SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 3 febbraio 2016, n. 4501
Ritenuto in fatto
Con sentenza 16.12.2014, la Corte di Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto -, in riforma della sentenza di primo grado con la quale il Tribunale monocratico di Taranto aveva condannato L.C. per il reato di cui all’art. 590, comma 3, c.p. alla pena di giustizia e al risarcimento in favore della parte civile cui veniva assegnata una provvisionale di 50.000 Euro, dichiarava non doversi procedere nei confronti del L. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili del primo giudice.
Oggetto del processo è un infortunio sul lavoro, ascritto al L. nella sua qualità di legale rappresentante della ditta ITALBLOK; il 27.5.2006, T.M. , dipendente della ditta citata, nonché addetto al controllo della qualità dell’impasto di cemento, acqua e inerti miscelati in una macchina impastatrice, saliva su una pedana per guardare all’interno della macchina e, dopo essere scivolato su un gradino, nel tentativo di aggrapparsi a qualche appiglio, la sua mano finiva – attraverso uno sportello – nell’impastatrice e veniva tranciata dalle c.d. zappette della macchina. Si contesta al L. , nell’anzidetta qualità, il fatto che l’impastatrice era priva di dispositivi che la fermassero automaticamente in caso di apertura dei coperchi (in violazione degli artt. 68 e 72 del D.P.R. 547/1955) e che il pulsante rosso d’emergenza (che avrebbe provocato l’arresto immediato della macchina) non era funzionante.
Avverso l’anzidetta sentenza d’appello ricorre ai soli fini civili il L. , a mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo 8 motivi di doglianza.
Con il primo motivo, si denuncia la contraddittorietà e illogicità del capo d’imputazione e della sentenza che ne ha recepito il contenuto, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto dell’impugnata sentenza; lamenta il ricorrente che non è vero che il T. fosse addetto al controllo della qualità dell’impasto del cemento, e che erroneamente il capo d’imputazione pone a carico del L. la carenza di dispositivi d’emergenza che bloccassero la macchina, affermando nel contempo che l’incidente si verificò perché il T. , nel tentativo di aggrapparsi a un appiglio, infilava la mano nell’impastatrice attraverso uno sportello: ne deriva, secondo il ricorrente, l’irrilevanza delle violazioni di sicurezza contestate all’imputato sul corso dell’evento lesivo occorso al T. . Sul punto però, pur a fronte delle doglianze difensive, né la sentenza di primo grado né quella d’appello hanno fornito, secondo il ricorrente, alcuna risposta.
Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, e la mancata assunzione di una prova decisiva (testimonianza di N.S. ): il motivo di doglianza in esame si riferisce al fatto che il teste N. era stato bensì escusso dal Tribunale all’udienza del 2.5.2012, ma per tale udienza il processo era stato fissato ad horas, ossia alle ore 12.00, mentre il teste veniva escusso alle ore 09,30, in assenza dei procuratori delle parti; la circostanza ha formato oggetto di specifica richiesta di risentire il teste, avanzata dalla difesa, richiesta disattesa però dal Tribunale; in sede d’appello, la Corte ha respinto le censure difensive sul punto, osservando che sul verbale d’udienza non era stato indicato l’orario; ma, osserva il ricorrente, il verbale dattiloscritto del 2.5.2012 evidenzia che il Pubblico ministero segnalò che il processo era fissato ad horas, e in seguito a ciò esso fu sospeso e ripreso alle 12, in presenza dei procuratori delle parti.
Nonostante ciò, denuncia il ricorrente, sia la decisione di primo grado sia quella d’appello hanno tenuto conto delle dichiarazioni rese dal N.S. , teste che la difesa aveva interesse a ritualmente escutere in quanto verbalizzante che eseguì tutti gli accertamenti e in relazione al quale la stessa difesa aveva chiesto procedersi alla rinnovazione parziale dell’istruzione mediante nuovo esame dello stesso teste; ciò, conclude il ricorrente, inficia la decisione impugnata, come pure quella di primo grado.
Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per essere stato utilizzato nella decisione un documento dichiarato inutilizzabile (informativa di reato a firma N.S. ) e manifesta illogicità, sul punto, della decisione della Corte di merito; il ricorrente si riferisce al fatto che il Tribunale ha, in un passaggio della sentenza di primo grado, affermato che solo dopo l’incidente era stato aggiunto un ulteriore dispositivo di sicurezza, come accertato dall’isp. N. nel sopralluogo effettuato il 15.2.2007; tale asserzione, in sostanza, implicherebbe che sia stata utilizzata – benché dichiarata inutilizzabile – l’informativa di reato redatta dallo stesso isp. N. , sebbene la Corte di Appello, sul rilievo difensivo mosso al riguardo, abbia escluso che detta informativa sia stata utilizzata.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita da una perizia per ricostruire la dinamica dell’incidente e accertare le caratteristiche e il funzionamento dell’impastatrice; la richiesta difensiva di perizia, avanzata in primo grado e non disposta dal Tribunale, è stata reiterata in sede di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, ma non veniva accolta poiché la perizia era giudicata superflua dalla Corte di appello; del che si duole il ricorrente, ritenendo tale mezzo probatorio assolutamente necessario.
Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza appellata nella parte in cui valuta le risultanze istruttorie e in particolare la deposizione della persona offesa T.M. , e omette di valutare le contestazioni circa l’inattendibilità del teste. Sebbene infatti l’intero processo ruotasse attorno alla circostanza – confermata in aula dalla persona offesa – che il T. avrebbe accidentalmente infilato la mano destra in uno sportello, producendosi così le lesioni di cui in rubrica, tale circostanza secondo il ricorrente è smentita sia dalla posizione in cui il T. si trovava rispetto all’impastatrice (che era alla sua sinistra), sia da altre deposizioni testimoniali (ai testi L.D. e D.R. , nell’immediatezza del fatto, il T. avrebbe riferito ‘è colpa mia’; il teste F. ha riferito in dibattimento che il T. gli spiegò di essersi ferito perché aveva voluto provare a controllare l’impasto con le mani). Inoltre il ricorrente evidenzia che il T. ben conosceva il macchinario, essendo addetto alla pulizia dello stesso; ed elenca le contraddizioni in cui il T. sarebbe caduto nel corso del suo esame, sia interne alle sue stesse dichiarazioni, sia rispetto a quelle di altri testimoni.
Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove vengono valutate le responsabilità dell’imputato in rapporto alle caratteristiche dell’impastatrice, e l’omessa valutazione di elementi tecnico-scientifici e dell’effettiva osservanza delle misure prevenzionistiche da parte dell’imputato: il ricorrente si riferisce al fatto che non è stata accolta la prospettazione dei consulenti tecnici della difesa circa il fatto che l’impastatrice, costruita nel 1995, era conforme alle norme di sicurezza vigenti al momento della legislazione esistente fino alla data di entrata in vigore della c.d. direttiva macchine (DPR 459/1996), sul rilievo che l’imputato avrebbe dovuto adeguare i dispositivi di sicurezza alla successiva evoluzione della tecnica ancor prima che ciò fosse normativamente imposto. Il ricorrente contesta tale assunto, deducendo l’insussistenza e impraticabilità di detto obbligo, e rilevando che in realtà la contestazione ineriva al mancato rispetto degli artt. 68 e 72 del D.P.R. 547/55, e non poteva estendersi al mancato rispetto di normative successive.
Con il settimo motivo di ricorso, si denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’inapplicabilità della normativa antinfortunistica al caso di specie: la censura in realtà si riferisce al comportamento non solo imprudente, ma imprevedibile e abnorme del T. , soggetto che per le sue competenze era perfettamente consapevole del rischio costituito dall’impastatrice in movimento e, nonostante ciò, ebbe ad infilarvi la mano non già accidentalmente, ma – come riferito dal teste F. – per controllare manualmente l’impasto.
Con l’ottavo e ultimo motivo, il ricorrente censura il vizio di motivazione circa il comportamento alternativo diligente che l’imputato avrebbe dovuto tenere, nonché circa la valutazione degli elementi probatori favorevoli all’imputato, che il ricorrente elenca con riferimento ad alcune delle dichiarazioni rese dai testimoni e dalla stessa persona offesa, e che sarebbero state del tutto ignorate dalla Corte territoriale.
