacato.
Con la sentenza, qui impugnata, la Corte d’appello di Torino ha affermato la legittimazione attiva del sindacato ricorrente richiamando sia un proprio precedente e sia valutando la copiosa documentazione prodotta dal sindacato dalla quale emergeva il carattere nazionale dell’associazione.
La Corte nel merito, rilevata la riconducibilita’ delle trattenute delle quote sindacali sulla retribuzione alla fattispecie legale della cessione del credito disciplinata dall’articolo 1260 c.c., ha affermato che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, non aveva introdotto un divieto generale di cessione dei credito di natura retributiva e non vietava ai dipendenti di utilizzare lo strumento della cessione del credito retributivo per pagare le quote associative trattandosi di ipotesi da ritenersi compresa nelle previsioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 180, citato articolo 52. La Corte ha, pertanto, concluso per l’antisindacalita’ della condotta della societa’.
Avverso la sentenza ricorre (OMISSIS) spa con tre motivi. Resiste il sindacato Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 28 Stat. Lav. circa il difetto di legittimazione attiva del sindacato; vizio di motivazione circa l’idoneita’ a costituire dimostrazione della dimensione nazionale, pur in mancanza di stipula di contratti nazionali, lo svolgimento di alcuni incontri sindacali e l’assunzione di iniziative di sciopero e la diffusione di volantini.
Parte ricorrente censura la sentenza per avere riconosciuto che il sindacato agente fosse un’organizzazione sindacale legittimata ad agire, ai sensi dell’articolo 28 stat. Lav., secondo cui possono proporre ricorso solo gli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse…”. Contesta l’affermata diffusione nazionale ed il radicamento e rappresentativita’ sociale dei coordinamenti provinciali. Lamenta che la Corte aveva fatto riferimento a precedenti della stessa Corte ma relativi ad altre realta’ e comunque basate su situazioni di fatto sempre in evoluzione e da accertare in concreto. Sottolinea la mancata sottoscrizione di accordi da parte del sindacante agente nonche’ la circostanza che esso era un sindacato intercategoriale.
Il motivo e’ infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. tra le piu’ recenti, Cass. n. 21430 del 2015, nn. 16637 e 12885 del 2014; Cass. n. 21941 del 2012), condivisa dal Collegio, ai fini della legittimazione a promuovere l’azione prevista dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, per “associazioni sindacali nazionali” devono intendersi le associazioni che abbiano una struttura organizzativa articolata a livello nazionale e che svolgano attivita’ sindacale su tutto o su ampia parte del territorio nazionale, mentre non e’ necessaria la sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali (Cass. n. 6206 del 2012; Cass. n. 16787 del 2011; Cass. n. 13240 del 2009; Cass. SS.UU. n. 28269 del 2005) che rimane, comunque, un indice tipico – ma non l’unico – rilevante ai fini della individuazione del requisito della “nazionalita’”.
L’accertamento di fatto relativo al requisito di rappresentativita’ necessario per l’accesso alla tutela prevista dall’articolo 28 dello Statuto costituisce un’indagine demandata al giudice di merito e, pertanto, e’ incensurabile in sede di legittimita’, ove assistita da sufficiente motivazione (Cass. n. 21941 dei 2012; Cass. n. 3545 del 2012; Cass. n. 3544 del 2012; Cass. n. 16787 del 2011; Cass. n. 15262 del 2002).
Nella fattispecie in esame la legittimazione e’ stata correttamente riconosciuta dalla Corte territoriale, che ne ha dato critico e argomentato conto sulla base del coerente accertamento in fatto operato dai giudici di merito.
In particolare la Corte territoriale ha richiamato un proprio precedente relativo allo stesso sindacato Cobas del Lavoro Privato nel quale era stata sottolineata la diffusione sull’intero territorio nazionale nonche’ lo svolgimento di un’effettiva azione sindacale su tutto il territorio nazionale.
