Suprema Corte di Cassazione
Sezione III
Sentenza 20 agosto 2015, n. 17020
Nel maggio 2005 l’avvocato V. V. conveniva in giudizio Assicurazioni Generali S.p.A., chiedendone la condanna al pagamento dell’ indennizzo dovutogli in forza di polizza assicurativa stipulata per suo conto nel 2001 dalla Cassa Nazionale Forense; ed avente ad oggetto le spese mediche da lui sopportate in occasione di vari interventi chirurgici ai quali si era sottoposto all’estero, tra il 2002 ed il 2005, per adenocarcinoma al fegato ed alla prostata.
Nella costituzione in giudizio della compagnia di assicurazioni, veniva emessa sentenza n. 651/09 con la quale il tribunale di Verona, in accoglimento della domanda, condannava Assicurazioni Generali al pagamento dell’indennizzo assicurativo di 450.551,00 US $, da convertirsi in euro al cambio della data della sentenza.
Interposto appello da Assicurazioni Generali spa, veniva emessa sentenza n. 370/13 con la quale la corte di appello di Venezia, in riforma della prima decisione, rigettava la domanda proposta dal V., che condannava al pagamento delle spese di lite dei due gradi di giudizio.
Avverso questa sentenza viene dal V. proposto ricorso pe, cassazione sulla base di tre motivi, ai quali resiste con controricorso la Generali Italia S.p.A. (già Assicurazioni Generali spa), a mezzo della propria mandataria Generali Business Solutions spa. Il V. ha depositato memoria ex art.378 cod.proc.civ..
§ 1.1 Con il primo motivo di ricorso il V. lamenta – ex art.360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. – violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ.;
per avere la corte di appello respinto la sua domanda di rimborso perché asseritamente non rientrante nella copertura assicurativa dei * grandi interventi chirurgici’ (Sez. Al di polizza), senza tuttavia pronunciarsi sulla inclusione del rimborso quantomeno nella copertura assicurativa dei Sgravi eventi morbosi’ (Sez.A2 di polizza), pure da lui dedotta fin dall’atto introduttivo del giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso il V. deduce – ex art.360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. – violazione degli articoli 132 n.4, 156 cod.proc.civ. e 111 Cost. per avere la corte di appello omesso di esplicitare le ragioni per cui gli interventi da lui subiti al fegato (uno di termoablazione percutanea, e due di chemioembolìzzazione) , ed alla prostata (ablazione radiochirurgica di adenoma maligno) non rientrassero nelle prestazioni chirurgiche assicurate ai sensi di polizza, facente espresso riferimento -indipendentemente dal fatto che l’intervento chirurgico venisse eseguito con tecnica tradizionale, invece che con tecniche evolute di natura radiologica – alle voci di “resezione epatiche; epatotomia; adenomectomia da neoplasia maligna; prostatectomi radicale”. Inoltre, la corte di appello non aveva esplicitato le ragioni per cui nemmeno il trapianto di fegato, al quale egli sì era infine dovuto sottoporre, rientrasse tra le prestazioni chirurgiche assicurate, pur comportando necessariamente incisione dell’organo malato al fine del suo espianto e sostituzione.
Con il terzo motivo di ricorso il V. deduce – ex art.360, 1A co. nn. 3 e 5, attuale formulazione, cod.proc.civ. – violazione dei canoni di ermeneutica ex artt. 1363, 1369 e 1370 cod.civ., posto che l’inclusione delle prestazioni chirurgiche in oggetto nella copertura dì polizza doveva desumersi, nell’ambito di un contratto di natura assistenziale ad elevata mutualità:
- dalla interdipendenza delle clausole (che prevedevano casi di indennizzo anche per interventi endoscopici di minor invasività rispetto a quelli chirurgici tradizionali, nonché il rimborso delle spese di espianto d’organo);
- dallo scopo perseguito dalle parti, volto a far fronte anche a gravi interventi chirurgici eseguiti con le tecniche operatorie più avanzate;
- dalla necessità di interpretare le clausole dubbie in senso più favorevole ali’assicurato.
