Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 21 ottobre 2015, n. 42230
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore;
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore;
avverso la ordinanza del Tribunale di Venezia del 30 giugno 2014;
letti gli atti di causa, ordinanza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentiti, altresi’, l’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS), per (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS), per la (OMISSIS) SpA, e l’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS), per (OMISSIS), i quali si sono opposti all’accoglimento dei ricorsi, nonche’ l’Avvocato dello Stato (OMISSIS), per i ricorrenti, che ha, invece, insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 30 giugno 2014 ha dichiarato inammissibile l’istanza di riesame proposta dal Ministero dell’economia e delle finanze nonche’ dalla Agenzia delle Entrate avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Venezia, giudice del dibattimento, aveva rigettato l’istanza di sequestro conservativo dei beni immobili e mobili del legale rappresentante della (OMISSIS) Spa nonche’ degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rinviati a giudizio per rispondere della imputazione di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari nonche’ per rispondere dei reati fine.
La inammissibilita’ era legata mancata previsione del potere di impugnazione della ordinanza reiettiva del sequestro in capo alla parte civile; nel fare questa affermazione il Tribunale di Venezia rilevava la infondatezza dei contrari argomenti addotti dai ricorrenti.
In particolare osservava che non valeva richiamare la direttiva comunitaria n. 2012/29, la quale all’articolo 16 sancisce espressamente il diritto della vittima del reato di ottenere un risarcimento da parte dell’autore di esso nell’ambito del procedimento penale.
Al riguardo il Tribunale osservava che la direttiva in questione, non auto applicativa, prevede un termine per il suo recepimento nei vari ordinamenti nazionali, compreso quello italiano, ancora non decorso, in quanto fissato al 16 novembre 2016; essa, peraltro, secondo la precisa indicazione rinvenibile nel suo articolo 1, lettera a), si riferisce esclusivamente alle vittime che siano persone fisiche e non riguarda il caso in cui vittima del reato sia un ente impersonale.
Il Tribunale ha, altresi’, ritenuto che la impossibilita’ di adire il giudice del riesame da parte del danneggiato civile dal reato non contrasta con alcun parametro costituzionale, atteso che non vi e’ violazione del principio di eguaglianza attesa la particolare posizione che ha la parte civile nel giudizio penale, ne’ vi e’ violazione dell’articolo 24 Cost., come gia’ affermato dalla Consulta con la sentenza n. 424 del 1998, alle cui argomentazioni deve anche aggiungersi che comunque il credito vantato dai ricorrenti trova la sua adeguata tutela, anche cautelare, sia in sede tributaria, a mente del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 22, che in sede civile.
Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione sia il Ministero dell’economia e delle finanze che l’Agenzia delle entrate, entrambi col patrocinio della Avvocatura dello Stato. In particolare i ricorrenti, ritenuta la propria legittimazione a proporre il ricorso per cassazione sulla base di una lettura evolutiva e costituzionalmente orientata della normativa in materia, pur consapevoli della mancata contemplazione della posizione della parte civile nell’articolo 325 c.p.p., hanno ribadito, a sostegno della fondatezza dei propri ricorsi, gli stessi argomenti gia’ sviluppati di fronte al Tribunale di Venezia.
Piu’ specificamente hanno osservato che l’orientamento fatto proprio dal Tribunale lagunare si pone in contrasto coi principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale in materia di pienezza della tutela cautelare, che nel caso di specie non sarebbe assicurata in quanto, essendo i crediti vantati dalla Amministrazione dipendenti dalla commissione di reati tributari, essi non sarebbero azionabili, neppure in fase cautelare, in sede civile, dovendo essere tutelati di fronte alle competenti commissioni tributarie, coi limiti caratteristici di tale giurisdizione.
Ne’ la posizione della Amministrazione troverebbe tutela nel Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 22, in quanto il credito nel caso in questione vantato deriverebbe dalla violazione dell’articolo 416 c.p., che, per il giudice tributario, si porrebbe come un quid facti esterno rispetto al contenuto dell’avviso di accertamento tributario contestato.
L’amministrazione ha, altresi’, dedotto la violazione della direttiva comunitaria n. 2012/29, la quale assicurerebbe il grado minimo di tutela per quanto riguarda i diritti delle vittime della criminalita’, tutela che, secondo l’interpretazione della normativa offerta dal Tribunale di Venezia non sarebbe assicurata alla parte civile; peraltro il Tribunale di Venezia si e’ altresi’ sottratto all’obbligo, sancito dall’articolo 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione, di sollevare, prima di procedere alla autonoma interpretazione della normativa comunitaria, la specifica questione di fronte agli organi giurisdizionali comunitari; a tal proposito la difesa pubblica si preoccupa di rilevare che, essendo il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti cautelari reali consentito solo per violazione di legge, rispetto a tutti gli altri temi il giudice del riesame si pone rispetto alla questione di fronte a lui sollevata come giudice di estrema istanza.
Infine la difesa di parte ricorrente ribadisce, in via subordinata, che in caso di eventuale conferma dell’orientamento fatto proprio nel provvedimento impugnato, si imporrebbe il promovimento dell’incidente di costituzionalita’ degli articoli 318 e 325 c.p.p., come d’altra parte gia’ sollecitato dallo stesso Pm, in relazione ai diversi parametri minutamente indicati nell’atto di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
Rileva, infatti, il Collegio che l’articolo 325 c.p.p., nel disciplinare il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi ai sensi degli articoli 322 bis o 324 c.p.p., prevede che la relativa legittimazione ad agire sia concessa al pubblico ministero, all’imputato, al suo difensore, alla persona nei cui confronti e’ stato disposto il provvedimento di sequestro ed a quella che assume di avere diritto alla restituzione di quanto sequestrato.
Fra tali soggetti, come e’ pertanto, agevole evincere, non e’ contemplata anche la parte civile.
Ancora di recente le Sezioni unite di questa Corte, nel dirimere un contrasto giurisprudenziale esistente in seno alla Corte stessa in ordine alla possibilita’ per la parte civile di proporre ricorso per cassazione contro il provvedimento con il quale era stato annullato o revocato il decreto di sequestro conservativo emesso ad istanza di tale parte – essendosi, infatti, espressa nel senso della legittimazione anche della parte civile la Sezione 2 , 30 gennaio 2013, n. 4622, mentre ha negato tale potere alla parte civile la Sezione 6 , 15 febbraio 2012, n. 5928 – ha testualmente affermato il principio di diritto in forza del quale la parte civile non e’ legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che abbia annullato o revocato, in sede di riesame, ai sensi dell’articolo 318 c.p.p., l’ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile (Corte di cassazione Sezioni unite penali, 20 novembre 2014, n. 47999).
Tale principio e’ evidentemente applicabile anche in relazione all’ipotesi in cui il Tribunale della cautela abbia dichiarato inammissibile l’appello avverso il provvedimento con il quale era stata rigettata la primigenia istanza di sequestro; in tal senso milita, oltre alla palese identita’ di ratio che sottende ad ambedue la ipotesi, anche la stessa sentenza delle SS UU della Corte di cassazione laddove e’ precisato, dandosi in tale modo coerente applicazione a quanto d’altra parte previsto dal citato articolo 325 c.p.p., che alla parte civile non e’ conferita alcuna legittimazione alla impugnazione del provvedimento di base che abbia un contenuto per lei (anche solo in parte) sfavorevole, dovendosi, pertanto, comprendere in tale tipologia provvedimentale, accanto al provvedimento di annullamento o revoca del sequestro originariamente concesso anche l’atto col quale e’ stata dichiarata inammissibile la impugnazione della reiezione della richiesta di concessione del sequestro conservativo.
Ne’ tale soluzione si presta ad essere tacciata di determinare un’ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio della parte danneggiata dal reato; come e’ stato, infatti, segnalato dalla piu’ volte citata sentenza di questa Corte n. 47999 del 2014, alla parte civile e’ comunque consentito, revocando la propria costituzione nel giudizio penale, di rimettere in gioco ogni sua pretesa, anche a carattere cautelare, di fronte al giudice civile, posto che, come fu significativamente segnalato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 424 del 1998, l’unica differenza fra il sequestro conservativo disposto in sede penale e l’analogo provvedimento disposto in sede civile, sta nel fatto che i crediti a garanzia dei quali la parte civile ha chiesto la cautio in sede penale si considerano assistiti da privilegio speciale ricadente sui beni oggetto di sequestro.
Nessun rilevo ha la circostanza che il credito in questo caso specifico vantato dalla costituita parte civile sia un credito tributario, posto che, semmai vi e’ da parte dell’ordinamento la predisposizione di peculiari strumenti volti a rafforzare la posizione di vantaggio che l’Erario ha, per evidenti ragioni di generale interesse, in ordine alla conservazione dei mezzi per la soddisfazione del credito di diritto pubblico conseguente alla evasione delle imposte avvenuta anche per effetto di condotte costituenti reato (sulla possibilita’ di attivare lo strumento di cui al Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 22, a garanzia non solo delle sanzioni irrogate a carico del contribuente infedele ma anche per i debiti di imposta su di lui gravanti in base al processo verbale di constatazione: Corte di cassazione, Sezione 5 civile, 28 gennaio 2010, n. 1838).
Non vale, infine, richiamare quanto previsto dalla Direttiva Eurounitaria n. 2012/29/UE, posto che, a tacer d’altro, trattasi di Direttiva non ancora esecutiva e per la cui attuazione il Governo ha tempo sino al 16 novembre 2015 e che, come gia’ rilevato dal Tribunale lagunare, ha ad oggetto la tutela delle vittime del reato, per tali dovendosi intendere, come e’ desumibile da svariati indici ermeneutici di cui e’ disseminato il testo della Direttiva in questione in particolare nei suoi numerosi considerando, e come e’ espressamente chiarito nel testo della Direttiva, all’articolo 2, lettera a), che e’ vittima del reato: “una persona fisica che ha subito un danno (…) direttamente da un reato” ovvero “un familiare di una persona la cui morte e’ stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona”.
Cosi’ come non vi e’ spazio per sollevare la segnalata questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 318 e 325 c.p.p., posto che il Giudice delle leggi gia’ si e’ pronunziato su identica questione, nel senso della sua manifesta infondatezza, con la citata sentenza n. 424 del 1998, e’ non vi e’ alcun motivo per non ritenere tuttora pienamente condivisibile anche da questo Collegio la predetta pronunzia.
Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue, visto l’articolo 616 c.p.p., la condanna delle parti ricorrenti, le quali pur essendo soggetti della pubblica amministrazione hanno operato nel presente giudizio in qualita’ di parti private e sono, pertanto, attingibile dalle disposte misure pecuniarie, al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 ciascuna in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
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