Cassazione logo

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 16 giugno 2015, n. 24989

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 205/2014 TRIB. LIBERTA’ di BRINDISI, del 19/01/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

sentite le conclusioni del PG Dott. CORASANITI Giuseppe che ha chiesto il rigetto;

uditi i difensori avv.:

(OMISSIS) – Roma;

(OMISSIS) sost. dell’avv. (OMISSIS) – Roma.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 19 gennaio 2015 il Tribunale di Brindisi ha rigettato la richiesta di riesame presentata da (OMISSIS) avverso provvedimento di convalida di sequestro preventivo d’urgenza e contestuale decreto di sequestro preventivo emesso il 18 dicembre 2014 dal gip dello stesso Tribunale in relazione a indagini nei confronti del suddetto per reati di tentata frode commerciale (per attivita’ illecita che sarebbe stata da lui svolta per ottenere l’idoneita’ per la commercializzazione di un prodotto falsamente designato come vino DOC Salice Salentino “Riserva”), di favoreggiamento personale e di emissione di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti, sequestro avente per oggetto l’attestazione di idoneita’ rilasciata dalla Camera di Commercio di Brindisi il 20 gennaio 2014 n. 6/2014 in ordine alle caratteristiche di invecchiamento e di graduale affinamento della partita di vino di hl. 2531,50 di produzione (OMISSIS) Srl (di cui l’indagato e’ socio), la richiesta di prelievo di campioni del 12 dicembre 2013 e tutti gli altri atti e documenti della pratica relativa al rilascio del suddetto attestato, la fattura n. (OMISSIS) di (OMISSIS) S.p.A. per operazioni di rivestimento interno con lamiere in acciaio inox di dodici botti da hl. 55 cadauna per euro 18.000, i documenti di trasporto n. 10/14 del 29 gennaio 2014 e n. 62/14 del 21 marzo 2014 nonche’ il preventivo o n. 205/13/BIS emesso da (OMISSIS) S.p.A..

2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di tre motivi.

Il primo motivo denuncia violazione di legge e illogicita’ della motivazione. Adduce il ricorrente che durante le indagini preliminari sono stati acquisiti elementi di prova dichiarativa e documentale tali da escludere la tentata frode in commercio contestata. Le dichiarazioni testimoniali dei dipendenti della societa’ che si e’ successivamente occupata dell’affinamento in botti del vino in questione escluderebbero la tentata frode e l’ordinanza impugnata avrebbe trascurato di esaminare elementi probatori che escludono sia l’elemento oggettivo che il soggettivo del reato. Perche’ sussista il reato di tentata frode e’ sempre necessario accertare la destinazione alla vendita di un prodotto diverso da quello dichiarato, mentre questo “alla luce delle indicazioni date dalla Camera di Commercio, sin dall’aprile 2014, non vi poteva mai essere”. Il Tribunale non avrebbe considerato l’assenza di prova della commerciabilita’ del prodotto. Dal 1 agosto 2009 sarebbe stato approvato un Piano dei controlli sulla tracciabilita’ del prodotto dalla produzione dell’uva fino alla conclusione con l’imbottigliamento e l’etichettatura del vino, ma solo il 3 aprile 2014 “e’ stato accertato che 12 delle 16 botti erano foderate in acciaio”. In realta’ la tracciabilita’ doveva essere accertata mediante attivita’ sia di verifica documentale sia di controlli ispettivi rispetto a quanto stabilito dai disciplinari di produzione e dal Piano di controlli e nel caso di specie il prelievo di campioni ha portato appunto a quella verifica documentale ed ispettiva il cui esito e’ che il vino assumeva le caratteristiche della denominazione Rosso Salice Salentino DOC “Riserva”, senza alcuna falsita’.

Il prodotto in questione, poi, “si trovava ancora negli stabilimenti vitivinicoli della societa’” prima del sequestro, per cui non era in corso di commercializzazione. Il vino, avendo una particolare regolamentazione ed essendo sottoposto a particolari autorizzazioni in ogni fase, non poteva essere nel caso concreto imbottigliato e quindi commercializzato con la dicitura Salice Salentino Riserva 2011, onde si sarebbe configurato semmai un reato impossibile. Inoltre non sarebbe stata provata una “intenzione colpevole dei (OMISSIS)” e il Tribunale non avrebbe dovuto valutare in astratto, bensi’ in concreto l’idoneita’ e l’univocita’ degli atti.

