Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 8 giugno 2015, n. 24358

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRANCO Amedeo – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1275/2013 TRIBUNALE di RAVENNA, del 01/12/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baldi Fulvio, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per (OMISSIS) e (OMISSIS); rigetto del ricorso per (OMISSIS) e (OMISSIS).

udito il difensore avv. (OMISSIS) di Ravenna.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Ravenna, con sentenza dell’1/12/2014 ha affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati di cui agli articoli 81 e 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 4, condannandoli alla pena dell’ammenda, perche’ (OMISSIS), quale procuratore della ” (OMISSIS) s.c.a.r.l.” e, in precedenza della ” (OMISSIS) s.c.a.r.l.” e (OMISSIS), quale presidente del consiglio di amministrazione della ” (OMISSIS) s.c.a.r.l.”, titolari di un’autorizzazione al recupero di rifiuti speciali non pericolosi destinati al ripristino ambientale (RIO), per mezzo di un tombamento di un bacino idrico, omettevano il controllo e la realizzazione delle opere infrastrutturali preliminari all’avvio dell’attivita’ di recupero, in violazione delle prescrizioni imposte dall’ente competente (in (OMISSIS), fino a tutto il (OMISSIS), capo A) della rubrica) e, nelle medesime qualita’ personali, unitamente (OMISSIS) e (OMISSIS), quali soci e legali rappresentanti della ” (OMISSIS) s.n.c”, gerente della suddetta attivita’ di recupero, non effettuavano i controlli preventivi sulle caratteristiche e conformita’ dei rifiuti conferiti, depositandoli direttamente nell’invaso, in violazione delle prescrizioni imposte dall’ente competente (in (OMISSIS), capo B) della rubrica).

Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), sulla base di motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione secondo quando disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..

2. (OMISSIS) e (OMISSIS) con due ricorsi di identico contenuto, deducono, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la societa’ (OMISSIS) era subentrata alla precedente intestatala del titolo abilitativo ( (OMISSIS)), proseguendo i lavori sulla base di un progetto sostanzialmente invariato e che, sebbene fosse stata presentata all’amministrazione competente un’istanza di autorizzazione, poi rilasciata, la situazione era rimasta invariata, anche per cio’ che concerneva le modifiche tecniche autorizzate dalla stessa amministrazione nel corso dei lavori.

Non vi sarebbe stata, conseguentemente, la violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione con riferimento alla contestazione di cui al capo A) ed, in ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto motivare in punto di effettiva inoffensivita’ della condotta.

Con un secondo motivo di ricorso deducono, relativamente alla contestazione sub B), che il Tribunale avrebbe omesso ogni valutazione su specifiche risultanze istruttorie, che indicano, rilevando che la loro disamina avrebbe condotto il giudice del merito a conclusioni diametralmente opposte.

Con un terzo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, lamentando che la condotta contestata difetterebbe di offensivita’, in quanto le irregolarita’ riscontrate sarebbero indicative di una condotta inidonea ad integrare la messa in pericolo dell’ambiente quale bene fine tutelato.

(OMISSIS) e (OMISSIS) deducono, con un unico motivo di ricorso, il vizio di motivazione in relazione all’effettivo ruolo svolto dalla societa’ della quale sono legali rappresentanti, indicata come gestore, sebbene poi venga precisato che tra la stessa ed altra societa’ ( (OMISSIS)) era stato stipulato un contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori di tombamento del lago.

A tale proposito osservano che, come rilevabile dal contratto di appalto, compito della societa’ era quello di procedere alle attivita’ di cantiere, cosicche’ sarebbe impropria l’attribuzione del ruolo di “gestore” da parte del giudice del merito, che lo avrebbe estrapolato senza considerare le funzioni effettivamente svolte.

Aggiungono che la contravvenzione loro contestata ha natura di reato proprio, attribuibile solo ai soggetti titolari delle autorizzazioni e che, in ogni caso, il Tribunale avrebbe omesso di valutare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutti i ricorsi sono infondati.

Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS), che, nella sentenza impugnata, viene dato atto della sequenza delle autorizzazioni e del fatto, riferito dai consulenti tecnici della difesa, che l’amministrazione provinciale, su sollecitazione del richiedente, aveva eliminato dall’autorizzazione la prescrizione concernente le vasche di laminazione e quella, logicamente correlata, della predisposizione di un sistema di drenaggio e convogliamento delle acque meteoriche e di dilavamento.

