Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 24 luglio 2015, n. 3653

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4702 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. – Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

contro

-OMISSIS-, in persona dell’attuale amministratore giudiziario pro tempore, dott. Do.Ma.Pe., nominato con provvedimento di sequestro preventivo del 26.6.2015 dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma nell’ambito del procedimento n. 2266/2014 G.I.P. Tribunale di Roma, rappresentato e difeso dall’Avv. Sa.St.Da., con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Sa.St.Da. in Roma, piazza (…);

nei confronti di

Banca d’Italia, in persona del Governatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. St.Ri.Ce. e dall’Avv. Ad.Pa., con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Banca d’Italia in Roma, via (…); Se.Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. An.Ab., con domicilio eletto presso lo stesso Avv. An.Ab. in Roma, via (…); Se.Se.Si. s.r.l., appellata non costituita; Se.Se.Fi. s.p.a., appellata non costituita; Se. s.p.a., appellata non costituita; Fa.Na., Fa.Vi., Al.Ca., Da.Ca., An.Pa., Ma.Pa., Fa.Pe., An.Fa., Fa.Gr., Fa.Ve., Ma.Va.Do., Ma.Bo., Fa.Pr., Se.Pe., Pi.Pa.Pi., Da. Di Pr., Ma.Ma., Lu.Ie., Mi. La Ro., Ti.Bo., Ma.Fa., Cl.To., Ma. Di Ci., Na.Ba., Fa.Lo., Al.Ma., Al.Be., Fr.Ta., Gi.Fr., Lu.Ca., Pi.Sp., Lu.Ro.Bo., Gi. Di Ma., Gi.As., Fa.Pe., Sa.Ie., Po.Sa., Da. La Fo., Ro.Ma., St.En.Vi., Ma.St., Da.Ce., Da.Ch., appellati non costituiti;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I TER n. 05202/2015, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio di – OMISSIS – e della Banca d’Italia e di Se.Se. s.r.l.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

visto l’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 196/2003;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti gli avvocati Te., Pu., St.Da., Ab., Ce. e dello Stato So.Ag.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La Prefettura della Provincia di Roma, con provvedimento n. 234639/Area I bis OSP del 16.10.2014, ha adottato una informativa interdittiva antimafia nei confronti degli – OMISSIS-OMISSIS- e -OMISSIS-, nella qualità di controllante, in quanto riconducibili alla gestione di -OMISSIS-, quale amministratore di fatto, ritenuto quale prestanome e longa manus ddi -OMISSIS-, personaggio di notevole spessore criminale legato alla tristemente nota “Banda della Ma.”.

2. L’odierna appellata, -OMISSIS-, ha impugnato avanti al T.A.R. Lazio tale informativa insieme con tutti gli atti, presupposti e correlati, e in particolare con il conseguente atto di esclusione dalla gara per l’affidamento dei servizi di vigilanza degli edifici dell’Amministrazione Centrale della Banca d’Italia in Roma e del Centro Do.Me. in Frascati, chiedendone l’annullamento e il conseguente risarcimento dei danni.

3. La ricorrente, in primo grado, ha dedotto quattro motivi di illegittimità dei provvedimenti impugnati:

a) la violazione degli artt. 84, 91, 94 e 95 del d.lgs. 159/2011 nonché per difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti, poiché l’informativa avrebbe ritenuto il condizionamento mafioso sulla base di condanne, riportate da – OMISSIS-, del tutto estranee a contesti e dinamiche mafiose;

b) la violazione degli artt. 84, 91, 94 e 95 del d.lgs. 159/2011 e l’eccesso di potere, poiché l’informativa avrebbe erroneamente qualificato -OMISSIS – come amministratore di fatto, mentre egli tale non è;

c) la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 159/2011, con particolare, anche se non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, la violazione e la falsa applicazione del Protocollo d’intesa sottoscritto tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Ministero dell’Interno, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 e del protocollo numero 12 articolo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) (divieto di discriminazione), la violazione e la falsa applicazione degli artt. 17 e 18 CEDU (divieto dell’abuso di diritto), l’eccesso di potere per difetto di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, il difetto di istruttoria e di motivazione, la contraddittorietà manifesta, il travisamento di atti e fatti, l’erroneità e il difetto dei presupposti, lo sviamento e la manifesta ingiustizia;

d) la violazione di legge e, in particolare, degli artt. 7 e ss. della l. 241/1990, la violazione degli art. 21-bis, 21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990 e dei principi in materia di revoca/annullamento degli atti amministrativi, l’illegittimità derivata, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 94 e 95 del d.lgs. 159/2011, l’eccesso di potere per difetto di presupposto, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e per logicità manifesta, il difetto assoluto di motivazione.

4. Si sono costituite in primo grado le Amministrazioni, odierne appellanti, che hanno depositato la documentazione relativa all’istruttoria che ha condotto all’adozione dell’informativa nonché la nota della Guardia di Finanza prot. n. 487975 dell’11.11.2014, pur successiva all’informativa.

5. Gli atti prodotti a corredo dell’informativa sono stati impugnati dalla ricorrente con tre motivi aggiunti.

6. Sono intervenuti ad adiuvandum avanti al T.A.R. alcuni dipendenti della società ricorrente.

7. Si è costituita nel primo grado di giudizio Se.Se. s.r.l., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

8. Si è costituita anche Si. s.p.a., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

9. Si è costituita, altresì, la Banca d’Italia per chiedere anche essa il rigetto del ricorso.

10. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 5202 del 9.4.2015, ha accolto il primo motivo del ricorso, ritenendo che gli elementi posti a sostegno dell’informativa non avessero il carattere dell’attualità, nonostante la sentenza di condanna, per il delitto di usura, pronunciata dal Tribunale di Roma nei confronti di – OMISSIS -, per fatti risalenti al 2001-2003, e ha annullato gli atti impugnati, respingendo tuttavia la domanda risarcitoria proposta in primo grado da -OMISSIS-.

11. Avverso tale sentenza hanno proposto appello principale il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Roma e l’Autorità Nazionale Anticorruzione, e ne hanno chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado.

11.1. Si è costituita l’appellata -OMISSIS-, domandando di respingere l’appello principale e proponendo, a sua volta, appello incidentale, volto a censurare le parti della sentenza a lei sfavorevoli, e riproponendo, altresì, i motivi non esaminati dal primo giudice.

12. Si è costituita anche la Banca d’Italia, proponendo appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale delle Amministrazioni, appellanti principali, in relazione all’annullamento del provvedimento di esclusione dalla gara conseguente all’informativa prefettizia.

13. Si è costituita, infine, Se.Se. s.r.l. per aderire all’appello principale.

14. Nella camera di consiglio del 18.6.2015, fissata per l’esame della domanda cautelare, la causa è stata rinviata, per la sollecita trattazione del merito, all’udienza pubblica del 16.7.2015.

15. Nella pubblica udienza del 16.7.2015 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

15.1. Lo stesso 16.7.2015 si è costituito il dott. Do.Pe., quale amministratore giudiziario di -OMISSIS-, nominato dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma.

16. L’appello principale, proposto dal Ministero dell’Interno, della Prefettura di Roma e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, è fondato e va accolto.

17. Il primo giudice ha fondato la sua propria statuizione annullatoria sul convincimento che “in assenza di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che, secondo l’esperienza comune, assumono un significato univoco nel senso di ritenere ancora attualmente sussistenti rapporti tra il – OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, l’interdittiva antimafia, risulta illegittima, per difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti” (p. 11 della sentenza impugnata).