Il secondo motivo denuncia illogicita’ dell’intero iter motivazionale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). Illogico sarebbe l’asserto del Tribunale che la dicitura del prodotto, se illecitamente ottenuta, e’ idonea a integrare il reato di cui all’articolo 515 c.p., pur essendo noto, ad avviso del ricorrente, che il vino non poteva essere messo in vendita con la dicitura Salice Salentino Riserva. Il ricorrente asserisce di chiedere non la rivalutazione delle prove, “bensi’ il controllo logico e giuridico della struttura della motivazione” dell’ordinanza impugnata, per verificare se siano state “applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori”. Il Tribunale, poi, non avrebbe applicato correttamente le regole di valutazione della prova e non avrebbe esaminato, “in modo approfondito e diffuso, tutti gli elementi, anche marginali, probatoriamente apprezzabili”, non correlandoli poi in un ragionamento logico, e quindi insindacabile dal giudice di legittimita’. Il punto di partenza del Tribunale, cioe’ la “astratta sussumibilita’ in una determinata fattispecie di reato del fatto contestato”, sarebbe poi “tema d’indagine non provata”. Vi sarebbe altresi’ una “acclarata falsita’” delle dichiarazioni di (OMISSIS), “perche’ sconfessato dai suoi stessi documenti fiscali e da una serie di elementi probatori, non analizzati dal Giudice cautelare del gravame, consistenti nelle molteplici dichiarazioni dei testi, nei documenti e in tutto il materiale probatorio”. La dichiarazione del (OMISSIS), titolare del (OMISSIS), della vendita di 16 botti, di cui 12 con rivestimento interno in acciaio, non avrebbe riscontro nei documenti di trasporto e fiscali da lui stesso emessi. Non sarebbe quindi necessario mantenere il sequestro dell’attestazione di idoneita’ rilasciata dalla Camera di Commercio di Brindisi il 20 gennaio 2014 e di tutti i documenti della pratica relativa al suo rilascio.

Il terzo motivo lamenta omessa motivazione sul periculum in mora. Il gip avrebbe riportato testualmente il contenuto di quasi tutto il provvedimento d’urgenza del PM, e il Tribunale a sua volta avrebbe condiviso la motivazione del gip, anziche’ annullare il decreto di sequestro ex articolo 125 c.p.p., comma 3, non essendovi i presupposti per l’esercizio del suo potere di integrazione motivazionale. Pur essendo noto l’orientamento giurisprudenziale per cui l’ordinanza di convalida del decreto di sequestro preventivo emesso in via d’urgenza e’ inoppugnabile, il ricorrente ritiene di dover segnalare anche la carenza motivazionale che investe sia l’impugnata ordinanza sia, prima, in sede di riesame, il provvedimento di convalida, essendo ingiustificato anche l’intervento urgente del PM.

Inoltre il pericolo deve avere i requisiti della concretezza e della attualita’, non configurabili “dopo otto mesi dalla redazione del verbale di constatazione, senza che gli indagati abbiano dato adito a comportamenti violativi delle prescrizioni imposte dall’Organo di controllo”. Falsi sarebbero anche gli elementi (come la chiusura del procedimento amministrativo della Camera di Commercio di Brindisi volto al ritiro ed alla riclassificazione del vino per cui era stato rilasciato l’attestato di idoneita’ del 20 gennaio 2014) su cui sarebbe stato fondato il pericolo sotto forma di libera disponibilita’ del prodotto, non essendovi d’altronde intenzione di commercializzarlo con la dicitura “Riserva”. Inoltre la Camera di Commercio di Brindisi con nota del 9 dicembre 2014 ha attestato che la partita in questione potra’ essere commercializzata senza la dicitura “riserva”, previa comunicazione del cambio di denominazione. Non sussisterebbe, in conclusione, alcun pericolo connesso alla libera disponibilita’ del bene che goda dei caratteri di attualita’ e concretezza.

In data 11 maggio 2015 e’ stata depositata memoria difensiva, nella quale viene ricostruita la vicenda dal punto di vista fattuale e procedurale, ribadendo quanto gia’ asserito nel ricorso, in particolare l’assenza di intenzione di commercializzare il vino con la dicitura “riserva”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ manifestamente infondato.

L’ampia esposizione del contenuto dei motivi appena svolta intende evidenziare come gli stessi non siano conformi ai limiti della cognizione del giudice di legittimita’ in riferimento, ex articolo 325 c.p.p., a una misura cautelare reale.

