SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
sentenza 19 ottobre 2015, n. 21090
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21950/2012 proposto da:
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI MESSINA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MAGAUDDA GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA R.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato GAETANO GIANNI’, rappresentato e difeso dall’avvocato MANFREDI GIGLIOTTI MICHELE, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 72/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 13/02/2012 R.G.N. 358/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2015 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato PIETRO SAIJA;
udito l’Avvocato GAETANO GIANNI per delega non scritta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
p.1. – L’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Messina, in solo parziale accoglimento del suo gravame avverso la più ampia condanna pronunciata dal tribunale di Patti, la ha condannata a risarcire a G.G. – in proprio e quale genitrice superstite esercente la potestà (oggi responsabilità genitoriale) sul minore Ga.An. – il danno patito in dipendenza del decesso del marito di lei Ga.An., seguito ad un gravissimo infortunio sul lavoro in data (OMISSIS) e durante il suo successivo ricovero all’ospedale di (OMISSIS).Resiste con controricorso e nella qualità in atti la G.; e, per la pubblica udienza del 16.9.15, le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
p.2. – La ricorrente si duole:
– col primo motivo, di “violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c., in relazione a quanto disposto dall’art. 32 Cost., e dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1, e successive modifiche ed integrazioni nonchè dalla L.R. Sicilia 3 novembre 1993, n. 30, artt. 32 e 36, e successive modifiche ed integrazioni”: sostanzialmente sostenendo la non configurabilità di inadempimenti in caso di pieno rispetto delle normative nazionali e regionali in punto di dotazioni minime della struttura ospedaliera di pronto soccorso dove l’evento si è verificato;
– con il secondo motivo, di “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in punto di asserito nesso causale tra presunte carenze organizzative e decesso;
– con il terzo motivo, di “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, per non aver valutato l’incidenza concausale od esclusiva di altre condizioni di fatto, quali quella di prognosi riservata del leso, nonchè l’impossibilità di valutare come “più probabile che non” l’esito letale anche delle condotte eventualmente negligenti del personale di essa ricorrente;
– con il quarto motivo, di “illegittimità per insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, per non avere la corte territoriale tenuto conto delle condizioni pregresse in cui si era venuto a trovare il paziente, idonee di per sè sole a determinare l’evento del decesso.
p.3. – Dal canto suo, la controricorrente, premessa la ricostruzione dei principi in tema di responsabilità – e di riparto del relativo onere probatorio – nel contratto c.d. di spedalità:
– del primo motivo contesta l’ammissibilità e la fondatezza, quanto a quest’ultima rilevando la persistente negligenza nel ritardo dell’erogazione delle cure di pronto soccorso, nella mancata predisposizione di scorte ematiche adeguate o, in alternativa, nel mancato immediato invio del leso ad altre strutture più attrezzate:
per ricordare l’univoca attribuzione, ad opera dei giudici di entrambi i gradi di merito, del decesso di quegli alle carenze di tipo logistico-organizzativo della struttura ospedaliera che l’immediato soccorso aveva erogato;
– del secondo motivo contesta la fondatezza, ribadendo la natura di giudizio di fatto della conclusione della corte territoriale sulla mancanza di prova, da parte dell’azienda sanitaria, sulla non imputabilità dell’inadempimento, pure riconosciuto, del contratto di spedalità, non bastando la mera circostanza del rispetto delle normative in vigore;
– del terzo motivo sinteticamente nega la fondatezza, richiamando i principi posti dalla giurisprudenza penalistica in punto di determinazione della colpa e comunque ritenendo essere di mero fatto – e quindi non rivalutabile in sede di legittimità – il relativo giudizio della corte di merito;
– infine, del quarto motivo esclude la fondatezza, ricordando come il decesso sia avvenuto per il mancato tempestivo intervento dei sanitari, nonostante l’evidenza delle condizioni disperate del paziente e non essendo il nosocomio in grado di fare fronte a tale emergenza, nè avendo prestato in concreto al malcapitato il suo personale le cure comunque possibili anche in quelle condizioni.
p.4.- Il primo ed il secondo motivo, relativi all’indicazione delle disfunzioni o condotte imputabili alla struttura ospedaliera quali potenziali cause del decesso, possono essere trattati congiuntamente, per evidente intima connessione: ma sono infondati.
