cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 18 novembre 2015, n. 45745

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 2 aprile 2015 il Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento parziale dell’appello proposto dall’imputato D.G. S. avverso l’ordinanza emessa dallo stesso Tribunale il 25 agosto 2014, ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
2. Ha proposto ricorso il Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione.
Secondo il ricorrente il tribunale avrebbe omesso di motivare sugli elementi specifici, idonei a vincere la presunzione relativa d’idoneità della sola custodia cautelare in carcere, essendo il S. raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, per il quale, anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale n. 48/2015, permane una presunzione relativa di adeguatezza della sola misura carceraria, vincibile solo all’esito dell’acquisizione di elementi specifici, idonei a distinguere il caso concreto dalla regola statistica ordinaria che fonda la presunzione.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. S. era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere perché gravemente indiziato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, in data 25 agosto 2014, con la quale era stata rigettata l’istanza di revoca o sostituzione della misura, è stato presentato appello.
Era stata contestata la sussistenza delle esigenze cautelari per il mantenimento della misura in atto, richiamando a tal proposito anche il recente intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 48 del 2015, dichiarando l’illegittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., «nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., è applicata custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, rispetto al concorrente esterno nel suddetto delitto, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
La Consulta, premesso che il concorrente esterno «è, per definizione, un soggetto che non fa parte del sodalizio», rileva che non è neppure ravvisabile quel vincolo di «adesione permanente» al gruppo criminale che legittima «il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria, quale unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell’indiziato con l’ambiente/delinquenziale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosità».
Del resto il “supporto” del concorrente esterno può risultare anche meramente episodico o addirittura unico: «circostanza che rende ancor meno giustificabile tanto la totale equiparazione del concorrente esterno all’associato, quanto l’omologazione delle diverse modalità concrete con cui il concorso esterno è suscettibile di manifestarsi, ai fini dell’esclusione di qualunque possibile alternativa alla custodia carceraria come strumento di contenimento della pericolosità sociale dell’indiziato».
Conclude la Corte Costituzionale che è significativo che la giurisprudenza di legittimità abbia già differenziato le posizioni dell’associato e dei concorrente esterno con riguardo alle esigenze cautelari. Mentre, infatti, nel caso dell’associato, la presunzione di pericolosità sociale cede solo di fronte alla dimostrazione della rescissione definitiva del vincolo di appartenenza al sodalizio, nel caso del concorrente esterno il parametro per superare la presunzione è diverso e meno severo, rimanendo legato alla prognosi di non reiterabilità del contributo alla consorteria. In effetti, la giurisprudenza di questa Corte aveva già avuto modo di precisare che «diversa è la valutazione che deve essere compiuta nell’ambito operativo della presunzione di cui al citato art. 275 c.p.p., comma 3, in riferimento alla posizione del concorrente esterno nel reato associativo, nel senso che gli elementi che si richiedono per superare la presunzione íuris tantum non possono coincidere con quelli del partecipe. In quest’ultimo caso vi è un affectio societatis da rescindere, che non caratterizza il rapporto che lega il semplice concorrente all’associazione, per il quale la dissociazione non può essere considerata un elemento in grado di superare la presunzione stessa. Infatti, quale che sia il tipo di relazione che lega il concorrente esterno al sodalizio, sia esso una relazione che si manifesta con condotte occasionali ovvero con contributi sintomatici di una più stretta vicinanza al gruppo, deve comunque riconoscersi che l’indagato resta estraneo all’organizzazione, per cui diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità. In particolare, si tratterà di elementi diretti a sostenere l’impossibilità o l’elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca, ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l’associazione o, ancora, la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale» (così in motivazione Sez. 6, n. 9748 del 29/01/2014, Ragosta, Rv. 258809).
2. II provvedimento impugnato, partendo dai principi sopra affermati, ha reso esauriente e logica motivazione in ordine agli elementi in base ai quali ritenere che le esigenze cautelari possano nel caso in esame essere adeguatamente tutelate con la misura degli arresti domiciliari.
3. Per quanto concerne il quadro indiziario si è fatto richiamo integrale a quanto già evidenziato nell’ordinanza dei 25 febbraio 2015, resa a seguito di giudizio di rinvio da parte della Corte di Cassazione; così come sulla sussistenza delle esigenze cautelari il Tribunale ha fatto proprie le considerazioni già svolte dal GIP nell’ordinanza genetica, evidenziando le ragioni per le quali tutte le argomentazioni difensive svolte con l’atto di appello non incidano sulle stesse.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione della condotta criminosa come contestata, giacché gli atti di indagine hanno dimostrato che S. ha “costantemente e preordinatamente piegato le sue aziende imprenditoriali agli interessi delle consorterie mafiose e ciò l’ha fatto in modo reiterato e continuo nel tempo, forte anche della sua personale e piena conoscenza delle dinamiche mafiose di equilibrio sul territorio calabrese. Il fatto che il patrimonio del S. sia stato aggredito da misure cautelari reali non esclude, ad avviso del Collegio, che lo stesso S. possa concretamente riallacciare i rapporti, peraltro risalenti nel tempo, con esponenti della criminalità locale, essendo alche lo stesso (per come dimostrato dalle dichiarazioni dei collaboratori) riconosciuto quale imprenditore colluso con la ‘ndrangheta dell’ambiente”.
4. II Tribunale ha però poi specificamente analizzato il profilo dell’adeguatezza della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, evidenziando che “tale regime detentivo autocustodiale, unitamente al divieto di comunicazione anche telematica, con soggetti diversi da quelli con i quali lo stesso coabita, assicura, con la limitazione della libertà di comunicazione e di movimento sul territorio, il pericolo che lo stesso possa concretamente riallacciare i contatti con l’ambiente criminale in cui è maturato il delitto, per come sopra individuato, e reiterare la condotta criminosa”.
Si tratta di motivazione congrua ed esente da vizi logici, sicché debbono dichiararsi inammissibili le doglianze del P.M., ricordando in proposito che l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato e, quindi, l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi dì apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché del Tribunale del riesame o dell’appello dei provvedimenti cautelari.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del P.M.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *