Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 22 dicembre 2015, n. 25764
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20227/2009 proposto da:
ISTITUTO ORTOPEDICO (OMISSIS) (OMISSIS), IN PERSONA DEL DIRETTORE GENERALE, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 473/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 08/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/10/2015 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avv. (OMISSIS) difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Istituto Ortopedico (OMISSIS) con atto notificato il 21 dicembre 2004 conveniva in giudizio davanti alla Corte di Appello di Bologna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proponendo appello avverso la sentenza del Tribunale di Bologna che aveva dichiarato proprietari (OMISSIS) e (OMISSIS) proprietari, per averli acquistati per usucapione, degli immobili siti in (OMISSIS), catastalmente intestati a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condannati l’Istituto (OMISSIS) al risarcimento del danno subito da questi ultimi liquidato in euro 155.854,54 e al pagamento delle spese del giudizio e compensava le spese tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Secondo l’appellante il (OMISSIS) e il (OMISSIS) non avevano assolto all’onere probatorio posto dalla legge a loro carico in quanto non avevano fornito la prova di aver posto in essere comportamenti tali da riconoscersi come contrapposti al possesso del proprietario. Il certificato storico di residenza agli atti prodotto non forniva la prova dell’animus possidenti, la prova di aver eseguito i lavori di ristrutturazione sull’immobile non poteva essere data per testimoni e alcun teste aveva riferito circostanze atte ad individuare il momento iniziale del possesso. Non era stata prodotta autorizzazione comunale per l’esecuzione dei lavori ed era stato al contrario dimostrato che i lavori di manutenzione straordinaria sull’immobile erano stati sempre effettuati dall’Istituto (OMISSIS) e dalla Cooperativa agricola (OMISSIS). Risultava, al contrario, provata la consapevolezza da parte degli attori del diritto di proprieta’ in capo all’appellante come emergeva dalla lettera del 9 marzo 1992 nella quale il (OMISSIS) richiedeva la stipula del contratto di locazione e chiedeva di poter pagare il canone di locazione direttamente al proprietario dell’immobile. Tale comportamento implicava il riconoscimento dell’altrui diritto, ai sensi dell’articolo 1165 c.c. e costituiva, comunque, fatto interruttivo della prescrizione acquisitiva. Secondo l’appellante, ancora, la rivalutazione monetaria non era dovuta trattandosi di debito di valuta e, comunque, la misura degli interessi legali era tale da remunerare il capitale investito dal risparmiatore medio.
Si costituivano (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo la condanna dell’appellante al pagamento delle spese sostenute per la stipulazione del rogito e al risarcimento degli altri danni da liquidarsi in via equitativa.
Si costituivano, anche, (OMISSIS) e (OMISSIS) eccependo l’inammissibilita’ dell’appello quanto alla pronuncia di usucapione e nel merito chiedevano il rigetto del gravame.
La Corte d’appello di Bologna con sentenza n. 473 del 2009 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese giudiziali del grado. Secondo la Corte di Bologna dalle prove orali svolte nel giudizio di primo grado era risultato che (OMISSIS) e (OMISSIS) dimoravano nell’immobile per cui e’ causa dal 1972, comportandosi come se fossero proprietari. A sua volta i documenti che ha depositato l’appellante non integravano gli estremi di un atto di interruzione del possesso.
La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta dall’Istituto Ortopedico (OMISSIS) con ricorso affidato a due motivi. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in questa fase non hanno svolto alcuna attivita’ giudiziale.