p.4.1. Ora, sul punto condividendo le valutazioni dei consulenti di ufficio, la corte di merito:
– individua tempi eccessivi e ritardi ingiustificabili nella fase intermedia tra quella di accesso alla struttura di pronto soccorso e quella chirurgica, connessi al trasferimento del paziente in altra divisione (a causa della struttura stessa del nosocomio), alla non tempestiva comunicazione dei decisivi dati degli esami di laboratorio ed all’effettivo avvio dell’intervento chirurgico, come pure – sia pure a livello meramente probabilistico – ad un aggravamento delle già serissime condizioni iniziali dovuto alle modalità di manipolazione del paziente – per la gravità ed evidenza delle lesioni ossee del bacino – durante la sua sottoposizione agli esami radiografici;
– nega rilevanza all’impossibilità di una precisa quantificazione dell’incidenza probabilistica sulla causazione dell’evento, giungendo ad accertare che la morte “avrebbe potuto essere scongiurata o ritardata” “se il paziente fosse stato immediatamente sottoposto ad esami di laboratorio e strumentali negli stessi locali del PS, se l’ospedale avesse avuto in dotazione le necessarie sacche del sangue omologo, se egli non avesse dovuto sopportare i necessari sconvolgimenti connessi al passaggio in due diverse Divisioni del nosocomio e se l’intervento fosse stato iniziato il più presto possibile rispetto al suo arrivo in ospedale”;
– esclude la rilevanza dell’osservanza delle previsioni normative in materia di “gestione dell’emergenza”, perché è “onere della struttura assicurare all’utenza condizioni di massima sicurezza e prevedere diligentemente che l’emergenza da affrontare non sarà sicuramente nei casi concreti di entità lieve o tale da consentire tempi di attesa superiori ai minimi indispensabili”.
p.4.2. Ora, non si tratta di sindacare le modalità di organizzazione delle strutture erogatrici dell’assistenza sanitaria di emergenza, né le regole, sovente di rango legislativo, che ne stabiliscono le dotazioni: piuttosto, anche il pieno rispetto della normativa vigente al riguardo non esime affatto da responsabilità la struttura ospedaliera se, in relazione proprio a quelle condizioni di partenza pur non ottimali, le condotte degli operatori siano valutate comunque inadeguate.
E’ noto invero che, nel contiguo campo della responsabilità – peraltro extracontrattuale e quindi caratterizzato da maggiori oneri di allegazione e prova proprio in capo al danneggiato, che non si ravvisano nella fattispecie per la natura notoriamente contrattuale della responsabilità nel c.d. contratto di spedalità – della pubblica amministrazione per i sinistri dovuti alla conformazione di manufatti stradali, si è affermata la necessità di rispettare anche le regole comuni di diligenza e prudenza (Cass. 19 giugno 2013, n. 15302; Cass. 11 novembre 2011, n. 23562), se del caso anche ulteriori e diverse rispetto a quelle sull’organizzazione minima o sui requisiti di sicurezza: e senza che tanto possa comportare un’ingerenza – tanto meno diretta – del giudice ordinario nelle scelte organizzative o di struttura (Cass. 20 gennaio 2010, n. 907).
p.4.3. Il principio assume una valenza generale: non basta osservare le norme espressamente previste, dinanzi a regole generali e sussidiarie di obbligo di diligenza immanenti nell’ordinamento e soprattutto in ambito contrattuale; e, pertanto, non basta che una struttura ospedaliera – pubblica o meno – rispetti la dotazione o le istruzioni, anche manifestamente insufficienti rispetto alle emergenze maggiori, previste dalla normativa vigente per andare esente da responsabilità in caso di queste ultime.
A maggior ragione, allora, in tema di responsabilità contrattuale deriva dall’obbligo di erogare la propria prestazione, oggetto di obbligazione contrattuale nel contratto c.d. di spedalità, con la massima diligenza e prudenza che un nosocomio, oltre ad osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle organizzazioni di emergenza, tenga poi in concreto, per il tramite dei suoi operatori, condotte adeguate alle condizioni disperate del paziente ed in rapporto alle precarie o limitate disponibilità di mezzi o risorse, benché conformi alle dotazioni o alle istruzioni previste dalla normativa vigente, adottando di volta in volta le determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità del salvataggio del leso.
Pertanto, almeno il ritardo nella comunicazione dei decisivi dati degli esami di laboratorio e nell’effettivo avvio dell’intervento chirurgico, come pure le modalità di manipolazione del devastato bacino del paziente, sono correttamente individuate dalla corte del merito quali potenziali cause dell’esito letale; mentre anche un’eventuale conformità della non adeguata scorta di sangue alle previsioni normative applicabili non avrebbe esentato l’azienda ospedaliera dall’onere dell’adozione di ogni misura conseguente, quale l’immediata richiesta di altro sangue presso strutture che ne fossero invece dotate, o, per ipotesi, il trasferimento immediato del paziente ad altra struttura più attrezzata.