§ 1.2 Sono fondati, con effetto assorbente della prima censura, il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria in quanto entrambi basati – nella prospettiva della violazione di legge e della carenza motivazionale in ordine alla individuazione del rischio assicurato – sull’erronea esclusione dalla copertura assicurativa degli interventi subiti dal V., in quanto asseritamente estranei all’elenco contrattuale degli interventi chirurgici rilevanti. La corte di appello ha osservato (sent. pag.5) che nell’elenco contrattuale rientravano, tra gli altri, gli interventi di resezione epatica ed epatotomia mentre, relativamente alla prostata, era prevista l’adenomectomia da neoplasia maligna, la linfodenectomia e la prostatectomia. Su tale premessa, ha poi aggiunto: “ora, costituisce un dato non controverso, e comunque documentatamente provato, che 1’avvocato V. sia stato sottoposto nell’agosto 2002 ad un intervento di termoablazione con radiofrequenza e successivamente, nel 2003, ad un trapianto di fegato. Entrambi gli interventi non rientrano tra quelli elencati nella polizza. Il primo trattamento operato al paziente è di natura radiologica e non chirurgica e consiste nell’immettere attraverso 1’arteria epatica microsfere radioattive verso la parte malata del fegato. Il secondo non può essere fatto rientrare nella epatotomia, che consiste nell’incisione dell’ organo. Analoghe considerazioni vanno svolte relativamente alla prostata. V. infatti non venne sottoposto a trattamenti chirurgici ma solo a terapie radiologiche ed ormonali”.
Questo convincimento deve ritenersi censurabile sotto entrambi i profili contestati.
Sul piano motivazionale, dopo aver rilevato l’effettiva previsione di rimborso per gli interventi di “resezione epatica I ed “epatotomia” (oltre che di “incannulazione dell’arteria epatica per perfusione antiblastica”) nonché di “adenomectomia da neoplasia maligna” e “prostatectomia radicale”, la sentenza impugnata risulta del tutto apodittica nel ritenere che in tali definizioni contrattuali non dovessero ricomprendersi anche gli interventi a cui si era sottoposto il V.;
i quali avevano implicato la rimozione di porzioni d’organo affette da neoplasia maligna e, nel caso del fegato, anche il successivo espianto e trapianto dell’organo nella sua interezza.
Questa lacuna esplicativa è di estremo rilievo in un contesto contrattuale nel quale la descrizione degli interventi coperti da assicurazione è formulata dalle parti con specifico riguardo all’obiettivo dell’intervento chirurgico, vale a dire al suo scopo terapeutico, non già alle tecniche operatorie utilizzate per la sua realizzazione. La corte di merito non si è dunque fatta carico di questa peculiarità della fattispecie e, in particolare, della concreta possibilità che la polizza assicurativa in oggetto (stipulata nel 2001 e, pertanto, allorquando si erano già affermate, specialmente per determinate patologie, tecniche operatorie alternative e più evolute, ancorché finalizzate al medesimo obiettivo terapeutico di rimozione dell’organo o di una sua parte affetta da lesione maligna) ricomprendesse invece, nell’ambito dei medesimi interventi descritti, tecniche operatorie diverse (complementari o sostitutive) di quella tradizionale (bisturi) quali quelle – appunto utilizzate nella specie – di natura radiochirurgica.
Una volta chiarito che la copertura assicurativa concerne interventi di resezione, incannulazione antiblastica, epatotomia, rimozione di adenomi maligni, doveva la corte di appello prendere in considerazione l’ipotesi che tale copertura valesse anche qualora questi interventi fossero stati eseguiti con tecniche più avanzate ed appropriate di quella chirurgica tradizionale. Vale a dire, con tecniche nel caso di specie consigliate dalla migliore e più aggiornata scienza medico-chirurgica, perché tali da permettere il raggiungimento degli stessi risultati della chirurgia tradizionale (ablazione delle lesioni tumorali), con metodiche meno invasive e più mirate sulla sola parte d’organo malata.
Va inoltre considerata, pur nell’ambito di una nozione più ristretta e tradizionale di chirurgia, l’incongruenza logica dell’argomento secondo cui il trapianto di fegato – ancorché implicante la resezione e l’incisione d’organo attraverso il bisturi – non poteva essere fatto rientrare nella xepatotomia’, consistendo quest’ultima “nell’incisione dell’organo”.
