cassazione 5

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 

sentenza  26 gennaio 2016, n. 1347

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma, l’ing. M. ha chiesto dichiararsi nei confronti della INARCASSA che egli non era obbligato al pagamento di alcuna somma in favore della resistente, neppure a titolo di contributi, sanzioni ed interessi, annullando o dichiarando comunque inefficaci o nulli tutti i provvedimenti a tale titolo emessi dalla Cassa (contributi non versati per i volumi di affari IVA e redditi professionali per il periodo 2000-2005).
Deduceva di essere iscritto all’ordine degli Ingegneri, ma di non aver mai esercitato l’attività libero professionale, in quanto appartenente al Corpo Nazionale dei vigili del Fuoco ed iscritto obbligatoriamente all’INPDAP; di aver utilizzato la partita IVA per attività non ingegneristiche, quali seminari, convegni e pubblicazioni per le quali non vi era obbligo di versamenti o comunicazioni all’INARCASSA.
Il Tribunale respingeva la domanda osservando che il M. non aveva chiarito il contenuto delle attività seminariali e di pubblicista, rilevando che anche esse, se svolte da un ingegnere a tal fine incaricato, comportavano un obbligo contributivo. Accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dall’INARCASSA con cui la stessa aveva richiesto la condanna del M. al pagamento di quanto richiesto in via amministrativa.
Avverso tale sentenza proponeva appello il M. ; resisteva l’INARCASSA.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 18 agosto 2010, accoglieva il gravame principale, dichiarando assorbita la domanda riconvenzionale dell’INARCASSA, ed in riforma della sentenza impugnata, dichiarava che nulla era dovuto all’INARCASSA dal M. , condannando la prima al pagamento delle spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INARCASSA, affidato a tre motivi.
Resiste il M. con controricorso.

Motivi della decisione

Debbono pregiudizialmente dichiararsi inammissibili le procure, rilasciate su atti diversi dal ricorso e dal controricorso (nella specie con atti separati recanti “memoria di costituzione di nuovo difensore”), prodotte sia dalla ricorrente INARCASSA, sia dal M. .
Deve infatti rimarcarsi che nel giudizio di cassazione la procura speciale al difensore, stante il tassativo disposto dell’art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., non può essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, né è ammissibile una ratifica di tale procura con atto successivo, perché, diversamente dalle fasi processuali di merito, i poteri rappresentativi devono sussistere al momento del conferimento della procura speciale (Cass. ord. n. 18132/2007, Cass. Sez. un. n. 14212/2005). Né ad una conclusione diversa può pervenirsi nel caso in cui debba sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, non rispondendo alla disciplina del giudizio di cassazione il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore su cui possa essere apposta la procura speciale, o nella eventualità che il ricorrente intenda affiancare altro difensore al difensore nominato a margine del ricorso, che in tale veste, ai sensi dell’art. 365 cod. proc. civ., aveva sottoscritto l’atto (Cass. Sez. un. n. 14212/2005).

Nel merito si osserva.

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 434 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte di merito omise del tutto di esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello ritualmente proposta per non contenere l’avversario ricorso l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione.
Il motivo è inammissibile non avendo la Cassa chiarito e documentato il contenuto dell’atto di gravame, condizione necessaria per procedere all’esame diretto degli atti di causa (Cass. sez. un. 8077/2012).
Può aggiungersi che comunque l’eccezione risulta evidentemente valutata dalla Corte di merito ed implicitamente respinta con l’accoglimento dell’appello.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.; 16 della L. n. 6/1981; 36, comma 1, dello Statuto Inarcassa, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte capitolina aveva ritenuto erroneamente l’insussistenza dell’obbligo contributivo del M. nei confronti dell’Inarcassa, laddove l’art. 46 dei d.P.R. 5.6.2001 n. 328 stabilisce che la professione di ingegnere può essere svolta non solo nel settore edile, come ritenuto dalla Corte di merito, ma anche nei settori dell’ingegneria civile ed ambientale, dell’ingegneria industriale e dell’ingegneria dell’informazione. Si duole inoltre che sarebbe stato onere del M. di dedurre e provare le circostanze di fatto e le ragioni di diritto poste a fondamento delle sue pretese. Lamenta che la sentenza impugnata, al riguardo, si limitò ad osservare che il M. avesse comunque allegato che tutti i redditi denunciati non sarebbero ritratti da attività ingegneristiche, “depositando all’uopo la relativa documentazione”, senza però indicare per quali elementi di fatto e per quali ragioni di diritto quei redditi non sarebbero riconducibili alle attività tipiche e caratterizzanti la professione di ingegnere come definita dal legislatore, senza inoltre considerare che dalla documentazione prodotta (di cui è indicata la collocazione all’interno degli atti di causa) risultava che l’ing. M. avesse emesso mediamente 100 fatture l’anno per consulenze in materia di sinistri; di sicurezza sul lavoro ed antincendio; per corsi in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi; per redazione fascicolo di fabbricato; per redazione di testi ed articoli in materia di sicurezza sul lavoro ed antincendio. Lamenta che la Corte di merito aveva anche omesso di pronunciarsi in ordine alla dedotta sussistenza dell’obbligo del M. di comunicare annualmente alla Cassa i redditi IRPEF ed i volumi di affari IVA dichiarati ai fini fiscali, ai sensi degli artt. 16 L. n. 6/1981 e 36, comma 1, Statuto.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 della L. n. 6/1981; 23 dello Statuto Inarcassa; 2697 c.c.; 115, 414, 434 c.p.c.; 46 d.P.R. 5.6.2001 n. 328; 4 L. 2.3.1949 n.143, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.). Lamenta che la sentenza impugnata violò le norme richiamate nella parte in cui escluse la sussistenza dell’obbligo del’ing. M. di versare alla Cassa la contribuzione integrativa. Deduce che l’art. 10 L. n. 6/1981 e l’art. 23 dello Statuto stabiliscono che tutti gli iscritti agli albi di ingegnere ed architetto debbono versare un contributo integrativo.