Osserva tuttavia il Tribunale che nell’ultima autorizzazione rilasciata veniva espressamente indicato che essa sostituiva a tutti gli effetti i precedenti titoli abilitativi, stabilendo le prescrizioni, tra le quali figuravano nuovamente quelle precedentemente eliminate, operative all’atto del controllo da parte della polizia giudiziaria, che ne aveva accertato il mancato rispetto.

Si tratta, dunque, di una situazione ben diversa da quella, prospettata in ricorso, di una sostanziale voltura dell’autorizzazione, in quanto l’amministrazione competente, nel rilasciarla, ne aveva espressamente indicato il carattere innovativo ed il reinserimento delle prescrizioni in precedenza eliminate, del tutto legittimo, ne imponeva pacificamente il rispetto da parte dei soggetti autorizzati.

Del tutto correttamente, dunque, il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza del reato contestato.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile, perche’ articolato interamente in fatto, con richiami ad atti del procedimento ai quali questo giudice di legittimita’ non ha accesso.

Nel motivo, inoltre, si prospetta una lettura delle risultanze dibattimentali alternativa a quella effettuata dal Tribunale, che non puo’ avere ingresso in questa sede, in quanto compito di questa Corte non e’ quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice di merito.

3. Il terzo motivo di ricorso risulta, inoltre, infondato.

Il rilascio del provvedimento autorizzatorio presuppone, come e’ noto, l’espletamento di un complesso procedimento amministrativo, ove l’amministrazione opera un preventivo controllo di compatibilita’ dell’attivita’ da svolgere con la normativa di settore attraverso un’istruttoria tecnica, all’esito del quale viene emesso il titolo abilitativo che, essendo anche connotato da evidente discrezionalita’, consente all’amministrazione che lo rilascia di incidere pure in modo rilevante sull’attivita’ autorizzata attraverso l’imposizione di prescrizioni, che possono integrare o, addirittura, limitare l’efficacia del provvedimento.

L’attribuzione di tale potere e’ giustificato, come osservato in dottrina, dalla necessita’ di adeguare l’esercizio dell’attivita’ autorizzata a specifiche esigenze relative alla singola attivita’ attraverso l’imposizione di prescrizioni limitative o modali.

E” pertanto evidente che, per quanto detto in precedenza, il destinatario del provvedimento non potra’ certo ignorare le prescrizioni imposte con l’atto abilitativo e che ne delineano l’ambito di efficacia ed esercitare comunque l’attivita’ autorizzata, pur potendo far ricorso agli ordinari strumenti di tutela qualora intenda porre in discussione la legittimita’ del titolo abilitante.

La contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 4 e’ reato formale, poiche’ richiede, per la sua configurabilita’, la mera inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, ovvero la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, avendo come finalita’ quella di assicurare il controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 6256 del 2/2/2011, Mariottini e altro, Rv. 249577; Sez. 3 n. 20277 del 27/3/2008, Filippi non massimata; Sez. 3, n. 35621 del 27/6/2007, Laini, non massimata; Sez. 3, n. 15560 del 14/3/2007, Andreani, Rv. 236341).

Nella fattispecie, pertanto, non era necessaria alcuna situazione di pericolo per configurare la violazione, situazione che, peraltro, come evidenziato dal giudice del merito in relazione alla contestazione sub A), non si e’ verificata per la mera assenza di fenomeni meteorologici significativi, prevedendo le prescrizioni violate appositi accorgimenti atti a contenere gli effetti di eventuali esondazioni del bacino. Parimenti di rilievo risultavano le prescrizioni non osservate di cui tratta il capo B) della rubrica, in quanto attinenti al preventivo controllo dei rifiuti prima della loro collocazione nell’invaso.

4. Risulta infondato anche il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS).

L’atto di impugnazione fa infatti riferimento ai contenuti del contratto stipulato dalla societa’ rappresentata dai ricorrenti i cui termini, per le ragioni gia’ espresse in precedenza, non possono essere oggetto di disamina in questa sede di legittimita’.

