Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 28 luglio 2015, n. 3739
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Ai sensi degli articoli 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 10294 del 2014, proposto da
Ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca, Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per la Emilia Romagna, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…)
contro
Ge.Ma. ed altri,
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, n. 9729/2014
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato dello Stato St.Me. per le amministrazioni appellanti;
Sentite le parti ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm.
Il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca riferisce che con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e recante il n. 9261/2011 il dottor Ma. e gli altri docenti indicati in epigrafe avevano agito per il riconoscimento del danno per perdita di chance previa dichiarazione dell’illegittimità del bando di concorso emanato con il Decreto del Direttore Generale del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in data 13 luglio 2011, avente ad oggetto l’indizione del concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi.
In particolare, i ricorrenti in primo grado avevano chiesto la mera declaratoria di illegittimità del bando per la parte in cui:
a) all’articolo 3, comma 1 prescrive che il servizio d’insegnamento effettivamente prestato per almeno cinque anni in qualsiasi ordine di scuola sia stato maturato dopo la nomina in ruolo (con esclusione, quindi, del complessivo servizio scolastico riconosciuto ai docenti transitati in ruolo in virtù del decreto di ricostruzione giuridica della carriera);
b) all’articolo 3 comma 3, considera valido soltanto il servizio effettivamente prestato nelle scuole statali a partire dalla data di effettiva assunzione nel ruolo docente ed educativo con esclusione dei periodi di retrodatazione giuridica.
Gli odierni appellati non avevano, invece, articolato una domanda volta all’annullamento dei provvedimenti di cui lamentavano l’illegittimità.
Con il ricorso in questione gli odierni appellati, premesso di essere insegnanti di ruolo delle istituzioni scolastiche ed educative statali in possesso di laurea, rappresentavano di aver maturato servizio effettivamente prestato di almeno cinque anni, ma che il requisito del servizio almeno quinquennale era stato maturato per effetto del decreto di ricostruzione giuridica della carriera, ossia cumulando il servizio di ruolo con il servizio prestato con i contratti a tempo determinato.
Riferivano altresì che, ritenendo di possedere i requisiti per l’ammissione alla procedura preselettiva propedeutica alla partecipazione al richiamato concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici, avevano presentato la relativa domanda, nonostante l’articolo 3 del bando prescrivesse che il servizio almeno quinquennale d’insegnamento dovesse essere stato prestato a partire dalla data di effettiva assunzione del ruolo (il che sembrava ostare al computo del complessivo servizio scolastico riconosciuto in virtù del decreto di ricostruzione della carriera e con esclusione dei periodi di retrodatazione giuridica).
Con la sentenza in epigrafe il primo giudice ha ritenuto sussistenti i lamentati profili di illegittimità e ha disposto l’annullamento in parte qua delle clausole del bando preclusive alla partecipazione degli odierni appellati.
Per quanto riguarda i provvedimenti di esclusione (che gli appellati non avevano impugnato) il primo giudice affermava che, dal disposto annullamento del bando “deriva in via automatica la caducazione dello stesso provvedimento di esclusione anche se tale ultimo non è stato impugnato dagli interessati”.
La sentenza è stata impugnata in appello dal Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca il quale ne ha chiesto l’annullamento articolando plurimi motivi.
Con il primo motivo il Ministero appellante lamenta che la sentenza sia viziata per violazione del principio della domanda (articolo 99 Cod. proc. civ.) e della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 Cod. proc. civ.) per avere il primo giudice disposto l’annullamento in parte qua del bando di selezione nonostante il ricorso fosse volto unicamente ad ottenere il ristoro del danno da perdita di chance connesso alla mancata ammissione alla procedura degli odierni appellati, senza che fosse stata articolata una domanda di annullamento.
Allo stesso modo la sentenza sarebbe meritevole di riforma per avere il primo giudice erroneamente ritenuto di far discendere l’annullamento dei provvedimenti di esclusione (non impugnati) dal disposto annullamento in parte qua del bando.