Considerato in diritto
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di merito, riportando letteralmente il disposto degli artt. 68 e 72 D.P.R. 547/1955, ha chiarito che è dovere del datore di lavoro curare che nelle macchine pericolose sia presente un meccanismo di blocco che impedisca di rimuovere o aprire il riparo quando la macchina è in moto, o ne provochi l’arresto all’atto della rimozione o dell’apertura, e non consenta l’avviamento della macchina se il riparo non è in posizione di chiusura; se a tale dovere, che si assume disatteso dal L. nella sua qualità, l’imputato avesse ottemperato, in base a un elementare procedimento di eliminazione mentale lo sportello in cui il T. infilò la mano non sarebbe stato aperto durante il funzionamento dell’impastatrice, o comunque alla sua apertura il macchinario si sarebbe dovuto bloccare. Sul punto, la sentenza impugnata fornisce dunque risposta alle doglianze difensive, deducendone la rilevanza causale della condotta omissiva addebitata al L. . Le ulteriori notazioni inerenti alla presunta non veridicità e nullità del capo d’imputazione si fondano su circostanze – essenzialmente di merito – in parte recepite e articolate nei successivi motivi di ricorso, che comunque non risultano avere alcun peso in ordine all’effettivo esercizio del diritto di difesa e alla descrizione dei fatti contestati.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha fornito congrua risposta alla doglianza difensiva, precisando che è bensì vero che il teste N. fu sentito prima delle ore 12.00 del 2.5.2012, ma che – oltre al fatto che non risultava che per tale data la chiamata del processo fosse stata fissata ad horas -, in tale udienza il teste N. si era limitato a confermare quanto già dichiarato avanti il precedente giudice e che le parti, alla ripresa del procedimento, avevano preso atto di tale circostanza; il difensore dell’imputato, precisa inoltre la Corte di merito, si è bensì riservato di chiedere una nuova escussione del teste, ma agli atti non risulta che tale richiesta sia poi stata formulata. Su tali basi, appare evidente che la Corte d’Appello ha esaminato accuratamente le censure difensive e ha chiarito che non vi è stata lesione del contraddittorio e del diritto di difesa, dovendosi al riguardo evidenziare in particolare che la presa d’atto circa la pregressa assunzione del teste aveva formato oggetto di specifico invito al contraddittorio, in esito al quale la riserva difensiva di chiedere nuovo esame del teste N. non è stata sciolta in senso affermativo, pur potendo la parte avanzare nuovamente detta richiesta; con la conseguenza che correttamente le dichiarazioni rese dal teste sono state ritenute utilizzabili, e che altrettanto correttamente è stata disattesa la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento mediante nuovo esame del medesimo, non versandosi in alcuna delle situazioni che la rendessero necessaria ex art. 603 c.p.p..
Il terzo motivo di ricorso è aspecifico, e come tale inammissibile.
Appare apodittica e generica, in assenza di ulteriori specificazioni nell’ambito del ricorso, l’asserzione difensiva secondo la quale la frase trascritta nell’atto d’impugnazione (estratta dalla pag. 2 della sentenza di primo grado) sarebbe stata indefettibilmente significativa dell’utilizzo, da parte del giudice di prime cure, dell’informativa di reato sottoscritta da N.S. , peraltro sentito anche quale testimone. Si ricorda che, secondo l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, non compete alla Corte di cassazione, in mancanza di specifiche deduzioni, verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che non appaiano manifeste, in quanto implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 39061 del 16/07/2009 Ud. – dep. 08/10/2009- Rv. 244328).
Il quarto motivo è infondato.
Come pacificamente affermato da questa Corte, la decisione con cui il giudice respinge la richiesta di una perizia, ritenuta decisiva dalle parti, non è censurabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (Cass. Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 – dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 255152; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 43526 del 03/10/2012 Ud. – dep. 09/11/2012 – Rv. 253707, ed altre conformi); nella specie, appare congrua e non suscettibile di censure in sede di legittimità la motivazione con cui la Corte di merito ha rigettato la richiesta di perizia avanzata dalla difesa, fondata sulla superfluità dell’accertamento peritale in relazione alla compiuta istruttoria.
Il quinto motivo è parimenti infondato, e tale deve ritenersi anche il settimo motivo, che – per quanto si dirà – deve ritenersi in parte sovrapponibile.
A prescindere dalla sostanziale sollecitazione del ricorrente a ‘ripetere’ il vaglio proprio dell’istruzione dibattimentale -sollecitazione che, all’evidenza, non è di per sé proponibile in questa sede-, sono le stesse circostanze evidenziate nel motivo di ricorso in esame a far propendere per la sua infondatezza.