17.1. Secondo il T.A.R. capitolino, in altri termini, difetterebbe all’informativa la indispensabile connotazione dell’attualità, non rilevando in contrario la data, ben successiva, di adozione della sentenza penale che ha definito il relativo giudizio di primo grado, peraltro appellata.

17.2. Ciò che assume rilevanza, ha affermato il primo giudice, è il periodo in cui sono stati consumati i fatti-reato, oggetto di condanna e anche solo di esame e di valutazione da parte del giudice penale.

18. Una simile lettura del dato normativo in materia, tuttavia, non convince perché conduce ad una interpretatio abrogans dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. 159/2011 e del valore estrinseco che alle sentenze di condanna, anche non definitive, tale disposizione assegna.

18.1. Valga qui osservare che, a mente dell’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. 159/2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”.

18.2. Ora ben può desumere e bene ha desunto l’autorità prefettizia tali elementi dalla sentenza del Tribunale penale di Roma che, pur intervenuta nel 2013 e ancorché oggetto di impugnazione, ha condannato – OMISSIS – per il delitto di cui all’art. 644 c.p.

18.3. Ritenere che tale sentenza sia irrilevante, soltanto perché ha ad oggetto fatti risalenti nel tempo, significa introdurre un elemento della fattispecie – l’attualità del fatto di reato, oggetto di condanna – che non è contemplato dalla disposizione, la quale si limita a prevedere che la condanna per uno dei delitti-spia, quale che sia il tempo in cui è intervenuta, debba essere presa in considerazione dal Prefetto ai fini del rilascio dell’informativa.

18.4. Diversamente ragionando, del resto, si perviene alla paradossale conseguenza che i tempi dell’accertamento dibattimentale, nella pienezza del contraddittorio, tornano a favore e non in danno del soggetto condannato, ancorché in via definitiva.

18.5. Ove si seguisse un simile ordine di idee, infatti, quanto più si dilatano i tempi dell’accertamento dibattimentale e aumenta la distanza, sul piano cronologico, della condanna dalla commissione dei fatti, tanto più irrilevante diverrebbe l’incidenza della condanna sulla valutazione degli elementi di permeabilità mafiosa dell’impresa, trascurandosi però, in questo modo, di considerare che è spesso la complessità dei fatti e la molteplicità delle parti (e, non di rado, l’impiego di strategie processuali dilatorie), nei processi relativi alla criminalità organizzata di stampo mafioso o a reati connessi a tale tipo di criminalità, a condizionare pesantemente l’accertamento dibattimentale e la lunghezza del giudizio.

18.6. Tale lunghezza, con la conseguente sopravvenienza della condanna anche a notevole distanza di tempo dai fatti accertati, non può rendere irrilevante la sentenza di condanna, ai fini di cui all’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. 159/2011, nella valutazione del Prefetto, per il quale la condanna è un elemento attuale, ancorché intervenuta dopo molti anni dai fatti di reato, da cui egli desume gli elementi per valutare il pericolo di condizionamento mafioso.

19. Altra e più complessa questione investe, naturalmente, l’apprezzamento che il Prefetto compie della sentenza e, cioè, il valore intrinseco che il contenuto della sentenza assume nella valutazione discrezionale compiuta dall’autorità.

19.1. E qui si deve aver riguardo al disposto dell’art. 93, comma 4, del d.lgs. 159/2011, secondo cui il Prefetto, acquisita la relazione del gruppo interforze, “valuta se dai dati raccolti possano desumersi, in relazione all’impresa oggetto di accertamento e nei confronti dei soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa stessa, elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6”.

19.2. La sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Roma l’8.11.2013, nel condannare -OMISSIS- per il delitto di usura p. e p. dall’art. 644 c.p., lo dipinge “come un fiduciario del -OMISSIS-, “testa di paglia” privo di pregiudizi alla qual intestare i cespiti che altri avrebbero dovuto di fatto gestire, presenza utile non solo perché privo di pregiudizi e di “storia criminale” pregressa ma anzi – trattandosi di figlio di noto uomo politico – il più adatto per accreditare i sodali nei rapporti con i terzi, in primis con le banche” (pp. 39-40).

19.3. Il T.A.R. ha ritenuto che i contatti tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, legata all’organizzazione criminale tristemente nota della Banda della Ma., non possano essere più attuali sia per il mero decorso del tempo, risalendo a dieci anni addietro i fatti per i quali è intervenuta la condanna, sia per il rilievo che già nel 2004 il G.I.P. presso il Tribunale di Roma, nel rigettare, con l’ordinanza n. 5439 del 9.11.2004, la richiesta di custodia cautelare in carcere formulata nei confronti, tra gli altri, proprio di -OMISSIS-, osservava che, sulla base delle intercettazioni telefoniche, era emersa con estrema chiarezza la precisa volontà del -OMISSIS- di interrompere qualsiasi contatto e cointeressenza con la famiglia -OMISSIS-.

20. Nessuno dei due elementi, tuttavia, può ritenersi decisivo per escludere l’attualità dei contatti tra -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-.

20.1. Quanto al primo, relativo al mero decorso del tempo, questa Sezione ha costantemente affermato (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 23.1.2015, n. 305) il principio di diritto secondo cui l’interdittiva può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando tuttavia dal complesso delle vicende esaminate, e sulla base degli indizi (anche più risalenti) raccolti, possa ritenersi sussistente un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa.

20.2. Se dall’esame dei fatti più recenti non esce confermata l’attualità del condizionamento, pur ipotizzabile sulla base dei fatti più risalenti, l’informativa deve essere annullata (Cons. St., sez. III, 13.3.2015, n. 1345).

20.3. Ora l’esame della sentenza penale, effettuato dall’interdittiva, dimostra che il Prefetto ha ritenuto attuale il legame esistente tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS- e, cioè, non interrotto, ma perdurante il rapporto di collaborazione e di cointeressenza economica descritto, seppure per affermarne la responsabilità penale in ordine a specifici fatti contestatigli, nella sentenza penale stessa, al punto che il provvedimento prefettizio, recependo le motivazioni del giudice penale, non esita a definire -OMISSIS- quale longa manus della famiglia -OMISSIS-.

20.4. L’informativa, sulla base degli elementi istruttori raccolti e delle motivazioni contenute nella sentenza penale, ha ritenuto in altri termini attuale tale stretto legame di collaborazione/dipendenza del -OMISSIS- rispetto alla famiglia -OMISSIS- e concreto, quindi, il pericolo di condizionamento mafioso da parte di tale famiglia su -OMISSIS- per il tramite del -OMISSIS-.

20.5. La circostanza che tale rapporto sia emerso solo in occasione dei fatti contestati nel periodo tra il 2001 e il 2003, oggetto del giudizio penale, nulla toglie all’attualità di tale rapporto, quale descritta dalla stessa sentenza penale e recepita dall’autorità prefettizia.

20.6. Né alla saldezza di tali legami sottrae attualità il provvedimento del G.I.P., sopra menzionato e risalente ad un’epoca immediatamente successiva ai fatti (2004), poiché tale provvedimento si limita a chiarire solo che la precedente attività delittuosa del – OMISSIS – si è interrotta non per resipiscenza, ma per puro calcolo di mera opportunità, e che “le condotte criminose realizzate dal – OMISSIS – siano state episodi, certamente negativi e gravi, connotati da elevata pericolosità, non proseguiti ulteriormente, anche a causa delle misure cautelari adottate nei confronti dei complici e dei soggetti per i quali operava”.

20.7. La volontà di interrompere il sodalizio criminoso, per ragioni opportunistiche o, finanche, per una pur legittima strategia processuale volta a separare le sue sorti da quelle degli altri – all’epoca – coindagati e arrestati, non significa però che i legami economici tra -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS- siano stati rescissi e il duraturo rapporto di collaborazione/subordinazione tra il primo e la seconda sia venuto meno.

21. La società ricorrente, in primo grado, non ha fornito elementi tali da far ritenere spezzato il legame di cointeressenza economica tra -OMISSIS-, che agiva indisturbato da occulto dominus all’interno della cooperativa appellata, e la famiglia -OMISSIS- – al di là del provvedimento del G.I.P., sopra citato, che tuttavia non rileva a tal fine – essendosi limitata a contestare l’assenza di attualità per il semplice decorso del tempo dai fatti.

21.1. Ma questo argomento non è probante, non solo perché il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari, ma anche perché trascura di considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durezza e, insieme, durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile.

21.2. Proprio le vicende esaminate dalla sentenza del Tribunale penale di Roma, per quanto oggetto di appello e tuttora sub iudice, lo dimostrano.

22. A nulla rileva, d’altro canto, che tale sentenza penale abbia escluso, per tali specifiche vicende, l’aggravante di cui all’art. 7 della l. 203/1991 (pp. 9-11 della sentenza), quando la giurisprudenza di questo Consiglio è ben costante nell’affermare, per analoghe vicende, che, nonostante l’eliminazione dalle imputazioni di detta aggravante per carenza di risultanze d’indagine idonee a sostenerne proficuamente l’accusa, già i reati di usura, come nel caso di specie, e di estorsione in concorso, per la loro stessa indole e tipicità, sono sufficienti a corroborare una non illogica valutazione di possibile contiguità con associazioni mafiose, tenuto pure conto che in materia possono considerarsi rilevanti elementi non ritenuti tali ai fini di prova in sede penale (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 11.7.2014, n. 3557).

23. L’attualità dei rapporti tra -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, lungi dall’essere stata convincentemente smentita dalla ricorrente in primo grado, è anzi confermata dalla recente ordinanza del 26.6.2015 del G.I.P. presso il Tribunale di Roma, depositata dalla difesa erariale, ordinanza che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a -OMISSIS- per molteplici contestazioni, tra le quali la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, dovute -OMISSIS-, e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

23.1. In detta ordinanza (p. 39) si legge che “il -OMISSIS-, nonostante il processo subito e ancora in corso, non ha mai rescisso i legami con i -OMISSIS-” e che la circostanza è documentata dagli esiti della perquisizione personale e locale a suo carico, nel corso della quale è stato rinvenuto, all’interno dell’ufficio di Presidenza di Guidonia Montecelio, in suo uso, un biglietto da visita di – OMISSIS – della “SE.TE.”, riportante, a suo tergo, l’appunto manoscritto con due utenze cellulari intestate a-OMISSIS-OMISSIS, quest’ultimo figlio di -OMISSIS-, cassiere della nota Banda della Ma.

23.2. Sono stati rinvenuti altri 11 orologi di pregio, non sottoposti a sequestro, cinque dei quali erano confezionati in custodie riportanti il logo del bigliettino da visita sul cui retro era appuntato, significativamente, il nome di-OMISSIS–OMISSIS-.

23.3. -OMISSIS-, per quanto emerge dalla informativa del 19.12.2014, è titolare della “IN TI. s.n.c. di -OMISSIS-e C”, esercente l’attività di commercio al dettaglio di orologi e articoli di gioielleria, con sede in Roma, via (…).

23.4. Allo stesso indirizzo vi è la sede secondaria della SE.TE. s.r.l., di cui è legale rappresentante e socia, al 95%, -OMISSIS-, madre di -OMISSIS-, mentre altro socio di tale società è -OMISSIS-.

23.5. La polizia giudiziaria ha riferito che dalle indagini tecniche svolte nell’ambito del proc. 55278/02 DDA erano emersi contatti tra l’utenza cellulare intestata a -OMISSIS- e l’utenza cellulare intestata a-OMISSIS-OMISSIS-, sottoposta ad intercettazione dal 12.5.2001 al 26.7.2001.

23.6. Nel capo di imputazione per riciclaggio sub 6, di cui alla più volte citata sentenza del 2013, -OMISSIS-e -OMISSIS- sono indicati quali beneficiari di assegni tratti sul conto corrente della Nu.El. s.r.l., società gestita dalla famiglia -OMISSIS-.

23.7. Tra l’altro, ha rilevato ancora il G.I.P. nella recente ordinanza (p. 39), l’utenza mobile indicata nel biglietto rinvenuto è stata attivata solo il 21.5.2013, “segno di una attualità di rapporti tra -OMISSIS- e-OMISSIS–OMISSIS-“.

24. Le motivazioni dell’ordinanza cautelare appena citata aiutano a lumeggiare l’episodio della perquisizione personale e locale eseguita nel febbraio 2014 a carico di -OMISSIS-, pur esaminata dal T.A.R. che però, dopo aver premesso come tale elemento istruttorio non sia stato valorizzato dall’informativa e costituisca una motivazione postuma, nega che da essa sia desumibile la permanenza di rapporti tra -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, poiché ritiene “verosimile che i due numeri telefonici siano serviti nel corso del processo penale riguardante entrambi (il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-) conclusosi solo tre mesi prima della perquisizione” e afferma che l’eventuale indizio che potrebbe ricavarsi dalla perquisizione “non è suffragato da ulteriori elementi ben più attendibili in ordine alla sussistenza di tali rapporti, quali sono quelli desumibili da intercettazioni telefoniche e/o ambientali” (p. 35 della sentenza impugnata).

24.1. Se si può convenire con il primo giudice sul rilievo che gli esiti della perquisizione non siano stati menzionati dall’informativa, per quanto contenuti negli atti dell’istruttoria svolta dall’autorità prefettizia e recepiti nell’interdittiva, non si può condividere l’analisi di tale materiale probatorio che il primo giudice compie, non solo perché la spiegazione “processuale” del ritrovamento dei numeri fornita dal T.A.R. appare assai meno verosimile e plausibile di quella “sostanziale” e, cioè, che i due soggetti continuino a frequentarsi e ad avere rapporti economici, come dimostra la vicenda degli orologi, ma perché tale ultima spiegazione, diversamente da quanto assume il T.A.R., è suffragata da elementi indiziari seri e probanti, ben evidenziati – e con effetti ben più gravi – dal G.I.P. nella sua ordinanza, elementi che non necessariamente devono provenire da intercettazioni ambientali o telefoniche.

25. Ne deriva che, per le ragioni appena espresse, la persistenza e la frequenza dei rapporti tra -OMISSIS-, vero dominus del -OMISSIS-, e la famiglia -OMISSIS-, contigua alla Banda della Ma., in quanto sorretta da elementi valutativi seri, concreti e probanti e non smentita convincentemente dalle argomentazioni della odierna appellata, pienamente giustifica la valutazione prefettizia relativa al pericolo di condizionamento mafioso di -OMISSIS-.

26. In accoglimento dell’appello principale, proposto dal Ministero dell’Interno e altre Amministrazioni, la sentenza impugnata merita riforma, con conseguente reiezione del motivo accolto dal T.A.R.

27. Devono essere qui esaminate le censure mosse con l’appello incidentale da -OMISSIS- alla sentenza impugnata e i motivi dichiarati assorbiti e/o non esaminati dal primo giudice, ritualmente riproposti.

27.1. Tali censure e tali motivi sono tutti infondati.

28. Con un primo motivo (pp. 4-8 dell’appello incidentale) -OMISSIS- lamenta la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni, di cui al d. lgs. 159/2011, con particolare, ma non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95 Cost., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, la contraddittorietà manifesta, il travisamento di atti e fatti, l’erroneità e il difetto dei presupposti, lo sviamento e la manifesta ingiustizia.