Ebbene, una volta accertato che non fosse possibile (per le ragioni dinanzi esposte) disporre l’annullamento del bando e dei provvedimenti di esclusione, la diversa forma di tutela giurisdizionale in astratto attingibile dagli appellanti avrebbe potuto essere quella risarcitoria.
Tuttavia – come condivisibilmente ritenuto sul punto dal Tribunale amministrativo regionale – non sussisterebbero nel caso di specie “gli elementi petitori e probatori che si richiedono per far valere la relativa pretesa”.
Con il secondo motivo il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca chiede la riforma della sentenza per la parte in cui il primo giudice ha dichiarato l’illegittimità delle clausole del bando (in particolare articolo 3, commi 1 e 3) per la parte in cui stabilisce che la partecipazione sia riservata a coloro che hanno maturato almeno cinque anni di servizio successivamente all’effettiva immissione in ruolo.
Sotto tale aspetto il primo giudice si sarebbe limitato a rinviare in modo generico a quanto già statuito in taluni propri precedenti (di cui, tuttavia, non vengono chiaramente indicati gli estremi), in tal modo impedendo di comprendere l’iter logico seguito dallo stesso giudice per giungere alla declaratoria di illegittimità.
Con il terzo motivo il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui il primo giudice ha sostanzialmente confuso il principio del riconoscimento del servizio pre-ruolo ai fini della ricostruzione della carriera con la valutabilità del servizio ai fini della partecipazione ai pubblici concorsi (ivi compreso quello per l’accesso alla qualifica di dirigente scolastico, che presenta caratteristiche assimilabili a quelle tipiche della dirigenza amministrativa).
Vero è che la pertinente disciplina europea (in particolare: la clausola 4 dell’accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato – concluso il 18 marzo 1999 – che figura in allegato alla direttiva del Consiglio dell’Unione europea 28 giugno 1999, 1999/70/CE) stabilisce che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato; ma la medesima disposizione stabilisce che tale equiparazione non abbia carattere assoluto, potendo essere superata in presenza di “ragioni oggettive”.
Sotto tale aspetto, il Ministero appellante sottolinea che la prescrizione secondo cui la partecipazione al concorso per cui è causa resti riservata a coloro che abbiano prestato un certo numero di anni di servizio dopo la nomina in ruolo rinviene una giustificazione oggettiva nell’esigenza di aver maturato un periodo minimo di servizio continuativo durante il quale possa accumularsi l’esperienza necessaria al migliore espletamento delle funzioni tipiche del dirigente scolastico.
Alla camera di consiglio del 12 maggio 2015 il Collegio ha avvertito le parti costituite circa la possibilità che il ricorso fosse definito con sentenza in forma semplificata e il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato accolto il ricorso proposto ai soli fini risarcitori da alcuni docenti non di ruolo (in seguito inseriti nei ruoli di insegnamento) i quali avevano chiesto di partecipare al concorso per dirigenti scolastici indetto nel luglio del 2011 e, per l’effetto, è stato annullato in parte il bando di concorso per la parte in cui richiedeva – ai fini della partecipazione – cinque anni di effettivo servizio prestato dopo l’immissione in ruolo.
3. In primo luogo va ravvisata la fondatezza del motivo di appello con cui si è lamentato che il primo giudice, nel disporre l’annullamento in parte qua delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 3 del bando che ha indetto la procedura, abbia violato i principi della domanda (articolo 99 Cod. proc. civ.) e della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 Cod. proc. civ.), applicabili anche nel rito amministrativo in quanto evidentemente espressione di principi generali del diritto processuale (in tal senso: articolo 39, comma 1, Cod. proc. amm.).
Al riguardo si osserva che con il ricorso introduttivo del primo giudizio gli odierni appellati si fossero limitati a chiedere la declaratoria di illegittimità delle richiamate clausole del bando ai soli fini del “risarcimento del danno da perdita di chance”, senza – peraltro – impugnare gli atti di esclusione adottati nei propri confronti.