4.- Mentre il terzo motivo di ricorso risulta infondato, posto che la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione in ordine alla contribuzione integrativa, il secondo motivo è meritevole di accoglimento.

4.1- La questione sottoposta all’esame del Collegio è sostanzialmente quella della sussistenza dell’obbligo contributivo in favore della Inarcassa da parte dell’ingegnere che pur non svolgendo, in tutto od in parte, le attività tipiche della professione (definite dall’art. 7 L. 24.6.1923 n. 1395 e dagli artt. 51 e 52 del r.d. 23.10.1925 n. 2537, quali il progetto e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali occorrenti per le costruzioni e per le industrie; opere di edilizia civile, rilievi geometrici ed operazioni di estimo), svolga comunque attività richiedenti la competenza professionale propria dell’ingegnere.

4.2- Deve al riguardo evidenziarsi che secondo un primo orientamento di questa Corte per i fini in parola non era sufficiente lo svolgimento di attività solo potenzialmente ed intellettualmente collegate alle conoscenze e competenze dell’ingegnere, richiedendo l’effettivo svolgimento della pratica professionale e dunque delle attività tipiche della professione (Cass. n. 7389/1991, Cass. n. 3064/2001, Cass. n. 11154/2004, Cass. n. 3468/2005), con conseguente onere della Cassa di provare l’effettivo svolgimento di attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione (Cass. n. 11154/2004). Questa Corte osservò in particolare che l’art. 21 della legge 3 gennaio 1981, n. 6, pone l’obbligo di iscrizione solo per gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità e, quindi, di effettività, in relazione ai contenuti tipici della stessa, fissati dall’art. 7 della legge 24 giugno 1923, n. 1395 e dagli artt. 51 e 52 del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, essendo inoltre irrilevante che la competenza professionale e culturale acquisita come ingegnere possa influire sull’attività in concreto svolta (Cass. ord. n. 1139/2012). Con riferimento alla sussistenza dell’obbligazione contributiva alla Cassa di previdenza dei professionisti in generale, cfr. in tal senso Cass. n. 11472/2010.

Successivamente questa Corte ha tuttavia chiarito che in tema di previdenza di ingegneri e architetti, l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull’esercizio dell’attività. La limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova dunque fondamento nell’art. 7 della legge n. 1395 del 1923 e negli artt. 51, 52 e 53 del r.d. n. 2537 del 1925, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre l’art. 21 della legge n. 6 del 1981 stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità, conseguendone il rigetto del ricorso avverso la decisione di merito che aveva incluso nell’imponibile contributivo di un ingegnere elettronico i redditi a lui derivati dalle attività di consulente nell’elaborazione dati e di amministratore di una società automobilistica, Cass. 29.8.2012 n. 14684 e successiva giurisprudenza (Cass. n. 5827 del 08/03/2013, Cass. n. 9076 del 15/04/2013).

5.- Alla luce di tale più recente e consolidato indirizzo, cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, rigettato il primo ed il terzo motivo, il secondo deve essere accolto, essendosi la Corte di merito attenuta al principio dell’irrilevanza, per i fini che qui interessano, delle attività svolte dall’ing. M. , richiedenti le competenze professionali dell’ingegnere pur non concretantesi in quelle tipiche della relativa professione.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della domanda alla luce dei principi qui enunciati, oltre che della domanda riconvenzionale proposta dall’INARCASSA.
Lo stesso giudice provvederà alla regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

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