28.1. Il T.A.R. Lazio, pur accogliendo il ricorso di primo grado e annullando, conseguentemente, tutti i provvedimenti gravati e, principalmente, l’informativa prefettizia, ha comunque respinto il secondo motivo del ricorso introduttivo in parte qua e, cioè, nella parte in cui l’odierna appellante ha contestato che la Prefettura avesse ritenuto -OMISSIS- “amministratore di fatto” della società colpita dal provvedimento interdittivo.

28.2. In particolare -OMISSIS- contesta che -OMISSIS- sia l’amministratore di fatto della società, come invece pare ritenere la sentenza impugnata, e osserva che, per attribuire ad un soggetto simile qualifica, è necessario dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il soggetto in questione riesca a condizionare a proprio piacimento la stessa vita sociale dell’impresa, determinandone tutte le scelte societarie.

28.3. Sostiene ancora l’appellante che il T.A.R. Lazio, in modo alquanto superficiale, senza svolgere alcuna istruttoria e senza fornire, soprattutto, alcuna prova al riguardo, ha affermato che -OMISSIS- sarebbe, potenzialmente, l’amministratore di fatto della società -OMISSIS- sulla base di elementi del tutto inconferenti, “spuri” al mondo del diritto e, comunque, fuori luogo.

28.4. Inoltre, deduce ancora l’appellante incidentale, il primo giudice, per arrivare a questa conclusione, prende a riferimento le evidenze riscontrate a seguito della perquisizione locale e personale effettuata il 19.2.2014 e confluite nella memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, successiva all’adozione del provvedimento interdittivo, perché si tratterebbe, a ben vedere, di risultanze non presenti e non richiamate nel provvedimento antimafia e utilizzate dal Prefetto di Roma per affermare che il -OMISSIS- era l’amministratore di fatto della società in questione.

28.5. La tesi dell’appellante incidentale, in sintesi, è che la conclusione del T.A.R. sia erronea e infondata per i seguenti motivi:

a) perché la sentenza si limiterebbe ad affermare che -OMISSIS- sia potenzialmente l’amministratore di fatto senza alcuna certezza, al riguardo, e comunque non al di là di ogni ragionevole dubbio (p. 6 dell’appello incidentale);

b) perché la sentenza avrebbe posto a base della sua valutazione le evidenze riscontrate a seguito della perquisizione locale e personale, compiuta il 19.2.2014 e confluite nella memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, risultanze non valorizzate nel provvedimento interdittivo e, comunque, del tutto inidonee a provare che egli sia amministratore di fatto della società (p. 7 dell’appello incidentale);

c) perché la sentenza sarebbe contraddittoria nella misura in cui ha, da un lato, affermato che tali evidenze costituiscono una motivazione postuma, inammissibile, e dall’altro le ha valorizzate per ritenere -OMISSIS- amministratore di fatto della società (p. 8 dell’appello incidentale).

28.6. Non si potrebbe quindi dubitare in conclusione, secondo l’appellante incidentale, della illegittimità e della erroneità dei capi della sentenza di primo grado, qui gravata, che sarebbe inficiata dai vizi dedotti con il motivo e, soprattutto, dal difetto di motivazione e di istruttoria, basandosi la stessa su un quadro accusatorio che concerne un soggetto che non può essere in alcun modo qualificato come “amministratore di fatto”.

29. Il motivo, nelle sue molteplici argomentazioni, è privo di fondamento.

29.1. Ha ben sottolineato la sentenza impugnata, con motivazione che non è stata oggetto di specifica contestazione, che -OMISSIS–OMISSIS- s.r.l. è partecipata da -OMISSIS- -OMISSIS-, nell’ambito della quale -OMISSIS- ha rivestito la carica di dirigente dal 2011 sino alle sue dimissioni, successive all’adozione dell’interdittiva antimafia e avvenute il 24.10.2015.

29.2. Il T.A.R. ha poi rilevato come nel provvedimento interdittivo – e non, si badi, in atti successivi allo stesso – si legga che -OMISSIS-, fra il 2008 e il 2011, ha rivestito la carica di dirigente anche presso -OMISSIS-“-OMISSIS-”, a sua volta partecipata dalle stesse società che figurano quali socie della -OMISSIS–OMISSIS- s.r.l.

29.3. Nell’ambito di Città di -OMISSIS- s.r.l., ha ancora osservato il primo giudice con motivazione non oggetto, nemmeno essa, di specifica contestazione da parte dell’appellante incidentale, -OMISSIS-, in affiancamento o su mandato diretto del Presidente, ha ricoperto l’incarico di Responsabile dello sviluppo, partecipazione, controllo e gestione, con la funzione di individuare e reperire tutte le occasioni di crescita e di rafforzamento del settore, svolgendo un “incarico di assoluto rilievo” (p. 22 della sentenza impugnata).

29.4. Si tratta di elementi che, già contenuti nel provvedimento prefettizio e già da soli, sarebbero sufficienti a qualificare -OMISSIS- quale amministratore di fatto della società, non dovendosi dimenticare che, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. 159/2011, il Prefetto competente “estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa” e tale è e non può ritenersi, ai sensi e per gli effetti di tale disposizione, anche -OMISSIS-, come del resto ha rilevato anche il G.I.P., nella recente ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere a suo danno, laddove ha affermato, sulla scorta di tutti gli elementi investigativi prodotti, la sua situazione di effettiva proprietà del -OMISSIS-.

29.5. La capacità di condizionare, in qualsiasi modo, le scelte e gli indirizzi dell’impresa da parte di -OMISSIS- è indubbia, alla luce degli elementi valorizzati dall’informativa e – nella sostanza – rimasti incontestati dalla stessa appellante incidentale, e l’analisi degli ulteriori elementi emersi nella perquisizione locale e personale eseguita dal 19.2.2014 e dei controlli amministrativi eseguiti il 15.5.2014, meramente confermativi del suo ruolo predominante all’interno della struttura societaria, è perfino superflua e, comunque, non decisiva di fronte al delinearsi della sua chiara e inequivocabile figura egemonica all’interno di -OMISSIS- sulla base di quanto già ampiamente e sufficientemente rilevato nell’informativa prefettizia.

29.6. Figura egemonica, quella sua, che è ben lumeggiata e tratteggiata, merita qui solo aggiungere, anche dalla recente ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa suoi riguardi il 26.6.2015 dal G.I.P. di Roma, di cui si è fatto più volte menzione.

29.7. Non giova nemmeno all’appellante incidentale, per contestare la figura di amministratore di fatto in capo a -OMISSIS-, richiamarsi alla regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, poiché tale regola causale può trovare spazio nel giudizio penale, laddove viene in gioco la liberà personale dell’imputato, ma non nel giudizio amministrativo, che investa la legittimità del provvedimento interdittivo antimafia, ispirato ad una ben diversa logica preventiva e improntato alla regola, di stampo civilistico, del “più probabile che non”.

30. Pare a questo Collegio difficilmente contestabile che, alla stregua di tale regola causale, -OMISSIS- sia stato, sino alla sua recente restrizione in carcere, dominus indiscusso della odierna appellante incidentale né il suo ruolo egemonico è stato in alcun modo scalfito dalle contestazioni svolte dall’appellante e, men che mai, dall’argomentazione, del tutto inverosimile, che un mero “dipendente” della società, quale si vuol accreditare -OMISSIS-, possa “conoscere come o meglio di un Presidente o di un Amministratore le dinamiche interne della società, sia tecniche che amministrative, sarebbero da qualificare come “Amministratore di fatto”” (p. 8 dell’appello incidentale).

30.1. Proprio la circostanza che il -OMISSIS- nel corso dei recenti controlli effettuati dagli organi di polizia si sia presentato a tali organi come uno dei soci del -OMISSIS- ed abbia dimostrato di conoscere le dinamiche di conduzione degli istituti di vigilanza, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico, circostanza, questa, ben valorizzata dall’informativa prefettizia, dimostra inequivocabilmente, laddove ve ne fosse il bisogno, la sua posizione di amministratore di fatto all’interno di -OMISSIS-, al di là di sterili disquisizioni nominalistiche sull’accezione di “socio”, peraltro significativamente adoperato dal -OMISSIS- stesso, nel qualificarsi tale.

30.2. Ogni questione sulla novità della memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, sollevata dall’appellante incidentale, è dunque ininfluente, sul piano decisorio, in ordine alla sua qualifica effettiva e incontestabile di amministratore di fatto.

30.3. Il motivo, pertanto, deve essere respinto.

31. Con il secondo motivo (pp. 8-19 dell’appello incidentale) -OMISSIS- censura la sentenza impugnata, la quale ha respinto la domanda risarcitoria proposta in primo grado, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1337, 1223 e 1226 c.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d. lgs. 80/1998, per violazione degli artt. 30 e 124 del d. lgs. 124/2010, per violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al d. lgs. 159/2011, con particolare, ma non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, per violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, per contraddittorietà manifesta, per travisamento di atti e fatti, per erroneità e difetto dei presupposti, per sviamento ed ingiustizia manifesta.

31.1. Il primo giudice ha respinto la domanda risarcitoria conseguente alla illegittimità dei provvedimenti impugnati, ritenendo insussistente l’elemento psicologico dell’illecito sub specie, quanto meno, della colpa e ravvisando, quindi, i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile.

31.2. L’appellante incidentale assume, al contrario, che nel caso di specie sarebbero sussistenti tutti gli elementi per ritenere la responsabilità dell’amministrazione prefettizia, sia sul piano oggettivo che soggettivo, e ha chiesto la riforma della sentenza, in parte qua, con conseguente condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni.

31.3. Il motivo deve essere respinto, in quanto l’infondatezza di tutte le censure mosse in primo grado da -OMISSIS- al provvedimento prefettizio, sia quelle erroneamente accolte dal primo giudice, come si è già visto, sia quelle non esaminate e in questa sede riproposte, come tra breve si vedrà, con la conseguente accertata legittimità di tale provvedimento fanno venir meno un presupposto indispensabile dell’invocata responsabilità e, cioè, il fatto illecito dell’Amministrazione, esimendo il Collegio dall’analizzare, inutilmente e in contrasto con l’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito, gli ulteriori elementi costitutivi – nesso causale, colpa, danno risarcibile – della domanda proposta in primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c.

31.4. Ne segue che tale motivo, per la insussistenza di uno degli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana dell’Amministrazione, deve essere respinto.

34. Occorre ora procedere alla disamina dei motivi assorbiti e/o non esaminati dal primo giudice, ritualmente riproposti, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., da parte di -OMISSIS-.

35. Con il III motivo di diritto del ricorso introduttivo (pp. 19-27 dell’appello incidentale) -OMISSIS- aveva dedotto, in primo grado, la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al d. lgs. 159/2011, con particolare, anche se non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, la violazione e la falsa applicazione del Protocollo d’intesa sottoscritto tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Ministero dell’Interno, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 14 e del protocollo numero 12 articolo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) (divieto di discriminazione), la violazione e la falsa applicazione degli artt. 17 e 18 CEDU (divieto dell’abuso di diritto), l’eccesso di potere per difetto di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, il difetto di istruttoria e di motivazione, la contraddittorietà manifesta, il travisamento di atti e fatti, l’erroneità e il difetto dei presupposti, lo sviamento e la manifesta ingiustizia.

35.1. La sostanza della censura, estremamente articolata, è che il Prefetto di Roma avrebbe adottato l’informativa antimafia, qui contestata, in violazione del disposto di cui all’art. 32 del d.l. 90/2014 e del Protocollo d’intesa ANAC/Ministero dell’Interno, i quali prevedono misure più attenuate e meno estreme di gestione, sostegno e monitoraggio, in favore dell’impresa sospetta di infiltrazioni mafiose, prima di emettere l’informativa, che paralizza di fatto la vita dell’impresa, aggiudicataria di ben 57 commesse pubbliche

35.2. L’adozione di tale misura definitiva e irreversibile, costituente l’extrema ratio, non preceduta dall’adozione delle misure graduate e di natura conservativa previste dal citato art. 32 (rinnovazione degli organi sociali, straordinaria e temporanea gestione dell’attività di impresa appaltatrice, sostegno e monitoraggio dell’impresa finalizzati a riportarne la gestione entro parametri di legalità), comporterebbe la violazione di tale parametro normativo, dei fondamentali canoni amministrativi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, dei principi di cui all’art. 14 e al protocollo numero 12, art. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), per la violazione del divieto di discriminazione ivi sancito, in quanto si porrebbe in contrasto con le scelte già operate dalle competenti autorità in presenza di situazioni identiche e similari, nonché e infine con i principi contenuti negli artt. 17 e 18 della stessa Convenzione (divieto dell’abuso del diritto), in quanto l’afflittività della scelta amministrativa avrebbe inciso in maniera sproporzionata ed esorbitante rispetto allo scopo sulla vita economica dell’impresa.

35.3. Nello scegliere la soluzione più drastica e non quella meno afflittiva, come invece gli avrebbe consentito e anzi imposto l’art. 32 del d.l. 90/2014, l’autorità prefettizia avrebbe insomma deciso, in palese violazione di ogni canone, nazionale ed europeo, di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, e senza alcun adeguato bilanciamento dei contrapposti interessi, di decretare “la morte sociale ed economica dell’odierna ricorrente” (p. 25 dell’appello incidentale), che intrattiene rapporti stabili con numerose amministrazioni, vantando lo svolgimento attuale di ben 57 pubbliche commesse, e avente un organico di ben 735 lavoratori dipendenti, con la conseguenza che i gravi, irreparabili e devastanti danni prodotti dall’informativa antimafia sono destinati ad esplicare i loro effetti anche sulle loro famiglie.

36. Il motivo, nonostante la sua indubbia suggestività (anzitutto, anche se non soprattutto, per l’insistito richiamo alle conseguenze che il provvedimento interdittivo può avere sui livelli occupazionali, peraltro e al momento salvaguardati dal provvedimento ministeriale di ammissione al trattamento straordinario di integrazione salariale: doc. 9 fasc. parte appellata), è destituito di giuridico fondamento.

36.1. Occorre, per chiarezza e precisione, riportare qui di seguito, nelle parti di interesse ai fini del presente giudizio, il testo del più volte invocato e richiamato art. 32 del d.l. 90/2014, convertito, con modifiche, nella l. 114/2014.

36.2. Esso prevede, al comma 1, che nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui agli artt. 317 c.p., 318 c.p., 319 c.p., 319-bis c.p., 319-ter c.p., 319-quater c.p., 320 c.p., 322, c.p., 322-bis, c.p., 346-bis, c.p., 353 c.p. e 353-bis c.p. o in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture ovvero ad un concessionario di lavori pubblici o ad un contraente generale, “il Presidente dell’ANAC ne informa il Procuratore della Repubblica e, in presenza di fatti gravi e accertati anche ai sensi dell’articolo 19, comma 5, lett. a) del presente decreto, propone al Prefetto competente in relazione al luogo in cui ha sede la stazione appaltante, alternativamente: a) di ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto e, ove l’impresa non si adegui nei termini stabiliti, di provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto o della concessione; b) di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione”.

36.3. Il successivo comma 2 prevede che “il Prefetto, previo accertamento dei presupposti indicati al comma 1 e valutata la particolare gravità dei fatti oggetto dell’indagine, intima all’impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali sostituendo il soggetto coinvolto e ove l’impresa non si adegui nel termine di trenta giorni ovvero nei casi più gravi, provvede nei dieci giorni successivi con decreto alla nomina di uno o più amministratori, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità di cui al regolamento adottato ai sensi dell’articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270”.

36.4. Merita però qui evidenziare che, secondo il comma 10 del citato art. 32, le disposizioni di esso “si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici, ancorché ricorrano i presupposti di cui all’articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

37. E’ ben evidente, dalla lettura di tale ultima disposizione, che l’emissione del provvedimento interdittivo non necessariamente deve essere preceduta dall’adozione delle misure di cui al comma 1 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, sicché il Prefetto può legittimamente emettere l’informativa, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 91 del d. lgs. 159/2011, salvo poi, nelle ipotesi di cui al comma 10 dell’art. 32 del d.l. 90/2014, adottare successivamente le misure sostitutive di cui al comma 1 del predetto articolo.

37.1. La mancata previa adozione di tali misure non ha efficacia invalidante, dunque, sull’emissione dell’informativa né viola i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed adeguatezza.

37.2. Dal quadro normativo sin qui descritto si desume, in altri termini, che le misure di cui all’art. 32, commi 1, 2 e 8, del d.l. 90/2014 possono essere applicate contestualmente all’adozione dell’interdittiva antimafia e che l’intervento sostitutivo dell’autorità prefettizia, in ipotesi di interdittiva già in atto, è consentito solo nelle ipotesi eccezionali, previste dal comma 10, che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale, previa “bonifica” dell’assetto societario, per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di “pubblica utilità”, come chiarisce il comma 4.

37.3. Tanto sono preminenti ed eccezionali tali ragioni e tanto esse sono di interesse generale, peraltro, che il successivo art. 92, comma 2-bis, del d. lgs. 159/2011 prevede che il procedimento, previsto dall’art. 32, comma 1, del d.l. 90/2014, debba essere avviato obbligatoriamente d’ufficio dal Prefetto, con la conseguenza che l’impresa interessata è legittimata ad esercitare, nell’ambito di esso, esclusivamente gli strumenti di partecipazione previsti dagli art. 7, 8 e 10 della l. 241/1990 e non a chiedere l’avvio del procedimento stesso.

37.4. L’art. 92, comma 2-bis, del d. lgs. 159/2011 prevede che il Prefetto, adottata l’informazione antimafia interdittiva, verifica, altresì, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, d.l. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. 114/2014, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.

37.5. La lettura combinata dell’art. 32, comma 10, del d.l. 90/2014 e dell’art. 92, comma 2-bis, del d. lgs. 159/2011, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), numero 2), del d. lgs. 153/2014, consente di affermare che l’adozione delle misure previste dall’art. 32 non deve precedere necessariamente l’emissione dell’informativa, ma anzi che il Prefetto, nell’emettere l’informativa, valuta anche dopo la sua emissione la sussistenza dei presupposti eccezionali per l’adozione di tali misure.

37.6. La tesi dell’appellata, secondo cui l’emissione dell’informativa, in quanto extrema ratio, doveva essere preceduta o, comunque, evitata dall’adozione di tali misure, pena la sua illegittimità, non ha dunque fondamento normativo in quanto l’adozione di esse non costituisce un presupposto di legittimità dell’informativa.

38. Nemmeno tale tesi, peraltro, è fondata in fatto, poiché -OMISSIS- non ha offerto alcun elemento di prova, nemmeno indiziario, che sussista alcuna delle tre ipotesi eccezionali (la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, la salvaguardia dei livelli occupazionali o l’integrità dei bilanci pubblici) che consentono, ad informativa già emessa, di ricorrere all’adozione di tali misure.

38.1. Nel motivo qui riproposto (p. 22 del ricorso) è dedotto, in modo del tutto generico e apodittico, che i servizi di vigilanza svolti da -OMISSIS- garantirebbero l’indifferibile salvaguardia dei diritti fondamentali, senza chiarire quali e con quali modalità, non potendo ritenersi che il servizio di vigilanza costituisca in re ipsa, senza precise e documentate specificazioni, uno strumento indifferibile per la tutela dei diritti fondamentali attinenti alla persona.

38.2. Anche il riferimento, certo dotato di una forte suggestività, ai livelli occupazionali, affermandosi la società necessitata, nell’ipotesi di conferma dei provvedimenti prefettizi, a licenziare 735 dipendenti, è meramente assertivo e sfornito di qualsivoglia supporto probatorio, non dovendo dimenticarsi che la salvaguardia dei livelli occupazionali è già ampiamente garantita dalla “clausola sociale”, contenuta nel vigente CCNL del settore della vigilanza, approvato l’8.4.2013 (artt. 24 ss.) che prescrive, nel caso di subentro di altri istituti nella gestione dell’appalto dei servizi di sicurezza privata, l’obbligo di assorbire il personale ivi impiegato dall’impresa uscente.

38.3. Del tutto generica e indimostrata è, al riguardo, l’obiezione di -OMISSIS-, secondo cui tutte le società del settore avrebbero diversi lavoratori in cassa integrazione e sarebbero impossibilitate ad assorbire altro personale, ai sensi dell’art. 27, comma 5, del medesimo CCNL, che esonera l’istituto subentrante, per detta ipotesi, dall’obbligo di assorbire il personale.

38.4. A tutela delle posizioni lavorative, peraltro, va anche aggiunto il recente provvedimento di corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale, di cui al Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Agricole e Sociali del 6.5.2015 (doc. 9 allegato alla memoria di costituzione e difesa dell’odierna appellata).

38.5. Quanto all’integrità dei bilanci pubblici, pure invocata dalla ricorrente in primo grado, non ha fondamento l’osservazione secondo cui le amministrazioni pubbliche, che hanno in corso numerosi rapporti con l’odierna ricorrente, dovrebbero procedere all’immediata attivazione di nuove procedure ad evidenza pubblica, sostenendone i relativi costi e trovandosi esposte al rischio di domande risarcitorie particolarmente onere nell’ipotesi in cui la ricorrente fosse nel merito vittoriosa.

38.6. Quest’ultimo rischio è una conseguenza meramente eventuale di ogni contenzioso che investa la legittimità dell’informativa e l’argomento, dunque, prova troppo, poiché, sviluppandolo, esso condurrebbe all’assurda conseguenza che, per il timore di ingenti risarcimenti dovuti dalle casse pubbliche, il Prefetto non dovrebbe mai ricorrere allo strumento dell’interdittiva prima di aver esperito le misure di cui all’art. 32.

38.7. Nemmeno va trascurato per altro verso che, in molte ipotesi, -OMISSIS- partecipa all’esecuzione di appalti nell’ambito di associazioni temporanee di imprese o di raggruppamenti temporanei di imprese, con la conseguenza che compete alla stazione appaltante verificare se procedere alla risoluzione del rapporto, una volta ricevuta l’interdittiva, o invitare la mandataria del raggruppamento ad indicare un altro operatore economico o a proseguire in prima persona l’esecuzione della commessa ai sensi dell’art. 37, comma 19, del d. lgs. 163/2006.

38.8. Né devono essere sottaciute, infine, le ipotesi nelle quali la sostituzione nel servizio, laddove ritenuto essenziale per l’interesse pubblico, non sia attuabile in tempi rapidi, anche in considerazione dell’avanzata fase esecutiva, poiché l’art. 94, comma 3, del d. lgs. 159/2011 prevede che le stazioni appaltanti non procedono alle revoche o ai recessi necessariamente conseguenti all’informativa nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione “ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”.

