Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 23 settembre 2015, n. 38733
Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 27.1.2015 il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, respingeva gli appelli proposti, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., avverso le ordinanze di rigetto dei 10 e 22 dicembre 2014 delle richieste presentate nell’interesse di C.A. di revoca della misura degli arresti domiciliari, ovvero di sostituzione con misura meno afflittiva, ovvero di autorizzazione a recarsi ogni giorno presso una chiesa di Roma – rilevando che, per quanto concerne il primo appello, le argomentazioni proposte dalla difesa, riferibili all’ordinanza del Tribunale del Riesame del primo dicembre 2014, non potevano essere valutate, perché nessuna di queste costituiva fatto nuovo, mentre, la richiesta di autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di applicazione della misura degli arresti domiciliari -in ogni giorno della settimana, per due ore (ovvero con altre modalità)- al fine di poter frequentare la Chiesa indicata nell’atto di appello, non può essere ricondotta al presupposto -previsto dall’art. 284, comma terzo, c.p.p.- delle indispensabili esigenze di vita.
2.Avverso tale ordinanza il C., a mezzo dei suoi difensori di fiducia ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, con i quali lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, atteso che, da un attento esame degli atti, ed in particolar modo dell’ordinanza del 10 dicembre 2014 del Tribunale dei riesame, si evince che nel provvedimento impugnato non sono state esaminate le questioni poste e soprattutto gli atti allegati dalla difesa, dai quali emerge l’assoluta e sopravvenuta mancanza dei presupposti necessari al mantenimento del provvedimento restrittivo, omissione questa che, oltre ad integrare il vizio di motivazione nella forma della motivazione apparente o del travisamento degli atti (nella misura in cui si afferma la mancanza di elementi nuovi che viceversa erano stati allegati dalla difesa), impedisce di fatto lo stesso controllo di legittimità sul provvedimento impugnato e come tale lo rende annullabile; in particolare, il Tribunale dei Riesame con l’ordinanza del 10 dicembre 2014 ha ritenuto le dichiarazioni rese da P. A. non rilevanti e, comunque, non riferibili ad operazioni di natura distrattiva e tale valutazione appare del tutto difforme e nuova rispetto a quella data con l’ordinanza “genetica”, emessa dal G.i.p. in data 5 agosto 2014, confermata dal successivo provvedimento del Tribunale del Riesame del 13.08.2014, con il quale è stato dato atto dell’importanza delle dichiarazioni di A.P., storico collaboratore della famiglia C., in quanto attendibili e rafforzanti il quadro indiziario ricostruito nel corso delle indagini; in base all’ordinanza del 1° dicembre 2014 l’indagato presentava nuova istanza di revoca della misura restrittiva, rilevando come per l’appunto vi fosse stata una diversa e nuova rilettura degli atti di indagine, tale da negare sia l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che la sussistenza delle stesse esigenze cautelari, ma ciononostante il Tribunale del Riesame, si pronunciava negativamente, sia sull’istanza, che sul successivo atto di appello, con motivazione carente e contraddittoria;
-con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) ed e) c.p.p., atteso che il giudice a quo, ha ritenuto che le argomentazioni proposte dal C. in sede di appello non costituissero “fatto nuovo”, non potendosi considerare tale l’intervenuta esecuzione del provvedimento di sequestro disposto dal Tribunale Sezione Misure di Prevenzione, in quanto il suddetto provvedimento non sarebbe in grado di escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo irrevocabile, ma tale motivazione si pone in evidente contrasto con quanto dettato dal legislatore in merito alle esigenze cautelari, ovverosia alla necessità della loro attualità e concretezza, riferibile al singolo caso di specie; è, infatti, evidente che in tale prospettiva alcun rilievo possa avere la dedotta circostanza che il provvedimento di sequestro del Tribunale per le misure di prevenzione non sia irrevocabile, dovendosi guardare lo stesso nel momento attuale ed alle conseguenze concrete che determina nel caso specifico e non pro futuro;
– con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma primo, lettera e) c.p.p., atteso che, sia nella preliminare istanza, che successivamente nell’atto di appello, il ricorrente non solo chiedeva la revoca della misura restrittiva in atto, ma altresì richiedeva in subordine l’applicazione di altra misura meno afflittiva e più adeguata alle prospettate esigenze cautelari, ma sul punto il Tribunale per il Riesame non dà alcuna motivazione, derivandone un evidente vulnus dell’ordinanza impugnata, che si è limitata ad evidenziare come non siano emersi elementi per ritenere che le esigenze cautelari siano venute meno od affievolite;
-con il quarto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma,
lett. b) ed e) c.p.p., atteso che non si presentano condivisibili le argomentazioni svolte dal giudice a quo in merito all’ulteriore istanza avanzata dal C. relativa alla richiesta di autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di applicazione della misura degli arresti domiciliari, al fine di poter frequentare la Chiesa indicata nell’atto di appello, non rientrando tale istanza, tra le indispensabili esigenze di vita previste dall’art. 284 co. 3 c.p.p.; tale motivazione contrasta con quanto stabilito dal legislatore in primis nella Carta Costituzionale, nella quale, all’art. 19, viene garantito ad ogni soggetto, imputati compresi, di professare liberamente la propria fede religiosa; la suddetta decisione contrasta altresì con l’art. 26 della L. n. 354/197, nel quale viene garantita a tutti i detenuti ed internati, la piogena libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne i riti; il Tribunale, inoltre, disancora la predetta decisione da qualsiasi assunto in ordine alle esigenze cautelari, sia nel concedere che nel negare le richieste svolte dall’imputato.