Sotto questo profilo, pertanto, il primo ed il secondo motivo non possono essere accolti.
p.5. – Anche gli altri due motivi, relativi alla sussistenza del nesso causale tra le negligenze o imprudenze definitivamente accertate e la morte, sono, nel loro complesso ed unitariamente considerati, infondati.
p.5.1. Va premesso che costituisce consolidato insegnamento di questa corte di legittimità essere sempre vietato invocare in questa sede un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo invero la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17 novembre 2005, n. 23286, oppure Cass. 18 maggio 2006, n. 11670, oppure Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
Pertanto, neppure sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 cod. civ. (del resto, in astratto configurabile solo se invocata un’erronea specifica individuazione del soggetto onerato della prova di un altrettanto specifico fatto: ciò che non accade nella fattispecie, se non altro in termini chiari) può essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di quelle – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (Cass. 20 aprile 2012, n. 6260).
p.5.2. Ora, non era compito dei danneggiati provare che l’esito letale sarebbe stato comunque inevitabile, nonostante i ritardi: ma tanto incombeva appunto sulla danneggiante, una volta provata la condotta colposa suddetta – astrattamente idonea a comportare la morte in una situazione di partenza assai grave – ed in base alla natura contrattuale del contratto di spedalità, conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa corte regolatrice (a partire da Cass. 12 aprile 2007, n. 8826).
In dipendenza di tanto, è la danneggiante onerata della prova di avere erogato tutte le prestazioni idonee in relazione alla fattispecie: ricadendo, in mancanza, su di essa debitrice le conseguenze dell’assenza o dell’incompletezza della prova stessa (da ultimo: Cass. 20 ottobre 2014, n. 22222). Insomma, resta a carico del debitore convenuto – una volta riscontrato il nesso causale – l’onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno (tra le più recenti: Cass. 12 dicembre 2013, n. 27855; Cass. 30 settembre 2014, n. 20547).
p.5.3. In primo luogo, le condizioni del paziente pregresse al ricovero, che la ricorrente vorrebbe erigere ad esimente presentandole come senza speranza fin dal primo momento, sono proprio l’oggetto delle cure da erogare. Ora, la doglianza può trovare ingresso in questa sede sotto il profilo dell’adduzione di inevitabilità dell’esito letale in relazione alla gravità delle condizioni stesse: le quali, cioè, avrebbero dovuto essere talmente disperate che, a detta della struttura, nessun intervento avrebbe potuto evitarne la degenerazione fino al decesso.
Ma, nella specie, la corte di merito procede appunto ad una valutazione di mero fatto (v. pag. 12 della gravata sentenza), con la quale rileva che le negligenze o imprudenze definitivamente accertate (v. p.4) hanno potuto causare il decesso, visto che le condizioni del paziente, in difetto di quei drammatici ritardi, non sarebbero affatto peggiorate fino a presentarsi come disperate ed ormai non più rimediabili al momento e nel corso dell’intervento chirurgico:
si tratta di valutazione tutt’altro che implausibile, atteso il non breve lasso di tempo intercorso tra l’arrivo al nosocomio e il decesso e viste le specifiche negligenze comportamentali verificatesi durante quell’intervallo.
E l’accenno alla possibilità almeno di un differimento dell’esito letale, lungi dall’inficiare il ragionamento o renderlo contraddittorio, comporta la – se non altro implicita – valutazione di rincalzo circa la sussistenza dell’incidenza causale diretta, in applicazione del criterio eziologico del “più probabile che non”, dei ritardi nell’evoluzione negativa della situazione, suscettibile quindi, evidentemente, di un diverso esito, ma culminata in quello letale appunto quale conseguenza di essi.
Pertanto, accertata una potenziale incidenza causale delle negligenze o imprudenze, occorreva che la struttura ospedaliera, non limitandosi certo alla valutazione della diagnosi di accettazione ma sollecitando specifiche ulteriori indagini in questa direzione specifica o fornendo al riguardo affidabili elementi istruttori, desse la prova che, nonostante quegli inesatti adempimenti, la morte sarebbe giunta egualmente: valutazione prognostica da riferirsi al fatto della sopravvivenza del paziente per diverse ore ed al suo aggravamento proprio nella parte finale della degenza al pronto soccorso ed in camera operatoria.
Tanto essendo mancato, ridonda a danno della struttura ospedaliera la situazione processuale che ne è derivata e la responsabilità va confermata definitivamente, parendo al riguardo immune dai denunciati vizi la valutazione in punto di mero fatto operata dalla corte di merito.
p.6.- Il ricorso va dunque rigettato: e la soccombente ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di controparte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di G.G., in proprio e nella qualità in atti, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali ed oltre accessori nella misura di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2015
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