All’udienza dell’11 febbraio 2015 questa Corte con ordinanza interlocutoria disponeva l’acquisizione dei fascicoli di primo e secondo grado e rinviava la causa a nuovo ruolo. I fascicoli, di cui si dice, sono stati acquisiti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo l’Istituto Ortopedico (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 166 c.p.c. (nel testo di cui alla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 10 ed al Decreto Legge 7 ottobre 1994, n. 571, articolo 1, cosi’ come convertito nella Legge n. 673 del 1994) articolo 269 c.p.c., comma 4 (nel testo di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 29) articolo 183 c.p.c., comma 5 (nel testo di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 17; e al Decreto Legge 18 ottobre 1995, articolo 5, cosi’ come convertito nella Legge n. 534 del 1995) articolo 184 c.p.c. (nel testo di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 18), (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Avrebbe errato la Corte di Bologna, secondo il ricorrente, nell’aver dichiarata inammissibile, per tardivo deposito derivante da una tardiva costituzione nel giudizio di primo grado, la missiva del 9 marzo 1992, inviata da (OMISSIS) allo I.O.R. e dalla quale emergerebbe l’inesistenza in capo ai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) di un animus rem sibi habendi, posto che l’Istituto, nonostante, in primo grado si fosse costituito, successivamente, alla scadenza dei termini previsti dal combinato disposto degli articoli 166 e 269 c.p.c. e, sia successivamente, alla prima udienza di trattazione, tuttavia la costituzione di cui si dice e’ avvenuta precedentemente, non solo alla scadenza del termine entro il quale le parti potevano depositare documenti nuovi ex articolo 184 c.p.c., ma anche, precedentemente, all’udienza fissata a norma dell’articolo 183 c.p.c..
Il ricorrente, pertanto, chiede alla Corte di Cassazione:
a) Se la statuizione di inammissibilita’ di documenti prodotti in primo grado dal terzo chiamato in causa contestualmente ad una costituzione in giudizio avvenuta sia successivamente alla scadenza dei termini previsti dal combinato disposto dell’articolo 166 c.p.c. e articolo 269 c.p.c., comma 4, nel testo di cui alla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 10 ed al Decreto Legge 7 ottobre 1994, n. 571, articolo 1, cosi’ come convertito nella Legge n. 673 del 1994 e di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 29) sia alla prima udienza di trattazione prevista dall’articolo 183 c.p.c., commi 1, 2, 3 e 4 (nel testo di cui alla Legge 26 novembre 1889, n. 353, articolo 17 e al Decreto Legge 18 ottobre 1995, articolo 5, cosi’ come convertito nella Legge n. 534 del 1995), ma precedentemente all’udienza fissata a norma dell’articolo 183 c.p.c., comma 5 (nel testo ut sopra) ed anche alla scadenza dei termini istruttori richiesti e concessi previsti dall’articolo 184 c.p.c., comma 1 (nel testo di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 18) violi le summenzionate norme processuali dettate in materia di costituzione nel giudizio di primo grado del terzo chiamato in causa e di preclusioni temporali allo stesso applicabili in ordine all’ammissibilita’ dei documenti dal medesimo prodotti nello stesso giudizio e, pertanto, se:
aa) i documenti prodotti in primo grado dal terzo chiamato in causa unitamente alla relativa costituzione in giudizio, avvenuta sia successivamente alla scadenza dei termini previsti dal combinato disposto dell’articolo 166 c.p.c. e articolo 269 c.p.c., comma 4 (nei testi rispettivamente di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 10 ed al Decreto Legge n. 571 del 1994, articolo 1, cosi’ come convertito nella Legge n. 673 del 1994 e di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 9), ma, precedentemente, all’udienza fissata a norma dell’articolo 183 c.p.c., comma 5 (nel testo ut sopra) ed, anche, alla scadenza dei termini istruttori richiesti concessi previsti dall’articolo 184 c.p.c., comma 1, nel testo di cui alla Legge n. 353 del 1990, articolo 18, siano da ritenersi ammissibili perche’ depositati in un momento del procedimento destinato ancora alla trattazione della causa e comunque, anteriore alla preclusione al deposito di nuovi documenti di come statuita dall’articolo 184 c.p.c., nel testo ut sopra.
aaa) il documento prodotto nel giudizio di primo grado, dall’Istituto Ortopedico (OMISSIS), unitamente alla relativa comparsa di costituzione di risposta quale documento n. 6 ossia la missiva datata 9 marzo 1992 sottoscritta e inviata da (OMISSIS) all’odierno ricorrente sia da ritenersi ammissibile.