Considerato in diritto
Il ricorso non merita accoglimento.
1.I1 primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole della mancata valutazione dell’elemento nuovo costituito dalla diversa considerazione delle dichiarazioni di P., è infondato. Giova premettere che questa Corte ha condivisi bilmente evidenziato che in tema di misure cautelari personali l’effetto preclusivo di un precedente giudizio cautelare viene meno soltanto in presenza di un successivo, apprezzabile, mutamento del fatto; ne consegue che, in difetto di nuove acquisizioni probatorie che implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata, le questioni dedotte a sostegno di una richiesta di revoca presentata dall’interessato restano precluse (Sez. 5, n. 17986 del 09/01/2009).
1.1.Ciò posto, nel caso di specie, il ricorrente invoca la sopravvenuta “diversa” valutazione delle dichiarazioni rese da P. A., espressa in termini di loro irrilevanza nel provvedimento del 1.12.2014 del Tribunale del riesame – con il quale veniva respinto l’appello dei P.M. avverso il decreto di rigetto (parziale) della richiesta di sequestro preventivo del capitale sociale di alcune società facenti capo agli indagati e di altri beni- a fronte della ritenuta rilevanza delle dichiarazioni dei predetto nell’ordinanza applicativa della misura custodiale e nei successivi provvedimenti confermativi di essa.
1.2.Orbene plurimi elementi depongono per l’infondatezza dell’assunto del ricorrente. Innanzitutto, non si ritiene, in linea generale, che una “diversa valutazione” effettuata da altro giudice, in altro contesto, di dichiarazioni che non hanno da sole costituito il grave quadro indiziario, avendo offerto un ulteriore contributo, possano in sé astrattamente integrare un “elemento nuovo”, tale da comportare una rivalutazione degli elementi a carico dell’indagato ed una specifica valutazione e motivazione sul punto, non trattandosi di mutamento del fatto. In ogni caso, il mero riferimento ad alcuni passaggi motivazionali dei due provvedimenti messi a confronto, decontestualizzati dal più generale ambito di riferimento, non appare sia idonea a dar conto di “novità”.
Nella fattispecie in esame appare, tuttavia, dirimente il dato evincibile dalla mera lettura dei provvedimenti indicati e specificamente dei punti e delle pagine elencate in ricorso dai quali non emerge alcuna diversa e nuova valutazione delle dichiarazioni del P. dal parte del Tribunale dei riesame.
1.3.L’ordinanza genetica, invero, ha dato chiaramente conto dei fatto che le relazioni ex art. 33 L. Fall. e le dichiarazioni della curatrice della S.I.E. Costruzioni Generali s.p.a., oltre che la consulenza tecnica effettuata, hanno consentito di ricostruire le condotte distrattive riferibili all’indagato, laddove le ampie dichiarazioni dei P., compiutamente riportate nel provvedimento, hanno chiarito “definitivamente i rapporti tra le varie società riconducibili agli indagati E., A., R. C. e consentono una chiara lettura di tutte le operazioni distrattive ricostruite dalla curatrice fallimentare e dalla consulente. La attendibilità del P. discende dal ruolo di stretto collaboratore dei C. ed in particolare di A. C. dallo stesso rivestito per decenni, dalla sua profonda conoscenza di tutte le vicende societarie, molte delle quali vedono un suo diretto coinvolgimento. Tale ruolo e tale conoscenza sono stati, peraltro, riscontrati dalla stessa curatrice che ha più volte indicato nel P. il soggetto con il quale ha interloquito e del quale ha riconosciuto la competenza’:
Nel provvedimento dei 1° dicembre 2014 il Tribunale del riesame, invece – in linea con la considerazione di carattere generale dell’ordinanza genetica, secondo cui il P. ha fornito solo una chiave di lettura delle distrazioni ricostruite dalla curatrice – ha ritenuto irrilevanti le specifiche dichiarazioni dei predetto, richiamate dal P.M. (che non sono state riportate nel provvedimento in questione e delle quali dunque non si conosce il tenore) in funzione di supportare il sequestro di ulteriori beni tra cui il capitale sociale di alcune società ed altri beni (non elencati specificamente nel provvedimento in questione), oltre a quelli già attinti da misura cautelare reale. Emerge evidente, dunque, che non trattasi di una valutazione di inattendibilità o di un ridimensionamento della portata delle stesse, ma esclusivamente di una non diretta pregnanza in merito alle richieste avanzate dal P.M. in relazione ai beni da sottoporre a misura cautelare reale.
Il Tribunale, pertanto, quantunque non abbia specificamente argomentato in punto di rilevanza e di novità delle valutazioni effettuate nel provvedimento del 10 dicembre 2014, non è incorso in errore nella valutazione conclusiva circa la non novità di tale elemento. D’altra parte, in sede di legittimità, non è censurabile il provvedimento impugnato, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., che il provvedimento evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (arg. ex Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013).
2. Generiche e, comunque infondate si presentano le censure di cui al secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole, in sostanza, della non corretta valutazione del fatto nuovo costituito dalla misura di prevenzione disposta dal Tribunale di Roma di sequestro del capitale sociale di alcune società oltre che di beni immobili e conti correnti, che, nel privare il deducente della disponibilità di essi, avrebbe eliso la possibilità di reiterare le condotte criminose. L’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, circa la non irrevocabilità della misura di prevenzione, a prescindere dalla sua con-divisibilità, o meno, va letta in relazione a quella assorbente circa l’inidoneità della misura di prevenzione ad escludere in sé la sussistenza di esigenze cautelari, valutazione questa che non risulta aver costituito oggetto di specifiche e pregnanti censure, non avendo esplicitato e chiarito il ricorrente come il sequestro in sostanza elida il pericolo di reiterazione della condotta criminosa. Specie ove si consideri quanto evidenziato dal Tribunale nel provvedimento reiettivo del 10.12.2014, circa il fatto che il C. riveste cariche amministrative in ulteriori società, sicchè il pericolo di reiterazione della condotta criminosa non può ritenersi eliso.
3. Va respinto, altresì, il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura l’assenza di motivazione in merito alla specifica richiesta di revoca della misura restrittiva in atto od in subordine di applicazione di altra misura meno afflittiva, atteso che il Tribunale, nell’aver esposto che alcun elemento poteva dirsi emerso al fine di ritenere venute meno od affievolite le esigenze cautelari, in uno al rilievo dell’assenza di elementi di novità nel quadro cautelare a carico dell’indagato, ha di fatto respinto la richiesta di revoca, o sostituzione, della misura cautelare in atto, dando chiaramente conto delle ragioni della decisione.
4. Infondato è, inoltre, il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente censura la valutazione del Tribunale del riesame circa la mancata riconduzione dell’invocata frequentazione della Chiesa al presupposto previsto dall’art. 284/3 c.p.p. delle “indispensabili esigenze di vita”. Ed invero, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte, che, partendo dalla premessa, secondo cui sebbene non possa escludersi in linea astratta che “le indispensabili esigenze di vita” di cui terzo comma dell’art. 284 c.p.p. possano riguardare bisogni non solo materiali, ma anche spirituali, nel cui ambito potrebbe rientrare la soddisfazione bisogni di natura religiosa, tuttavia occorre considerare il disposto di cui all’art. 277 c.p.p., che nel prevedere che le misure cautelari salvaguardino i diritti della persona, subordina il loro rispetto alla compatibilità con le esigenze cautelari, sicchè deve ritenersi legittima la limitazione, nei confronti di persona sottoposta al regime detentivo, di diritti e facoltà normalmente spettanti ad ogni persona libera, quando detta limitazione non dia luogo ad una loro totale soppressione e per altro verso sia finalizzata a garantire le esigenze cautelari (Sez. 4, n. 32364 del 27/04/2012). In tale contesto dunque non può non tenersi conto dei fatto che l’evoluzione della tecnologia consente di osservare il precetto canonico anche attraverso modalità diverse dalla diretta partecipazione al culto, ad esempio attraverso l’utilizzo del mezzo’televisivo, come peraltro fanno gli infermi costretti a rimanere allettati in ambito ospedaliero o domiciliare. Da ciò discende che in presenza di esigenze cautelari che impongono la restrizione agli arresti domiciliari dell’indagato, il diniego della autorizzazione all’uscita di casa per partecipare alla messa, non compromette “indispensabili esigenze di vita” del ricorrente.
Privo di fondamento, in proposito, si presenta il richiamo ai valori espressi dall’art. 19 della Carta Costituzionale, non venendo in rilievo nel diniego alla frequentazione della chiesa il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa che senz’altro non viene intaccato dalla permanenza domiciliare.
Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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