3.1 Il primo motivo, infatti, come si e’ visto, costituisce una versione alternativa del fumus commissi delicti in relazione al reato di tentata frode commerciale, imputando al Tribunale di non avere valutato tutti gli elementi probatori agli atti e di avere argomentato in modo illogico a proposito di quelli considerati. Viene richiesto, in tal modo, al giudice di legittimita’ di effettuare una verifica dell’accertamento fattuale operato dal giudice di merito, il che in questa sede e’ evidentemente inammissibile. Ma e’ parimenti inammissibile anche la verifica della logicita’ della struttura motivazionale, trattandosi di cautela reale ed essendo quindi applicabile l’articolo 325 c.p.p., che preclude la proponibilita’ di un vizio motivazionale relativo all’intrinseco contenuto della motivazione, lasciando spazio solo alla sua carenza (ovvero apparenza, cioe’ motivazione “finta”, basata solo su formule di stile e asserti generici) quale violazione dell’obbligo di motivare ex articolo 125 c.p.p., comma 3, (cfr. tra i piu’ recenti arresti Cass. sez. 6, 10 gennaio 2013 n. 6589; Cass. sez. 5, 1 ottobre 2010 n. 35532 e Cass. sez. 6, 20 febbraio 2009 n. 7472). Mancanza di motivazione che (oltre a non sussistere, visto, si nota ad abundantiam, l’ampio apparato motivativo di cui il Tribunale ha dotato l’ordinanza impugnata) non e’ stata neppure denunciata, non potendosi identificarla nella pretesa omessa valutazione di tutti gli elementi probatori attribuita al giudice del riesame.

Gli unici dati riconducibili all’ambito della cognizione del giudice di legittimita’ in un ricorso proposto ex articolo 325 c.p.p. che e’ ravvisabile nel motivo in esame sono il riferimento alla necessita’ di commercializzazione del prodotto per integrare il reato di frode ex articolo 515 c.p., che si esplica infatti proprio “nell’esercizio del commercio”, deducendone che, in difetto di questo elemento, il reato non sussiste, nonche’ l’asserita configurabilita’ del reato impossibile. Effettivamente, non sussiste il reato di frode commerciale, neppure in forma tentata, se il prodotto non e’ destinato alla vendita (v. da ultimo Cass. sez. 3, 18 settembre 2014 n. 45916 – per cui, mentre il reato consumato e’ integrato dalla consegna materiale della merce all’acquirente, “per la configurabilita’ del tentativo non e’ necessaria la sussistenza di una contrattazione finalizzata alla vendita, essendo sufficiente l’accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualita’ o quantita’ da quelle dichiarate o pattuite” -; sulla necessita’, perche’ sussista il reato nella forma tentata, dell’accertamento della destinazione della merce alla vendita v. pure Cass. sez. 3, 28 ottobre 2010 n. 41758; cfr. altresi’ Cass. sez. 3, 28 settembre 2011 n. 37508 e Cass. sez. 3, 15 febbraio 2011 n. 22313). Peraltro, nel caso in esame, il Tribunale non e’ incorso in violazione di legge, non avendo affermato che tale destinazione non necessiti a integrare il tentativo di frode commerciale, al contrario avendo espressamente richiamato giurisprudenza di questa Suprema Corte in tal senso (la gia’ citata Cass. sez. 3, 28 ottobre 2010 n. 41758), e argomentando correttamente nel senso che la destinazione al commercio, quanto meno a livello di fumus, puo’ gia’ ritenersi dimostrata dalla detenzione in magazzino da parte del produttore commerciante di prodotti diversi da quelli dichiarati e/o pattuiti, dovendosi tutelare anche i commercianti intermedi oltre ai consumatori (viene richiamata con pertinenza pure la gia’ citata Cass. sez. 3, 15 febbraio 2011 n. 22313).

Il ricorrente prospetta altresi’ una fattispecie di reato impossibile perche’ la condotta contestata non sarebbe mai stata idonea a mettere in commercio il prodotto e tutti i dati della vicenda dimostrerebbero che “il fatto non si sarebbe mai potuto realizzare senza e comunque “il tempestivo intervento degli organismi di controllo” come recita la contestazione” nel capo d’imputazione. Peraltro, affinche’ sia configurabile un reato impossibile occorre una inidoneita’ assoluta e strutturale dell’azione (da ultimo Cass. sez. 5, 15 ottobre 2014-3 marzo 2015 n. 9254, per cui appunto “l’inidoneita’ dell’azione deve essere assoluta per inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato cosi’ da non consentire neppure in via eccezionale l’attuazione del proposito criminoso”; trattasi di giurisprudenza da tempo consolidata: v. pure Cass. sez. 2, 14 gennaio 2004 n. 7630, Cass. sez. 1, 31 marzo 1992 n. 5450 e Cass. sez. 1, 28 aprile 1988 n. 721); cio’ non e’ attribuibile alla condotta contestata, per quanto si evince dall’ordinanza impugnata in ordine all’attivazione della procedura per ottenere dall’organismo di controllo competente – la Camera di Commercio brindisina – il rilascio dell’attestato di idoneita’ come vino DOC Salice Salentino 2011 “Riserva”, e il suo conseguimento con l’attestato di idoneita’ n. 6/2014, poi ritirato dalla stessa Camera di Commercio. In conclusione, il primo motivo risulta privo di consistenza.