Si chiede, pertanto, che a seguito dell’auspicata risposta positiva a detti quesiti l’Ecc.ma Corte, riformando sul punto la sentenza impugnata dichiari la piena ammissibilita’ del documento in esame.
1.1.- Il motivo e’ inammissibile per mancanza di interesse ad impugnare, posto che la Corte di Bologna, nonostante abbia dichiarato in generale che i documenti prodotti unitamente all’atto di appello erano inammissibili, essendo documenti nuovi, tuttavia, e/o comunque, ha esaminato diffusamente la missiva del 9 marzo 1992, cui il ricorrente fa riferimento, escludendo, esplicitamente, che la stessa integrasse gli estremi di un atto interruttivo del possesso oggetto della controversia.
In verita’, la sentenza impugnata, non avendo specificato quali documenti fossero stati depositati con l’atto di appello, lascia intendere che la missiva di cui si dice non rientrasse tra i documenti inammissibili. Tuttavia, ove cosi’ non fosse, l’esame del documento, di cui si dice, annulla il precedente rilievo di inammissibilita’ per tardivo deposito.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1140, 1141, 1164, 1158, 1165 e 2944 c.c., articoli 115, e 116 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Omessa ed erronea valutazione delle risultanze processuali. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Bologna nell’aver ritenuto che i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero posseduto il bene oggetto della controversia uti domini e interrottamente per il tempo necessario per maturare l’usucapione, non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie. Non avrebbe tenuto conto che la missiva del 9 marzo 1992, da un verso riconosceva espressamente l’appartenenza del diritto di proprieta’ dell’immobile all’Istituto Ortopedico (OMISSIS) e per altro integrava gli estremi di un atto interruttivo del possesso.
Il ricorrente, pertanto, chiede alla Corte di Cassazione:
a) Se il possedere un bene immobile in forza di un rapporto di subaffitto qualifichi questo possesso ai sensi degli articoli 1140, 1141 e 1164 c.c., quale semplice detenzione inidonea ad usucapire il bene stesso e pertanto se:
aa) in ragione di quanto dichiarato da (OMISSIS) all’Istituto Ortopedico (OMISSIS), con missiva del nove marzo 1992 nella parte in cui riconosce di essere, ancora nel 1992, mero subaffittuario del bene, debba ritenersi l’inesistenza in capo al (OMISSIS) stesso, di un possesso rem sibi habendi, utile ai fini dell’usucapione.
b) se il dichiarare all’effettivo titolare del diritto reale di proprieta’ su un bene immobile e, comunque, il compimento di un’attivita’ nei confronti dell’indicato titolare, finalizzata ad ottenere il trasferimento di proprieta’ del bene posseduto, escludono che il dichiarante possessore abbia, comunque avuto l’intenzione di possedere la cosa come propria ed escludano che il medesimo dichiarante possessore abbia cosi’ manifestato la mera volonta’ di ottenere in qualsiasi modo la regolarizzazione dell’acquisto per usucapione e pertanto:
bb) se il dichiarare all’effettivo titolare del diritto reale di proprieta’ su un bene immobile la volonta’ di acquistare il medesimo bene e, comunque, il compimento di una attivita’ nei confronti dell’indicato titolare finalizzata ad ottenere il trasferimento di proprieta’ del bene comporti per il dichiarante possessore, non solo la semplice consapevolezza circa la spettanza ad altri del diritto di proprieta’, ma il riconoscimento dell’altruita’ del medesimo diritto di proprieta’ e, comunque, l’inequivoca volonta’ di attribuire il diritto reale al suo titolare quale atto incompatibile con la volonta’ di godere del bene uti dominus con conseguente interruzione ai sensi dell’articolo 1165 c.c., in relazione all’articolo 2944 c.c., del termine utile per usucapire il bene stesso e, pertanto, se:
bbb) in ragione di quanto dichiarato da (OMISSIS) all’Istituto Ortopedico con missiva del nove marzo 1992 nella parte in cui esprime la volonta’ di volere acquistare da detto Istituto il bene per cui e’ causa ed in ragione della sua partecipazione alla trattativa privata indetta dal medesimo per l’alienazione dello stesso bene, si sia verificata, nella fattispecie in esame, l’indicata interruzione.