Va in ogni caso rilevato che il giudice del merito ha comunque compiutamente esaminato la posizione dei due imputati, facendo rilevare come proprio dal contratto risultasse espressamente stabilito che costoro avessero piena autonomia nella gestione del sito, sebbene nel rispetto della normativa vigente e delle disposizioni amministrative.

Per tali ragioni il Tribunale e’ pervenuto all’affermazione di corresponsabilita’ dei ricorrenti nella violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 4, la quale, pur avendo natura di reato proprio, non esclude la possibilita’ del concorso dell’extraneus il quale, sebbene privo della particolare qualificazione soggettiva prevista dalla norma penale, abbia comunque partecipato all’illecito commesso da colui che tale qualificazione giuridica possiede.

5. Resta da esaminare la questione, sollevata in udienza, dell’applicabilita’, nella fattispecie, della causa di non punibilita’ ora prevista dall’articolo 131 bis c.p., introdotto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015.

Occorre preliminarmente far rilevare che, al momento in cui e’ stata assunta la presente decisione, erano gia’ state rimesse alle Sezioni Unite, in data 7 maggio 2015, varie questioni relative alla concreta applicazione del nuovo istituto ed, in particolare, quella concernente la rilevabilita’ della particolare tenuita’ del fatto in sede di legittimita’.

Tuttavia, avuto riguardo al fatto che le relative ordinanze non erano state comunque depositate (il deposito e’ avvenuto il successivo 20 maggio) e del fatto che il termine massimo di prescrizione per i reati oggetto del presente procedimento sarebbe spirato il prossimo 3 settembre 2015, il Collegio ha ritenuto di non disporre il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite e di procedere comunque alla trattazione del processo.

Cio’ posto, va altresi’ richiamato quanto in precedenza stabilito da questa Sezione in una recente decisione (Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, non massimata) ove, dando atto del fatto che il Decreto Legislativo n. 28 del 2015 non prevede una disciplina transitoria, si e’ ritenuto che la natura sostanziale dell’istituto di nuova introduzione ne consente l’applicazione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, con conseguente retroattivita’ della legge piu’ favorevole, secondo quanto stabilito dall’articolo 2 c.p., comma 4.

Si e’ ritenuto anche che la questione della particolare tenuita’ del fatto sia proponibile nel giudizio di legittimita’, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.

Si e’ affermato, inoltre, nella richiamata decisione: “l’applicabilita’ dell’articolo 131 bis c.p. presuppone, tuttavia, salutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati.

Da cio’ consegue che, nel giudizio di legittimita’, dovra’ preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilita’ del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinche’ valuti se dichiarare il fatto non punibile.

Dovendosi quindi procedere a tale apprezzamento, rileva il Collegio che l’articolo 131 bis c.p., comma 1 delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali e’ prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena.

I criteri di determinazione della pena sono indicati dal comma 4, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all’articolo 69. Il comma 5, inoltre, chiarisce che la non punibilita’ si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

La rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilita’, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento.

Il primo degli “indici-criteri” (cosi’ li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuita’ dell’offesa) si articola, a sua volta, in due “indici-requisiti” (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 c.p., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalita’ dell’azione, gravita’ del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensita’ del dolo o grado della colpa).

Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due “indici-requisiti” della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 c.p., comma 1, sussista l'”indice-criterio” della particolare tenuita’ dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualita’ del comportamento. Solo in questo caso si potra’ considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’”.

Tanto premesso, si osserva che, nel caso in esame, trattandosi di contravvenzione, non risultano comunque superati i limiti di pena.

Quanto alla verifica degli ulteriori requisiti, si e’ specificato, nella richiamata pronuncia, che, il giudice di legittimita’ non potra’ che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi gia’ espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuita’ del fatto, riguardando, la non punibilita’, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di cosi’ modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.

Cio’ posto, rileva il Collegio che, nel provvedimento impugnato, il fatto, sebbene definito “modesto” dal giudice del merito per giustificare l’applicazione della sola pena pecuniaria, prevista in alternativa a quella detentiva, sia stato comunque valutato di un certo rilievo, come si evince dall’entita’ delle pene comunque irrogate (5000 e 2000 euro di ammenda), che si discostano dal minimo edittale, dovendosi quindi escludere a priori ogni successiva valutazione in termini di particolare tenuita’ dell’offesa.

6. I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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