Risulta, pertanto, viziata da evidente ultrapetizione la sentenza in epigrafe la quale – per un verso – ha ritenuto di non accogliere la richiamata domanda risarcitoria (stante l’assenza “degli elementi petitori e probatori che si richiedono per far valere la relativa pretesa”), mentre – per altro verso – ha ritenuto di far discendere dalla ravvisata illegittimità dell’articolo 3 del bando il relativo annullamento e la conseguente caducazione degli atti di esclusione, in tal modo fornendo una risposta di giustizia evidentemente non corrispondente rispetto al petitum di causa (è qui appena il caso di ribadire che, in sede di ricorso di primo grado, non era stato chiesto l’annullamento né dell’articolo 3 del bando, né dei provvedimenti di esclusione dalla procedura).
3.1. La sentenza in epigrafe è quindi meritevole di riforma per a parte in cui, in violazione dei richiamati canoni processuali, ha disposto l’annullamento delle previsioni di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 3 del bando che ha indetto la procedura.
4. E’ qui appena il caso di osservare che i ricorrenti in primo grado (non costituiti nel presente grado di appello) non hanno impugnato il passaggio della sentenza con cui è stata respinta l’istanza risarcitoria per ‘perdita di chance’, per carenza “degli elementi petitori e probatori che si richiedono per far valere la relativa pretesa”.
Su tale passaggio della sentenza gli odierni appellati hanno pertanto serbato un comportamento acquiescente, così determinando il passaggio in giudicato del decisum di primo grado (articolo 329, cpv., Cod. proc. civ.).
5. Ai limitati fini che qui rilevano (e fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto osservato sub 5) il Collegio osserva che il danno da perdita di chance di cui i ricorrenti in primo grado hanno chiesto il ristoro (anche attraverso il risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2043 del Codice civile) non potrebbe comunque essere riconosciuto (in ciò dovendosi confermare – sia pure con più articolata motivazione – la decisione qui impugnata).
5.1. La questione deve essere riguardata ai sensi del secondo periodo del comma 3 dell’articolo 30 Cod. proc. amm., relativo all’ipotesi – che qui ricorre – di azione risarcitoria pienamente autonoma (ossia, scissa dalla previa o contestuale proposizione della domanda di annullamento dell’atto asseritamente foriero di danno).
Ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
5.2. L’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 23 marzo 2011, n. 3) ha chiarito che, ai sensi della disposizione in questione, l’omessa tempestiva attivazione di tutti gli strumenti di tutela – anche processuale – offerti dall’ordinamento costituisce, nell’ambito del comportamento complessivo delle parti, un dato valutabile dal giudice alla stregua del generale canone di buona fede in senso oggettivo e dell’altrettanto generale principio di solidarietà, sì da comportare l’esclusione o la mitigazione del danno che sarebbe stato possibile evitare usando l’ordinaria diligenza.
L’Adunanza plenaria ha altresì chiarito la valenza sostanziale e non meramente processuale dell’omessa o tardiva impugnazione, che dev’essere considerata come fattore utile ad interrompere il nesso causale fra l’atto illegittimo e la ritrazione del danno, in tal modo precludendo la risarcibilità dei danni che sarebbe stato possibile evitare usando l’ordinaria diligenza.
La richiamata sentenza ha altresì considerato che la scelta dell’interessato di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra da parte sua una condotta che spezza il nesso causale del danno che assume recatogli e che, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno stesso, che era così evitabile.
Tale omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che una tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo che contrasta il canone della buona fede e quindi, in forza del principio di auto-responsabilità dell’art. 1227, comma 2, Cod. civ., implica la non risarcibilità del danno evitabile.
5.3. Ebbene, riconducendo i principi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame, deve osservarsi:
– che il bando inditivo della procedura era stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – IVa Serie Speciale in data 15 luglio 2011. Pertanto, già da quella data gli odierni appellati erano in grado di apprezzare la valenza escludente delle richiamate clausole e di chiederne l’annullamento, previa sospensione cautelare (intesa quale tipica forma di tutela interinale ed anticipatoria degli effetti conseguibili con l’accoglimento nel merito del ricorso – articolo 55, comma 1, Cod. proc. amm. -);
– che il 12 ottobre 2011 si svolsero le prove preselettive (il cui superamento avrebbe consentito l’accesso al prosieguo della procedura) e che a tali prove gli odierni appellati non presero parte, operando nei loro confronti le più volte richiamate clausole preclusive, dotate ancora di piena efficacia;
– che solo in data 11 novembre 2011 (ossia, solo dopo l’espletamento delle prove preselettive cui gli odierni appellati non avevano preso parte) questi ultimi proposero il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, con il quale domandarono il “risarcimento del danno per perdita di chance previa concessione di provvedimenti cautelari e previa dichiarazione dell’illegittimità”;
– che la chance di cui gli odierni appellati lamentavano la violazione non era rappresentata dall’utilità mediata e indiretta rappresentata dalla (solo eventuale) vincita del concorso, bensì all’utilità immediata e diretta rappresentata dalla partecipazione alla prova preselettiva (nel primo ricorso si legge, infatti, che “l’amministrazione resistente, negando illegittimamente ai ricorrenti il diritto alla partecipazione alle prove preselettive del concorso per cui è causa, ha cagionato agli stessi ricorrenti un danno ingiusto. Il danno subito dai ricorrenti può essere qualificato come danno da perdita di chance, intendendosi con tale espressione quel pregiudizio consistente nel venir meno della possibilità di conseguire un risultato utile, la cui realizzazione è però ab origine incerta”;
– che la tempestiva proposizione di una domanda di annullamento delle clausole preclusive avrebbe verosimilmente consentito (anche alla luce della funzione anticipatoria della tutela cautelare invocabile) la mancata produzione del danno lamentato. Non è irrilevante osservare al riguardo che, con l’ordinanza n. 4571/2011 (resa nell’ambito del primo grado di giudizio) il primo giudice ha ritenuto determinante ai fini del decidere la circostanza per cui gli odierni appellanti non avessero superato – e, prima ancora, sostenuto – la prova propedeutica;
– che, al contrario, gli odierni appellati si sono limitati a proporre solo ex post (i.e.: una volta decorso il termine decadenziale per l’impugnativa delle clausole preclusive) una domanda risarcitoria autonoma, tendenzialmente inidonea a prevenire e contrastare in nodo efficace gli effetti dell’operatività di clausole della lex specialis non direttamente impugnate.
5.4. Non è irrilevante osservare che la sentenza di questo Consiglio di Stato, VI, 18 settembre 2014, n. 4724 (resa su una vicenda in parte analoga a quella che qui rileva), ha – sì – confermato la statuizione di annullamento di cui alla sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio n. 8086 del 2013, ma si è pronunziata su un ricorso ritualmente rivolto all’annullamento del bando della procedura.
Inoltre, la sentenza n. 8086 del 2013 (puntualmente confermata in appello) ha espressamente limitato gli effetti dell’accoglimento in favore dei ricorrenti “[che] hanno superato le prove dello stesso concorso (preselettive e successive) cui abbiano comunque partecipato anche in virtù dei provvedimenti intervenuti nella fase del giudizio cautelare”.
5.5. Anche per tale ragione, la domanda di risarcimento in forma specifica articolata
In primo grado non avrebbe comunque potuto trovare accoglimento.
6. Per le ragioni esposte il ricorso in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere dichiarata l’infondatezza della domanda risarcitoria articolata in primo grado.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese per il doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda risarcitoria articolata in primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Sergio De Felice – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Roberta Vigotti – Consigliere
Depositata In Segreteria il 28 luglio 2015.
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