3.2 Il secondo motivo patisce le stesse caratteristiche del motivo precedente, adducendo ancor piu’ specificamente una versione alternativa degli esiti del compendio probatorio tramite la considerazione di alcuni elementi (in particolare quelli relativi alle botti che, secondo le dichiarazioni di (OMISSIS), ad avviso del ricorrente false perche’ smentite da altri dati, sarebbero state acquistate presso di lui, titolare del (OMISSIS): questione, si nota meramente ad abundantiam, accuratamente esaminata nelle pagine 5-6 dell’ordinanza impugnata), ed espressamente affermando di chiedere al giudice di legittimita’ “il controllo logico e giuridico della struttura della motivazione” dell’ordinanza impugnata. A parte che nessuna violazione dei canoni normativi di interpretazione dei dati probatori emerge da tale provvedimento – e infatti, al riguardo, il motivo rimane assertivo e generico -, per quanto concerne il controllo della struttura logica motivazionale vale quanto osservato a proposito del motivo precedente: trattasi di vizio che e’ inammissibile denunciare in un ricorso ex articolo 325 c.p.p. come e’ quello in esame. E per quanto concerne, infine, l’asserita assenza di necessita’ di mantenere il sequestro su quanto ne e’ oggetto non costituisce nemmeno una argomentazione, bensi’ solo la deduzione da quanto esposto quale versione alternativa degli esiti probatori della carenza del fumus commissi delicti a sostenere il sequestro.

Pure il secondo motivo, dunque, risulta privo di pregio.

3.3 Il terzo motivo, infine, lamenta, come si e’ visto, la mancanza di motivazione sul periculum in mora e sulle ragioni di urgenza. Premesso che, nel caso in cui sia convalidato un sequestro d’urgenza e disposto contestualmente un sequestro dal gip, impugnabile e’ unicamente quest’ultimo, il quale rimane unico provvedimento che legittima la cautela (v. Cass. sez. 3, 17 gennaio 2014 n. 5770; Cass. sez. 3, 3 febbraio 2011 n. 11671; S.U. 31 maggio 2005 n. 21334; Cass. sez. 3, 8 ottobre 2003 n. 49448), onde sono inammissibili le doglianze, riproposte nel ricorso, aventi per oggetto il provvedimento emesso d’urgenza, deve poi darsi atto che la censura di carenza di motivazione sulle esigenze cautelari che sorreggono il provvedimento di sequestro emanato dal gip non trova riscontro nel reale contenuto della impugnata ordinanza, che include un settore motivativo al riguardo, non formulato con modalita’ generiche o di stile (motivazione, pagina 8), bensi’ dettagliato ed effettivo; e per quanto sopra si e’ osservato rimane comunque precluso, al giudice di legittimita’, verificare la logicita’ – e tanto meno la condivisibilita’ – degli argomenti di cui si e’ avvalso il giudice di merito, come in sostanza persegue il ricorrente, almeno in parte nuovamente collocando su un piano di contestazione fattuale anche il presente motivo.

Quanto, infine, alla pretesa carenza assoluta di motivazione del provvedimento di sequestro del gip per aver meramente recepito quanto motivato dal PM nel suo provvedimento d’urgenza, il che avrebbe reso illegittima la integrazione motivazionale apportata ad essa, secondo il ricorrente, dalla impugnata ordinanza, si tratta di una doglianza intrinsecamente contraddittoria, e quindi manifestamente infondata, poiche’, sempre secondo il ricorrente stesso, il deficit motivazionale “investe anche, in modo addirittura piu’ marcato, la valutazione del Tribunale circa la sussistenza delle ragioni d’urgenza” che, secondo il PM, avrebbero giustificato il provvedimento del PM stesso. E, in realta’, come gia’ si e’ osservato, la motivazione della ordinanza impugnata deve vertere non sulle ragioni d’urgenza che avevano sorretto il decreto del PM – il provvedimento di convalida non e’ impugnabile -, bensi’ sulle esigenze cautelari del provvedimento di sequestro emesso dal gip, sulle quali la motivazione sussiste, ed e’ stata formulata in modo reale e specifico (pagina 8).

Anche questo motivo, in conclusione, non merita accoglimento sotto alcun profilo.

Per quanto rilevato, quindi,, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *