Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 18 settembre 2015, n. 4353

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5142 del 2013, proposto da:

Ch.Mi., rappresentata e difesa dall’avvocato En.Fi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Va.Ro., in Roma, via (…);

contro

CO. s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Lu.Mo. e Ma.Ra., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, Sezione I, n. 2/2013, resa tra le parti e concernente: risarcimento danni da reiezione illegittima di domanda di concessione di nuova ricevitoria;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015, il Consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Fi.Io. e Ra.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, decideva definitivamente sul ricorso n. 479 del 2011, proposto da Ch.Mi. nei confronti del CO. s.p.a. per sentir condannare le parti resistenti al risarcimento dei danni (esposti nell’importo complessivo di euro 886.507,56, oltre agli accessori) subiti in conseguenza dell’illegittima reiezione della domanda di concessione per l’installazione di una nuova ricevitoria di Totocalcio, per la stagione 1996/1997, presso il bar-edicola-ristorante Mi. s.a.s. sito nel Comune di Cepagatti e gestito dall’omonima società di cui la ricorrente era socia accomandataria. La Commissione di zona di Pescara del CO. aveva respinto la domanda con provvedimento dell’8 ottobre 1996, impugnato dalla ricorrente con ricorso gerarchico, a sua volta respinto dalla Commissione centrale con provvedimento dell’11 marzo 1997. Il ricorso giurisdizionale proposto avverso tali provvedimenti era stato accolto dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche, Sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 1011 del 22 dicembre 2005, di annullamento degli impugnati provvedimenti, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2735 del 9 maggio 2011, al che la ricorrente aveva agito per il risarcimento dei danni su cui il Tribunale amministrativo regionale si è pronunciato con la sentenza in epigrafe, provvedendo come segue:

(i) in accoglimento di correlativa eccezione sollevata dalle parti resistenti, affermava il difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente, indicando la Mi. s.a.s., esercente l’attività d’impresa asseritamente lesa dall’illegittimo provvedimento di diniego, come unico soggetto legittimato ad agire per il risarcimento dei danni, configurandosi in capo al socio accomandatario una lesione meramente indiretta e mediata e non potendo lo stesso dunque agire in via diretta contro nei confronti del terzo autore del fatto illecito incidente in senso pregiudizievole sul patrimonio sociale;

(ii) accoglieva, altresì, l’eccezione di carenza di legittimazione passiva in capo al CO., essendogli in forza dell’art. 8, comma 11, d.-l. 8 luglio 2002, n. 138 (convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178), succeduta in tutti i rapporti attivi e passivi la CO. s.p.a.;

(iii) affermava, in ogni caso, anche l’infondatezza nel merito della domanda risarcitoria, attesa l’ascrivibilità, sotto il profilo causale, della produzione dei danni asseritamente subiti alla condotta della stessa Mi. s.a.s., non avendo la medesima ripresentato la domanda di concessione per le stagioni successive al 1996/1997, ed essendo il concorso Totocalcio, successivamente, passato sotto la gestione dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, “la quale (…) non era affatto obbligata a confermare soltanto i ricevitori già titolari in forza di provvedimenti emessi dal precedente gestore (CO.) ” (v. così, testualmente, l’appellata sentenza);

(iv) condannava la ricorrente a rifondere alle parti resistenti le spese di causa.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) “Esistenza di giudicato fra le parti; violazione dello stesso da parte del giudice di prime cure. Illogicità della decisione impugnata in ordine alle statuizioni sulla legittimazione attiva e passiva”, sotto il duplice profilo che, in primo luogo, in caso di esercizio della domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 30, comma 5, Cod. proc. amm., entro il termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, “le parti in causa non possono essere altre che quelle nei confronti delle quali è stata pronunciata la decisione presupposta”, e che, in secondo luogo, l’odierna appellante era stata la destinataria dell’atto illegittimo annullato ed aveva subito “in ogni caso un danno in prima persona laddove si rifletta che, quale socia accomandataria del “BAR – Ristorante Mi.”, avrebbe necessariamente conferito nella detta società la concessione richiesta” (v. così, testualmente, il ricorso in appello);

b) “Erroneità della sentenza laddove dichiara non legittimata attivamente la Ch., quanto meno in relazione al danno diretto che ha indubbiamente subito”;

c) “Erroneità della decisione in ordine all’affermazione di infondatezza nel merito della domanda avanzata. Illogicità della decisione sul punto”;

d) “Erronea statuizione sulle spese”.