In detto precedente si affermava (in conformita’ a SSUU n 28269/2005) che la legittimazione ad agire doveva essere riconosciuta alle associazioni sindacali nazionali che vi avessero interesse, richiedendo pertanto solo il requisito della diffusione del sindacato sul territorio nazionale, con cio’ dovendosi intendere che fosse sufficiente – e al tempo stesso necessario – lo svolgimento di una effettiva azione sindacale non su tutto ma su gran parte del territorio nazionale, senza esigere che l’associazione facesse parte di una confederazione ne’ che fosse maggiormente rappresentativa e che in particolare, qualora disponessero dei requisiti sopra indicati,erano legittimate anche le associazioni sindacali intercategoriali.
La Corte territoriale, non si e’ limitata a far proprio il suo precedente relativo al medesimo sindacato, ma ha analizzato la documentazione prodotta (cfr. pag. 7, 8, 9 della sentenza) per pervenire all’affermazione che il sindacato ricorrente, aderente alla confederazione Cobas, e’ associazione nazionale costituita nel 2002, che essa ha organi sia locali (comitati di base, assemblea provinciale, esecutivi provinciali e regionali) sia nazionali (assemblea nazionale dei delegati, esecutivo nazionale e rappresentante legale nazionale) e che lungi dall’avere diffusione solo aziendale e poca presenza sul territorio nazionale aveva una presenza diffusa, svolgeva effettiva attivita’ sindacale, stipulava accordi a diversi livelli era dotata di una struttura unificante a livello nazionale. La Corte d’appello ha, dunque, ampiamente argomentato, dopo aver esaminato la documentazione prodotta, la sussistenza della legittimazione attiva del sindacato Cobas lavoro privato accertando il requisito della diffusione del sindacato sul territorio nazionale ed escludendo che, comunque, valutati gli elementi probatori emersi, costituisse ostacolo all’accertamento della sussistenza della legittimazione attiva la natura di associazione intercategoriale in quanto essa non era un semplice organismo di coordinamento dei vari sindacati di categoria.
Le censure formulate dalla ricorrente appaiono, pertanto, infondate. Si confronti nello stesso senso qui accolto sul medesimo sindacato la recente sentenza di questa Corte n. 11057/2015.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 1362 e segg., articolo 1367, in riferimento all’articolo 39 Cost., comma 1, con conseguente violazione degli articoli 1260 e segg.
Censura l’affermazione della Corte territoriale secondo cui e’ legittima la cessione di credito quale strumento attraverso il quale il lavoratore opera il versamento dei contributi a favore del proprio sindacato anche se a valere per il futuro e pur considerata la libera recedibilita’ del lavoratore dal sindacato.
Con il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 1260 c.c., comma 1, in relazione al Testo Unico n. 180 del 1950, articoli 1 e 5, come modificato dalla Legge n. 311 del 2004, articolo 1, comma 137 e dall’articolo 13 bis del Decreto Legge conv. in Legge n. 80 del 2006; violazione dell’articolo 12 disp. gen. in riferimento al Testo Unico n. 180 del 1950, articolo 52, commi 1 e 5, come modificato.
Osserva che tutte le cessioni rimaste inadempiute dalla (OMISSIS) si riferiscono al periodo successivo al 1/1/2005 e sono avvenute in violazione con il divieto assoluto di cessione del credito retributivo esteso ai dipendenti da datori di lavoro privati come introdotto dalla Legge n. 311 del 2004.
I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati. La societa’ ricorrente sostiene inutilizzabilita’ del negozio di cessione del credito, che non richiede il concorso della volonta’ del debitore ceduto, in relazione a fattispecie di cessioni, con previsione di un termine di efficacia triennale, che al momento dell’emanazione dell’ordine non sono esigibili perche’ riferite a mensilita’ a venire e che potrebbero non maturare mai o non divenire mai debiti per il lavoratore in conseguenza della libera recedibilita’ del lavoratore dal sindacato in ordine alla quale non era ipotizzabile un vincolo triennale in violazione dell’articolo 39 Cost..