C) se il dichiarare all’effettivo titolare del diritto reale di proprieta’ su un bene immobile la volonta’ di condurre in affitto detto bene comporti non solo al semplice consapevolezza circa la spettanza ad altri del diritto di proprieta’ esercitato come proprio, ma, anche, il riconoscimento dell’altruita’ del medesimo diritto di proprieta’ e, comunque, l’inequivoca volonta’ di attribuire il diritto reale al suo titolare, quale atto incompatibile con la volonta’ di godere del bene uti dominus, con conseguente interruzione, ai sensi dell’articolo 1165 c.c., in relazione all’articolo 2944 c.c., del termine utile per usucapire il bene stesso e pertanto se:
cc) in ragione di quanto dichiarato da (OMISSIS) all’Istituto Ortopedico (OMISSIS), con missiva del nove marzo 1992 nella parte in cui esprime la volonta’ di voler condurre in affitto da detto Istituto il bene per cui e’ causa si sia verificata nella fattispecie in esame, l’indicata interruzione.
2.1.- Il motivo e’ infondato.
Va qui osservato che – come afferma autorevole dottrina e anche la giurisprudenza di questa Corte – si possono distinguere due ipotesi di interruzione del possesso ad usucapionem: interruzione “naturale” e interruzione “civile”; ricorre la prima allorche’ il possessore e’ stato privato del possesso per oltre un anno per fatto di un terzo (ad es. in conseguenza di uno spoglio del bene). Si tratta, invece, di interruzione civile, ogni qual volta, contro il possessore e’ stata esercitata una domanda giudiziale tesa a contestare la legittimita’ del potere esercitato sulla cosa (siano esse azioni di rivendica e/o di restituzione). A sua volta, va qui osservato – come ha gia’ detto questa Corte in altra occasione – che poiche’, con il rinvio fatto dall’articolo 1165 c.c., all’articolo 2943 c.c., risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso, non e’ consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volonta’ di conservare il diritto, giacche’ la tipicita’ dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti (v. Cass. 12.9.2000 n. 12024; Cass. 21.5.2001 n. 6910; Cass. 1.4.2003 n. 4892; Cass. 11.6.2009 n. 13625), con la conseguenza che non puo’ riconoscersi efficacia interruttiva del possesso (oltre che ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa) se non ad atti giudiziali diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente. D’altra parte, per escludere la sussistenza del possesso utile all’usucapione non e’ sufficiente il riconoscimento o la consapevolezza del possessore circa l’altrui proprieta’ del bene, occorrendo, invece, che il possessore, per il modo in cui questa conoscenza e’ rivelata o per i fatti in cui essa e’ implicita, esprima la volonta’ non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare, atteso che l'”animus possidendi” non consiste nella convinzione di essere titolare del diritto reale, bensi’ nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando le corrispondenti facolta’ (Cass. 9671/14; 26641/2013; 7847/08; 10230/02).
La Corte di Bologna ha osservato ed ha applicato correttamente questi principi. Infatti, come ha avuto modo di chiarire, la Corte di Bologna: “la lettera in questione volta al compimento di un’attivita’ negoziale finalizzata ad ottenere il trasferimento di proprieta’ del bene posseduto, non escludeva che il possessore avesse avuto, comunque, l’intenzione di possedere la cosa come propria, non essendo necessario l’intento di pervenire all’acquisto della proprieta’ per usucapione e ben potendo, la lettera in questione essere interpretata, anche come manifestazione di volonta’ rivolta ad ottenere la regolarizzazione in qualsiasi modo dell’acquisto. Cosi’, come la Corte di Bologna correttamente ha affermato che “la semplice consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio, non e’ infatti, sufficiente al fine del riconoscimento idoneo ad interrompere il termine utile ad usucapire, essendo necessario che il possessore per il modo in cui questa conoscenza e’ rivelata o per il fatto in cui essa e’ implicita, esprima la volonta’ non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese perche’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in questa fase non hanno svolto alcuna attivita’ giudiziale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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