§ 1.3 Sul piano della contestata violazione normativa in ordine ai canoni legali di interpretazione del contratto ex articoli 1362 seguenti codice civile, la sentenza in esame si limita ad affermare la non pertinenza del richiamo operato dal tribunale all’articolo 1370 cod.civ., posto che il criterio interpretativo’ previsto da quest’ultima disposizione non potrebbe trovare applicazione a fronte di una regolamentazione contrattuale che, come quella di specie, doveva reputarsi chiara ed indubbia (sent. pag.6).
In realtà, ci si trova anche in tal caso di fronte ad un’affermazione assiomatica la quale mostra di non aver rilevato la criticità di una fattispecie nella quale i medesimi trattamenti sanitari coperti da indennizzo potevano ritenersi, nella comune intenzione delle parti, di natura chirurgica ancorché eseguiti -come detto – con modalità avanzate, perché comportanti l’applicazione chirurgica e mirata di tecnologie radiologiche ed endoscopiche volte all’ablazione del tessuto malato, con la massima preservazione del tessuto sano circostante.
In tale mancato rilievo si pone, ancor prima del criterio suppletivo di cui all’articolo 1370 cod.civ., la violazione di altri e preminenti parametri interpretativi, quali: a. quello per cui l’indagine sulla effettiva intenzione dei contraenti non può limitarsi, ex art.1362 c.c., al senso letterale delle parole, dovendo considerare anche le finalità concretamente perseguite dalle parti; ciò perché il dato testuale, pur assumendo un rilievo interpretativo fondamentale, non può essere ritenuto dì per sé dirimente ai fini della ricostruzione del contenuto dell’accordo, posto che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi definitivamente acquisito solo al termine del processo ermeneutico, il quale deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore; e ciò anche quando le espressioni possano apparire di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non risultare più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione ovvero se posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (così, Cass. n. 12120 del 09/06/2005); b. quello dell’ interpretazione complessiva delle clausole ex articolo 1363 codice civile, non avendo la corte territoriale dato conto del fatto che, sebbene con riguardo a diversi apparati e patologie, la copertura assicurativa in oggetto veniva espressamente accordata anche nel caso di interventi chirurgici non rispondenti alla tecnica tradizionale; né del fatto che, per altro verso, nessun elemento di esenzione dal rischio assicurato era desumibile dall’apposita clausola di limitazione della copertura, osservandosi anzi, in proposito, come la clausola n.2 Sez.Al di polizza prevedesse espressamente, quanto a “grande intervento chirurgico” , il rimborso altresì delle spese “di prelievo di organi o parte di essi”; ricovero relativo al donatore ed accertamenti diagnostici, assistenza medica ed infermieristica, intervento chirurgico di espianto (…)”, così da rendersi applicabile anche all’intervento di trapianto; c. quello, ex art.1369 ce, in base al quale le espressioni che possono avere più sensi (nella specie: “grande intervento chirurgico”) devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto; tanto più che si verteva nella specie di un contratto concluso tramite la cassa nazionale di previdenza forense, ed espressamente presentato dalla compagnia assicuratrice come di “impostazione assistenziale ad elevata mutualità”, così d non giustificare, specie in connessione con la pacifica sussistenza di un grave evento morboso necessitante di intervento operatorio, esclusioni di copertura dettate da una troppo stretta interpretazione lessicale; d. quello (l’unico, come anticipato, preso in esame dalla corte di appello, peraltro al solo fine di ritenerlo ininfluente ai fini di causa) di cui all’articolo 1370 codice civile, secondo cui le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro; si verte, nel caso di specie, di condizioni generali dettate dalla compagnia assicuratrice, alle quali si attaglia il principio secondo cui: “le clausole di polizza che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall’assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall’art. 1370 cod. civ.; e pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole ali’assicuratore medesimo” (Cass. n. 866 del 17/01/2008).
Ci si trova in definitiva di fronte ad una sentenza nella quale alla carenza logico-motivazionale si associa la plurima violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto.
Ne segue l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Venezia; la quale riconsidererà la fattispecie facendo applicazione dei suddetti principi.
La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Venezia; ai sensi dell’articolo 13, co.l quater dpr 115/02, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile in data 20 maggio 2015.
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