39. Per tutte le ragioni esposte l’Amministrazione non è incorsa in alcuna violazione dei parametri, di diritto interno ed europeo, qui fatti valere, non potendo ritenersi l’esercizio del potere in questa sede vagliato, nemmeno alla stregua dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, né abusivo né sproporzionato né discriminatorio a danno di -OMISSIS-.

39.1. Il precedente cautelare di questo Consiglio, sez. IV, 16.9.2014, ord. n. 4089, da -OMISSIS- invocato a sostegno di una presunta disparità di trattamento a suo danno nell’applicazione dell’art. 32 del d.l. 90/2014, riguardava il ben diverso caso nel quale, in assenza di una informativa, il T.A.R. Lombardia aveva annullato l’aggiudicazione dei lavori ottenuti da una impresa, il cui legale rappresentante era indagato per il delitto di turbata libertà degli incanti, ai sensi degli artt. 453 e 353-bis c.p., proprio con riferimento alla gara poi aggiudicata, con una sentenza i cui effetti sono stati sospesi da questo Consiglio, nella citata ordinanza, proprio sul rilievo che l’applicazione dell’art. 32 del d.l. 30/2014, comportante il commissariamento dell’impresa, consentiva la prosecuzione dei lavori senza procedere alla risoluzione del rapporto.

39.2. Ma ben diverso è il caso presente, nel quale si controverte di una informativa già adottata, esplicante immediati effetti interdittivi, rispetto alla quale la previsione dell’art. 32, come detto, non costituisce e non può costituire condizione di legittimità.

39.3. La contestata informativa non concreta, dunque, alcuna lesione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali né nei termini di abuso del diritto né nei termini di discriminatorio esercizio del potere.

39.4. Il III motivo dell’originario ricorso, riproposto in questa sede da -OMISSIS-, deve quindi essere respinto.

40. Con il IV motivo di diritto, in questa sede riproposto (pp. 27-29 dell’appello incidentale), -OMISSIS- ha dedotto la violazione di legge e, in particolare, degli artt. 7 e ss. della l. 241/1990, la violazione degli art. 21-bis, 21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990 e dei principi in materia di revoca/annullamento degli atti amministrativi, l’illegittimità derivata, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 94 e 95 del d. lgs. 159/2011, l’eccesso di potere per difetto di presupposto, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e per logicità manifesta, il difetto assoluto di motivazione.

40.1. Lamenta l’odierna appellata che la Banca d’Italia, nel disporre l’esclusione di essa dalla gara per l’affidamento dei servizi di vigilanza degli edifici dell’Amministrazione Centrale della Banca d’Italia e del Centro Do.Me. in Frascati, non avrebbe adottato alcuna preventiva comunicazione in favore della ricorrente, che non è stata pertanto posta nella condizione di prendere visione degli atti e di prendere parte al procedimento.

40.2. I provvedimenti gravati in prime cure risulterebbero, altresì, inficiati da un “paradigmatico” eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, poiché la Banca d’Italia non avrebbe fornito alcuna motivazione e non darebbe atto di alcuna istruttoria compiuta, limitandosi a citare l’informativa, così integrando una “non motivazione”, e sarebbero illegittimi per violazione delle disposizioni in materia di autotutela, poiché tali provvedimenti non sarebbero stati accompagnati da una rivalutazione dell’interesse pubblico.

41. Il motivo, nei suoi molteplici profili, è privo di fondamento.

41.1. Secondo il consolidato indirizzo di questo Consiglio, anzitutto, l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di comunicazione di cui all’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241, relativamente all’informativa antimafia e al successivo provvedimento di revoca un’aggiudicazione rilasciata, atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili di urgenza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 2.3.2009, n. 1148; Cons. St., sez. VI, 7.11.2006, n. 6555).

41.2. Nemmeno sussiste il lamentato vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione o carenza di istruttoria.

41.3. La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che, in presenza di un’informativa prefettizia antimafia che accerti il pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, non residua in capo all’organismo committente alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione, atteso che si tratta di provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico – attinenti all’ordine e alla sicurezza pubblica nel settore dei trasferimenti e di impiego di risorse economiche dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti contemplati dalla normativa in materia – il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’Autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura di interdittiva devono prestare osservanza.

41.4. Ogni successiva statuizione della stazione appaltante, quindi, si configura dovuta e vincolata a fronte del giudizio di disvalore dell’impresa con la quale è stato stipulato il contratto e il provvedimento di revoca o recesso da essa adottato non deve essere corredato da alcuna specifica motivazione, salvo la diversa ipotesi, del tutto eccezionale, in cui a fronte dell’esecuzione di gran parte delle prestazioni e del pagamento dei corrispettivi dovuti, venga riconosciuto prevalente l’interesse alla conclusione della commessa con l’originario affidatario (Cons. St., sez. III, 12.3.2015, n. 1292).

41.5. E’ dunque radicalmente smentito l’assunto di -OMISSIS-, secondo cui i provvedimenti adottati dalla Banca d’Italia sarebbero illegittimi per l’assoluto difetto di motivazione, sulla base della tesi, infondata, che il semplice richiamo all’informativa non risulterebbe idoneo a concretare una sufficiente e valida motivazione, mentre, per le ragioni vedute, così non è, essendo anzi tali provvedimenti necessitati in seguito all’informativa e non competendo alla Banca alcun discrezionale apprezzamento circa la obbligatoria revoca dell’appalto.

41.6. Tanto destituisce di fondamento anche la censura relativa alla dedotta violazione delle disposizioni della l. 241/1990 in materia di autotutela, non essendo configurabile, da un lato, alcuno spazio di discrezionalità per la stazione appaltante, salve le diverse ed eccezionali ipotesi contemplate dal già citato art. 94, comma 3, del d. lgs. 159/2011, e non essendo ipotizzabile, dall’altro, alcun legittimo affidamento dell’impresa aggiudicataria da preservare nella comparazione degli interessi contrapposti.

41.7. E del resto, merita qui solo aggiungere, -OMISSIS- era solo aggiudicataria provvisoria della gara bandita dalla Banca d’Italia e, per giurisprudenza costante, è escluso che nelle gare pubbliche, prima dell’aggiudicazione definitiva, la stazione appaltante abbia l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento in autotutela al concorrente, anche se aggiudicatario provvisorio, atteso che tale provvisoria determinazione non costituisce ancora la definitiva scelta del soggetto aggiudicatario della gara, sì da ingenerare quel legittimo affidamento che impone l’instaurazione del preventivo contraddittorio procedimentale (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 14.5.2015, n. 2455).

42. Devono essere infine esaminati, in quanto qui riproposti, anche i motivi aggiunti dedotti in primo grado da -OMISSIS-.

43. Con il I motivo di diritto dei motivi aggiunti (pp. 29-37 dell’appello incidentale) l’interessata ha dedotto che l’informativa rilasciata dal Prefetto di Roma sarebbe illegittima perché il suo “impianto accusatorio” si fonderebbe sugli accertamenti compiuti dal Dirigente della Questura, dott. -OMISSIS-che, alla luce della documentazione versata in atti dall’interveniente -OMISSIS- – era del tutto incompatibile con l’attività di controllo effettuata dallo stesso dott. -OMISSIS-, in quanto, come si desumerebbe dalla denuncia/querela presentata dal sig. -OMISSIS- presso la Procura della Repubblica di Roma e dalla documentazione allegata, lo stesso e la figlia detenevano e deterrebbero, tuttora, rapporti anche economici con alcuni Istituti di Vigilanza.