Questa Corte, a sezioni unite n. 28269/2005 e successive, ha ritenuto utilizzabile l’istituto della cessione del credito per versare al sindacato le quote associative e ritenendo altresi’ antisindacale il rifiuto di pagamento opposto dal datore di lavoro (Cass. 26 febbraio 2004, n. 3917; Cass. 26 luglio 2004, n. 14032). A tale orientamento il Collegio intende dare continuita’ non essendo state prospettate argomentazioni idonee a discostarsi dai principi gia’ affermati da questa Corte. Quanto al terzo motivo deve altresi’ rilevarsi che il Testo Unico n. 180 del 1950, articolo 1, concernente l’insequestrabilita’, impignorabilita’ e incedibilita’ di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti, e’ stato modificato dalla Legge n. 311 del 2004, articolo 1, comma 137, con l’aggiunta, al comma 1, delle parole “nonche’ le Aziende private”, con la conseguenza che secondo la ricorrente sarebbero divenuti incedibili, fuori dei casi consentiti dalla legge stessa (come modificata dal Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 13 bis, conv. in Legge n. 80 del 2005), anche i compensi erogati ai propri dipendenti dai datori di lavoro privati e, avendo la previsione portata generale, non sarebbe possibile distinguere il tipo di cessione, quale sia la finalita’ per la quale viene compiuta.
La questione oggetto del giudizio e’ se sussistano limitazioni normative tali da escludere la facolta’ del lavoratore di consentire la trattenuta di quota associativa sindacale sulla propria retribuzione. Con sentenza di questa Corte n. 21368 del 2008 si e’ affermato che: “il referendum del 1995, abrogativo dell’articolo 26, comma 2 dello statuto dei lavoratori, e il susseguente Decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo, sicche’ i lavoratori, nell’esercizio dell’autonomia privata e mediante la cessione del credito in favore del sindacato, possono chiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato.
Qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all’organizzazione aziendale e percio’ inammissibile ex articoli 1374 e 1375 c.c., deve provarne l’esistenza. L’eccessiva gravosita’ della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validita’ e l’efficacia della cessione del credito, ma puo’ giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, mentre il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta antisindacale”.
Detti principi sono stati riconfermati dalle sentenze di questa Corte n. 9049 del 2011 e n. 2314 del 2012 e, in quest’ultima pronunzia, si e’ elaborata la seguente sintesi sulla posizione della giurisprudenza di legittimita’ (cfr., in particolare, Cass., S.U., 28269/2005; Cass., 21368/2008; Cass., 9049/2011 cit.) e sui principi di diritto affermati:
“a) Il referendum del 1995, abrogativo dell’articolo 26 st. lav., comma 2, e il susseguente Decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, ma e’ soltanto venuto meno il relativo obbligo. I lavoratori, pertanto, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono (S.U. 28269/2005).
b) Tale atto deve essere qualificato cessione del credito (articolo 1260 c.c. e segg.) (S.U. 28269/2005).
c) In conseguenza di detta qualificazione, non necessita, in via generale, del consenso del debitore (cfr. articolo 1260 c.c.) (S.U. 28269/2005).
d) Non osta il carattere parziale e futuro del credito ceduto: la cessione puo’ riguardare solo una parte del credito ed avere ad oggetto crediti futuri (S.U. 28269/2005, nonche’ Cass. 10 settembre 2009, n. 19501)”.