La Corte di merito ha formulato espressa e adeguata valutazione in ordine alla dinamica dell’incidente e alla diversa descrizione dei fatti fornita dalla persona offesa rispetto a quella narrata de relato da alcuni testi (in specie dal teste F. ). Anche volendo ipotizzare che il T. abbia deliberatamente infilato la mano nello sportello per controllare manualmente l’impasto, rimanendo conseguentemente ferito, giammai tale ricostruzione esimerebbe da responsabilità il L. in ordine all’omessa predisposizione dei dispositivi di sicurezza oggetto di addebito, atteso che per integrare il nesso causale riferibile a detta condotta omissiva non è rilevante il motivo per il quale il dipendente mise la mano destra all’interno del macchinario mentre esso era funzionante, ma unicamente il fatto che ciò sia potuto accadere: fatto che, per quanto emerge in atti, deve ritenersi pacifico. Di tale elemento la sentenza impugnata fornisce specifica spiegazione, e ciò ne esclude i vizi di motivazione denunciati.
Si soggiunge che, sempre ipotizzando che il T. abbia voluto mettere la mano nello sportello per controllare l’impasto, tale condotta – sicuramente imprudente, come riconosce la Corte territoriale – non potrebbe dirsi abnorme o imprevedibile, atteso che, come si legge nella sentenza impugnata, altre fonti di prova (vds. testi L.C.R. e F.F. ) avevano riferito che spesso i lavoratori procedevano al controllo manuale dell’impasto inserendo le mani nell’impastatrice, senza spegnere la macchina, per espressa volontà del datore di lavoro, a causa del malfunzionamento delle sonde che avrebbero dovuto regolare umidità e densità dell’impasto stesso: dunque, trattavasi di prassi ben nota al L. e addirittura – secondo le dette fonti testimoniali – da lui stesso avallata.
A parte tale ultima considerazione, si ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (vds. la recente Cass. Sez. 4, n. 22813 del 21/04/2015 – dep. 28/05/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Da tanto consegue che, in base agli argomenti testé illustrati, deve ritenersi infondato anche il settimo motivo, da considerarsi sovrapponibile in parte qua a quello in esame, siccome riferito al comportamento asseritamente imprudente o abnorme del T. .
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato, e tale è anche l’ottavo e ultimo motivo di ricorso, che per quanto si dirà deve considerarsi assorbito.
Si deve muovere infatti dalla considerazione, recepita dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza.
Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura. L’art. 2087 cod. civ., infatti, nell’affermare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche. La circostanza che in occasione di visite ispettive non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza della macchina non può essere invocata per escludere la responsabilità del datore di lavoro, atteso che la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato ma (per i reati colposi) solo dall’errore non determinato da colpa, ai sensi dell’art. 47 cod. pen. (Cass. Sez. 4, n. 7402 del 26/04/2000 – dep. 24/06/2000, Mantero C, Rv. 216476, riguardante un caso di lesioni personali riportate da un operaio ad una mano con una macchina denominata calandra carta per la lavorazione della seta, sfornita di un’idonea barra di sicurezza; in senso conforme vds. Sez. 4, Sentenza n. 41944 del 19/10/2006 Ud. – dep. 21/12/2006 – Rv. 235539; Sez. 4, Sentenza n. 41944 del 19/10/2006 Ud. – dep. 21/12/2006 – Rv. 235538).
Nella specie, peraltro, è la stessa Corte di merito a chiarire opportunamente, attraverso il richiamo testuale agli artt. 68 e 72 D.P.R. 547/1955, che sicuramente nel caso di specie erano state disattese anche le pur risalenti prescrizioni in materia di sicurezza dei macchinari ivi impartite, e che il comportamento alternativo diligente che il L. , nella sua qualità, avrebbe dovuto tenere era appunto quello prescritto dalle dette disposizioni (la cui violazione è del resto oggetto di espressa contestazione nell’editto imputativo).
Tale ultima considerazione assorbe anche la questione principale proposta con l’ottavo motivo di ricorso, riguardante il comportamento che l’imputato avrebbe dovuto osservare a fronte della sua condotta omissiva. L’assunto è, per le ragioni anzidette, manifestamente infondato; e parimenti manifestamente infondate sono le altre questioni articolate nel motivo in esame, che appare genericamente formulato, propositivo di rivalutazioni del compendio probatorio inammissibili in sede di legittimità e in parte reiterativo di altre doglianze esposte nei motivi precedentemente esaminati.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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