L’appellante riproponeva, inoltre, espressamente tutte le richieste formulate in primo grado, anche di natura istruttoria, e chiedeva, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado.

3. Si costituivano in giudizio le parti appellate (CO. e CO. s.p.a.), contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone le reiezione.

4. All’udienza pubblica del 12 maggio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato.

5.1. Destituiti di fondamento sono i motivi d’appello sub 2.a) e 2.b), tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente.

5.2.1. Il Tribunale amministrativo regionale correttamente ha dichiarato la carenza di legittimazione attiva in capo all’originaria ricorrente e odierna appellante.

Infatti, dalla lettura del ricorso di primo grado emerge in modo chiaro ed univoco, che la ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni asseritamente cagionati dal provvedimento dell’8 ottobre 1996 della Commissione di Zona per le ricevitorie Totocalcio del CO. di Pescara, annullato in sede giudiziale, “all’attività d’impresa svolta” (v. p. 4 del ricorso di primo grado), esponendoli nell’importo di euro 113.756,20 per il mancato guadagno dall’introito dal gioco del Totocalcio a far tempo dal 1997 e, rispettivamente, in quello di euro 750.000,00 per il mancato guadagno correlato alle maggiori entrate da consumazioni/acquisti presso il bar-edicola ristorante e da altri tipi di gioco ivi gestiti (Totip, Totosei, Enalotto), nonché per la preclusa possibilità di divenire concessionaria di altri e più redditizi giochi gestiti dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

Con ciò, i danni azionati in giudizio risultano riferiti esclusivamente all’attività d’impresa esercitata dalla Mi. s.a.s. nell’omonimo bar-edicola-ristorante, ivi compresa l’attività di ricevitoria dei vari giochi ivi gestiti, tant’è che, secondo la stessa prospettazione di parte ricorrente, essa, in caso di ottenimento della concessione, l’avrebbe apportata all’attività d’impresa gestita in forma societaria. Risulta, peraltro, documentalmente comprovato che il soggetto che esercita l’attività d’impresa presso i locali di via Nazionale in Cepagatti, ove avrebbe dovuto essere ubicata la nuova ricevitoria Totocalcio, è la Mi. s.a.s. di Mi., con socia accomandataria l’odierna appellante e soci accomandanti Ch., ed altri (v. visura camerale prodotta dalle parti resistenti in primo grado).

Orbene, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale condiviso da questo Collegio, qualora vengano posti in essere atti in danno di una società di persone, la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni spetta esclusivamente alla società e non al singolo socio, attesa l’autonomia patrimoniale della società, costituente entità distinta dai soci, con un proprio patrimonio e con una propria capacità di agire a tutela del medesimo, a mezzo dei legali rappresentanti (v. in tal senso, per tutte, Cass. civ., Sez. I, 7 agosto 2014, n. 17792; Cass. civ., Sez. I, 27 gennaio 1977, n. 406). Come, pertanto, correttamente affermato nell’appellata sentenza, il danno sofferto dal socio per il fatto illecito di un terzo, che abbia leso il patrimonio societario, è un danno meramente indiretto e mediato, per il cui ristoro il socio non ha azione diretta nei confronti del terzo autore dell’illecito, essendo, invece, la società l’unico soggetto legittimato ad agire per la reintegrazione del patrimonio sociale.

Inidonea ad infirmare tale conclusione è la deduzione dell’odierna appellante, secondo cui, “pur essendo vero che la Ch. avrebbe quasi certamente esercitato l’attività di cui aveva richiesto la concessione presso il Bar Mi., non possiamo escludere che avrebbe esercitato l’attività in proprio” (v. p. 17 del ricorso in appello), trattandosi, per un verso, di prospettazione meramente ipotetica e in contrasto con le precedenti deduzioni circa la produzione degli effetti lesivi sull’attività d’impresa del bar-edicola-ristorante Mi., esercitata in forma societaria, e, per altro verso, di allegazioni modificative dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria azionata in giudizio (e, quindi, della causa petendi), come tali precluse dal divieto dello ius novorum in appello sancito dall’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm..

Irrilevante è la circostanza che l’atto annullato recava come destinataria l’odierna appellante e che il giudicato di annullamento si sia formato nei confronti della medesima, attesa l’autonomia dell’azione risarcitoria, proposta ex art. 30, comma 5, Cod. proc. amm. entro il termine di centoventi giorni dalla formazione del giudicato di annullamento, rispetto all’azione di annullamento. Infatti, l’azione risarcitoria – anche se consequenziale ad una previa azione di annullamento –, secondo i generali principi processuali, deve essere proposta dal soggetto titolare della posizione giuridica soggettiva che si assume lesa (nella specie, costituita dall’integrità del diritto all’esercizio dell’impresa gestita in forma sociale), non essendo, di regola, consentito di far valere in nome proprio un diritto altrui ed esulandosi dalle ipotesi tassative di legittimazione ad agire straordinaria che, eccezionalmente, consentano la sostituzione processuale, pena la violazione del combinato disposto degli artt. 39, comma 1, Cod. proc. amm. e 81 Cod. proc. civ..

5.2.2. Del pari, correttamente è stata affermata la carenza di legittimazione passiva in capo al CO., in quanto:

– secondo l’art. 8, comma 11, d.-l. 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate), convertita dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, la CO. s.p.a. è succeduta in tutti i rapporti attivi e passivi del CO.;

– essendo, per un verso, al successore ex lege opponibile il giudicato di annullamento formatosi nei confronti del dante causa, ed essendo, per altro verso, la successione intervenuta prima dell’instaurazione del presente giudizio risarcitorio (con ricorso di primo grado notificato il 26 ottobre 2011 ed il 2 novembre 2011), l’unico soggetto legittimato passivo dell’azione risarcitoria era la CO. s.p.a., mentre il CO. era, ormai, privo di legittimazione passiva.

5.3. La conferma della statuizione dichiarativa della carenza di legittimazione attiva in capo all’originaria ricorrente costituisce ragione assorbente di reiezione dell’appello, con impedimento all’ingresso del motivo d’appello sub 2.c), attinente al merito della pretesa risarcitoria.

Irrilevante è, al riguardo, la circostanza che la Se. s.p.a. abbia formulato l’offerta transattiva di chiudere la controversia verso la corresponsione di un importo di euro 18.000,00, elevato ad euro 25.000,00 nella memoria di costituzione di primo grado depositata il 24 gennaio 2012, non potendovisi ravvisare alcun riconoscimento di debito, ma trattandosi di offerta formulata transigendi causa, che non ha trovato esito alcuno per la mancata accettazione di controparte.

5.4. Privo di fondamento è il motivo sub 2.d), con cui è censurata l’erronea statuizione sulle spese di causa, avendo il Tribunale amministrativo regionale fatto corretta applicazione del criterio della soccombenza.

6. Il medesimo criterio regolatore deve informare la statuizione sulle spese del presente grado di giudizio, da porre a carico dell’appellante nella misura liquidata nella parte dispositiva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 5142 del 2013), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante e rifondere alle parti appellate le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 4.000,00 (quattromile/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 18 settembre 2015.

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