Quanto ai profili che involgono le conseguenze dei successivi interventi legislativi sulla materia in esame, vale a dire la Legge 31 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 137, il Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella Legge 14 maggio 2005, n. 80 e la Legge 23 dicembre 2005, n. 266, il Collegio aderisce ai principi affermati da Cass. 2314 del 2012, confermati da Cass. n. 20733 del 2013, n. 27430 del 2014 e da n. 11057 del 2015, ai quali intende dare ulteriore continuita’. Di seguito si riporta, in sintesi, l’ordine argomentativo della sentenza n. 2314/2012. Il “Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e le cessioni degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” (Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180), e’ stato modificato ed integrato dai tre interventi legislativi prima richiamati. L’articolo 1, prevedeva, e prevede tuttora, la insequestrabilita’, impignorabilita’, e incedibilita’ di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti corrisposti ai propri dipendenti dalle Amministrazioni pubbliche.
Con la legislazione successiva tali limitazioni sono state estese alle retribuzioni corrisposte dalle aziende private. A sua volta, l’articolo 5 pone dei limiti alla possibilita’, per i dipendenti pubblici, di “contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote di stipendio o del salario fino ad un quinto dell’ammontare”. Gli articoli 15 e 53, individuano gli istituti autorizzati, in via esclusiva, a concedere prestiti ai dipendenti pubblici. Anche queste limitazioni sono state estese ai dipendenti di imprese private. L’articolo 52, stabilisce che i dipendenti pubblici (e ora anche i dipendenti privati) “possono fare cessioni di quote di stipendio in misura non superiore ad un quinto” e per periodi massimi di cinque o dieci anni a condizione che siano provvisti di stipendio fisso e continuativo (ulteriori modifiche della disposizione introdotta dalla recente legislazione non rilevano ai fini della questione in esame).
La tesi della societa’ ricorrente e’ che i lavoratori dipendenti (dopo le recenti modifiche, anche quelli di aziende private) non potrebbero cedere una parte della loro retribuzione alle associazioni sindacali a titolo di quote associatile, perche’ la cessione sarebbe consentita solo in favore degli istituti di credito indicati negli articoli 15 e 53 del Decreto Legislativo su richiamato.
Tale tesi non e’ condivisibile. Infatti, la limitazione concernente gli istituti di credito riguarda solo le cessioni di credito retributivo collegate all’erogazione di prestiti (cfr. il combinato disposto degli articoli 5, 15 e 53 del Testo Unico). Al contrario, l’articolo 52, riguarda tutte le cessioni del credito dei lavoratori dipendenti, anche quelle non collegate all’erogazione di un prestito. La norma prevede una serie di condizioni e restrizioni, ma non contiene limitazioni del novero dei cessionari. Queste ultime, specifiche limitazioni sono circoscritte alle sole cessioni in qualsiasi modo collegate a concessioni di prestiti e riguardano soggetti che, al tempo stesso, sono erogatori di credito e cessionari. Tali specifiche limitazioni non riguardano, pertanto, cessioni del tutto slegate dalla concessione di crediti, come sono quelle in favore delle associazioni sindacali per il pagamento delle quote associative.
Il Collegio, nel confermare in questa sede la riferita soluzione interpretativa, intende ribadire il principio secondo cui, in tema di riscossione di quote associative sindacali dei dipendenti pubblici e privati a mezzo di trattenuta ad opera del datore di lavoro, il Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, articolo 52, come modificato dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, articolo 13-bis, convertito dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80, nel disciplinare tutte le cessioni di credito da parte dei lavoratori dipendenti, non prevede limitazioni al novero dei cessionari, in cio’ differenziandosi da quanto stabilito dall’articolo 5, del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica, per le sole ipotesi di cessioni collegate all’erogazione di prestiti.
Ne consegue che e’ legittima la suddetta trattenuta del datore di lavoro, attuativa della cessione del credito in favore delle associazioni sindacali, atteso, altresi’, che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalita’ legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore che, altrimenti, subirebbe un’irragionevole restrizione della sua autonomia e liberta’ sindacale.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si distraggono, come da richiesta in memoria.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre il 15% per spese generali nonche’ accessori di legge, spese e compensi da distrarre.
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