43.1. Tali circostanze, comportando anche solo astrattamente il venir meno dei principi di imparzialità, trasparenza e terzietà che debbono necessariamente qualificare e denotare qualsivoglia attività di vigilanza e di controllo, determinerebbero la totale inattendibilità e illegittimità delle risultanze istruttorie convogliate nel provvedimento interdittivo finale che, conseguentemente, sarebbe viziato da illegittimità derivata.

43.2. -OMISSIS- ne trae la conclusione che i provvedimenti adottati dal Prefetto sarebbero affetti da difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità dei presupposti e travisamento di atti e fatti, illogicità e contraddittorietà manifesta, manifesta ingiustizia perché fondati tutti sulla relazione predisposta dal dott. -OMISSIS-, definita “l’architrave che sorregge interamente la disposta informativa antimafia gravata in questa Sede” (p. 33 della sentenza impugnata).

43.3. Il motivo è infondato.

43.4. Non è dato comprendere come possa affermarsi una situazione di incompatibilità o di conflitto di interessi del dott. -OMISSIS-sulla base della mera e unilaterale rappresentazione dei fatti esposti in una denuncia/querela presentata dall’autorità giudiziaria, prodotta da un soggetto il cui intervento in primo grado, peraltro, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, senza che tale rappresentazione sia confortata da alcun elemento investigativo o da alcun supporto probatorio che ne confermi, a sua volta, l’“impianto accusatorio”.

43.4. Come peraltro emerge dalla nota di chiarimenti della Questura di Roma del 14.10.2014, la denuncia penale in oggetto proviene da persona che potrebbe avere forti motivi di contrasto con l’operato della Divisione Polizia Amministrativa e Sociale, in quanto destinataria, tempo addietro, di un provvedimento di revoca della licenza di guardia particolare giurata, ciò che imporrebbe di valutarne con maggiore scrupolo e attenzione, e certamente non senza il conforto di ulteriori elementi, il contenuto prima di desumerne, in modo acritico e indimostrato, l’esistenza di un conflitto di interessi sulla base di non meglio precisati e, comunque, non dimostrati rapporti con altri Istituti di Vigilanza.

43.5. La ricorrente in prime cure ha inteso in questo modo contrapporre agli accertamenti svolti dall’autorità prefettizia e, per usare la sua terminologia, all’impianto accusatorio sostenuto da questa, fondata su molteplici elementi (e non solo sulla semplice nota del 22.5.2014 della Questura di Roma a firma del dott. -OMISSIS- -OMISSIS-), un proprio “impianto accusatorio”, esso, sì, sfornito di qualsivoglia elemento probatorio, che dovrebbe minare alle fondamenta la credibilità della relazione e, addirittura, l’attendibilità degli stessi provvedimenti prefettizi sulla base di una semplice denuncia/querela proposta da un terzo all’autorità giudiziaria.

43.6. Già solo tale osservazione basta a destituire di qualsivoglia fondamento la prima censura dei motivi aggiunti in questa sede riproposta.

43.7. Ma, anche prescindendo da tale assorbente rilievo, è poi infondato l’assunto che l’informativa prefettizia avrebbe nella relazione del dott. -OMISSIS- la propria “architrave”, la propria condicio sine qua non, quasi che esse simul stabunt, simul cadent, poiché è ben evidente, dalla sua semplice lettura, che essa si fondi su molteplici elementi istruttori e su molti atti, non provenienti dal dott. -OMISSIS-, e che essa sia il complessivo e ponderato esito di un’ampia valutazione, da parte del Prefetto, che non può certo ritenersi supinamente e semplicemente adagiato sulla rappresentazione dei fatti da parte del dott. -OMISSIS-, come invece a torto assume la ricorrente nel motivo qui esaminato.

43.8. Il primo motivo aggiunto, quindi, deve essere respinto.

44. Anche il II motivo di diritto dei motivi aggiunti (pp. 37-38 dell’appello incidentale), con il quale -OMISSIS- ha lamentato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 379-bis c.p. anche alla luce dell’art. 6, par. 2, della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, non merita condivisione.

44.1. Con esso si lamenta la violazione di tali disposizioni da parte della nota della Guardia di Finanza – GICO dell’11.11.2014, più volte sopra richiamata, poiché essa farebbe illegittimo riferimento a fatti coperti dal segreto istruttorio, perché relativi ad indagini penali tuttora in corso.

44.2. Si tratta di una censura del tutto inammissibile, al di là della sua infondatezza nel merito, poiché detta nota costituisce un atto successivo all’emissione dell’informativa e, quindi, non avente alcuna influenza sulla legittimità di questa.

45. Occorre infine esaminare anche il III motivo di diritto dei motivi aggiunti (pp. 38-39 dell’appello incidentale), con il quale -OMISSIS- sostiene che alle precedenti censure debba fare seguito l’annullamento degli atti impugnati per illegittimità derivata, essendo impossibile, a suo avviso, non considerare come viziante l’intera procedura l’avvio del procedimento sulla base di un atto redatto da un Dirigente dalla Polizia di Stato in conflitto di interessi con la società.

45.1. Il motivo va anch’esso respinto.

45.2. Il presunto conflitto di interessi è ben lungi dall’essere documentato, contrariamente a quanto sostiene l’odierna appellata, e – ammesso, quod non est, che esista – è ben lungi dallo spiegare efficacia viziante sull’intera procedura e sul provvedimento prefettizio, frutto di un’autonoma valutazione del Prefetto, fondata su molteplici e differenti elementi istruttori.

45.3. Anche esso, quindi, deve essere disatteso.

46. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, tutti i motivi dell’originario ricorso nonché quelli aggiunti, assorbiti dal primo giudice, devono essere disattesi.

47. Ne segue che, dovendo accogliersi il ricorso principale, proposto dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura di Roma e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, e invece respingersi quello incidentale, proposto da -OMISSIS-, in una con i motivi di primo grado, originari e aggiunti, assorbiti dal primo giudice, in integrale riforma della sentenza impugnata, il ricorso proposto da quest’ultima debba essere respinto, con piena conferma dei provvedimenti in primo grado contestati.

48. L’accoglimento dell’appello principale proposto dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura di Roma e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, al quale era condizionato l’appello incidentale proposto dalla Banca d’Italia, determina anche l’accoglimento di tale ultimo appello, relativamente al provvedimento adottato dalla stessa Banca, essendo pienamente legittimo e anzi necessitato in seguito all’informativa prefettizia, per le ragioni sopra viste e alle quali, per obbligo di sintesi, qui si fa richiamo, il provvedimento, di cui alla nota prot. n. 1078640/2014 del 31.10.2014, con il quale Banca d’Italia ha escluso -OMISSIS- dalla gara, in cui era risultata aggiudicataria provvisoria, per l’affidamento dei servizi di vigilanza degli edifici dell’Amministrazione Centrale della Banca d’Italia in Roma e del Centro Me. in Frascati.

49. Ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio, attesa l’estrema complessità delle questioni, in fatto e in diritto, qui dibattute, possono essere interamente compensate tra tutte le parti in causa.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello principale, come in epigrafe proposto dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura di Roma e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, nonché sull’appello incidentale condizionato, proposto dalla Banca d’Italia, li accoglie entrambi e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS- contro gli atti in quella sede gravati.

Respinge, altresì, l’appello incidentale autonomo e i motivi, non esaminati in primo grado, proposti da -OMISSIS-.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. 196/2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-,-OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione, di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Salvatore Cacace – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore

Depositata In Segreteria il 24 luglio 2015.

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