Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

S.U.P.

SENTENZA 9 luglio 2015, n. 29316

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Pesaro ha affermato la responsabilità di D.C.S. in ordine ai reati seguenti, secondo la rubricazione riportata nell’imputazione originaria:

A) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376 (ritenuti in esso assorbiti i reati di cui agli artt. 81, secondo comma, 648 e 81, secondo comma e 348, cod. pen. contestati ai capi B ed E dell’originaria imputazione), con riferimento all’acquisto ed al commercio di farmaci e di sostanze farmacologicamente e biologicamente attive come trenbolone, ossandrolone, drostanolone propionato, boldenone undecilenato, nandrolone, efedrina, ormone della crescita, testosterone, medicinali anabolizzanti in classe doping;

C) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 73, commi lei bis lett. b), d.P.R. n. 309 1990, con riferimento alla commercializzazione e detenzione illecita di medicinali contenenti nandrolone, sostanza stupefacente e psicotropa indicata nella tabella II, sez. A;

D) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 70 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla illecita detenzione ed alla commercializzazione di efedrina, sostanza inserita nella categoria 1 dell’allegato I del d.P.R. medesimo;

G) artt. 81, secondo comma, cod. pen., 6 e 147, comma 2, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219, con riferimento alla commercializzazione di medicinali di provenienza estera, in assenza di autorizzazione dell’Agenzia italiana per il farmaco.

Fatti commessi in Fano sino al 22 agosto 2011.

Il Tribunale ha pure disposto la confisca dei veicoli e dei documenti in sequestro nonché, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la confisca dei beni immobili oggetto di sequestro preventivo disposto con decreto del G.i.p. del Tribunale di Pesaro del 26 gennaio 2012, tutti elencati nel dispositivo.

La Corte di appello di Ancona ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo D per insussistenza del fatto e, ritenuta la continuazione tra i restanti reati, ha rideterminato la pena; confermando nel resto la sentenza del Tribunale.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo diversi motivi.

2.1. Nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione degli artt. 179, 178, comma 1, lett. b), 33-septies cod. proc. pen., perché, dopo l’instaurazione del giudizio col rito immediato, e quindi senza udienza preliminare, il giudice monocratico, rilevata la competenza per materia del giudice collegiale, ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale in composizione collegiale e non al pubblico ministero, così violando le norme concernenti l’iniziativa del p.m. nell’esercizio dell’azione penale e privando l’imputato della possibilità di accedere al rito abbreviato dinanzi al G.i.p..

2.2. Illegittimità del decreto del Ministro della salute in data 11 giugno 2010, per genericità nell’indicazione delle caratteristiche del nandrolone in punto di efficacia drogante. Quale conseguenza dell’illegittimità di tale decreto e di pronunzia assolutoria in ordine al reato di cui al capo C, s’invoca la revoca del sequestro preventivo e della confisca di beni disposta ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992.

2.3. Erroneità dell’applicazione del richiamato art. 12-sexies, attesa l’assenza di nesso pertinenziale tra l’illecito di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ed i beni confiscati, acquistati in epoca anteriore all’inserimento del nandrolone nella tabella II, sez. A, dell’art. 14 del citato d.P.R. n. 309.

Viene evocata la sentenza della Corte cost. n. 18 del 1996 per sollecitare una interpretazione costituzionalmente orientata del ridetto art. 12-sexies.

Si deduce pure l’irrilevanza dell’assorbimento del reato di cui all’art. 648 cod. pen. in quello previsto dall’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, stante il principio di specialità: erroneamente il giudice di merito ha collegato la confisca al reato assorbito.

2.4. Vizio della motivazione per la mancanza di congrua spiegazione in ordine alla confisca di beni derivanti da attività lecita e comunque in misura non proporzionata all’entità dei fatti; trascurando o erroneamente interpretando le allegazioni difensive.

2.5. Violazione del divieto di reformatio in pejus: la Corte di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo imputato, ha considerato quale pena-base la stessa sanzione irrogata dal primo giudice, nonostante l’intervenuta assoluzione dal reato di cui al capo D, concernente l’efedrina, che il Tribunale aveva individuato quale reato più grave.

Analoga violazione si prospetta in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione interna nella misura di sei mesi: il Tribunale aveva operato gli aumenti in continuazione per i singoli reati-satellite e non globalmente e quindi la Corte territoriale, intervenuta l’assoluzione per il reato di cui al capo D, non avrebbe potuto “ritenere la sussistenza della configurazione continuata della singola fattispecie, continuazione interna che non apparteneva più al processo”.

2.6. In via subordinata rispetto al secondo motivo, si propone questione di costituzionalità dell’art. 4-bis della legge n. 49 del 2006 per ciò che attiene all’eliminazione, ai fini sanzionatori, della differenza tra droghe ‘leggere’ e droghe ‘pesanti’.

Il ricorso, in tema d’incostituzionalità della normativa, evoca l’ordinanza della Corte di cassazione dalla quale è scaturita la sentenza costituzionale n. 32 del 2014.

2.7. Quale censura subordinata rispetto a quella oggetto del quarto motivo, viene sollevata questione di costituzionalità del richiamato art. 12-sexies in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., nell’interpretazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità, per contrasto con gli artt. 7 e 6, comma 2, della CEDU: la natura sostanzialmente penale della confisca, secondo i parametri interpretativi dettati dalla giurisprudenza Europea, rende la disciplina confliggente con la presunzione di innocenza prevista dall’art. 6, comma 2, CEDU.

2.8. Con motivi nuovi depositati il 30 settembre 2014, muovendo dalla sentenza della Corte cost. n. 32 del 2014, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, si prospetta l’intervenuta abolitio criminis in relazione ai fatti contestati al capo C dell’imputazione, afferenti a violazioni dell’art. 73, commi lei bis, del ridetto d.P.R. n. 309.

Si assume che è intervenuta la caducazione dell’intero sistema tabellare delle sostanze stupefacenti e psicotrope, con reviviscenza del sistema tabellare precedente alla novella del 2006. Tale caducazione riguarda in particolare il nandrolone, inserito nelle tabelle I e II, sez. A, previste dalla legge del 2006 solo con il d.m. 11 giugno 2010; e coglie le condotte contestate fino al 22 agosto 2011 e quindi poste in essere nella vigenza della disciplina di legge e tabellare travolta dalla pronunzia d’incostituzionalità.

La deduzione, secondo la prospettazione difensiva, ha carattere preliminare ed assorbente rispetto a tutti i motivi di ricorso, fatta eccezione per il motivo n. 1, che concerne una questione procedurale.

Il ricorrente osserva pure che in seguito alla declaratoria di incostituzionalità è stato adottato il decreto-legge n. 36 del 20 marzo 2014, al fine di reinserire nelle tabelle le sostanze che vi erano state introdotte dalla novella del 2006 oppure da decreti ministeriali successivi. Tale intervento, si assume, è volto ad assicurare per il futuro la rilevanza penale di condotte aventi ad oggetto dette sostanze, ma non ha effetto retroattivo, ostandovi il principio costituzionale d’irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, secondo comma, Cost..

Si aggiunge che la volontà del legislatore di operare solo per il futuro risulta, inoltre, dalla modifica apportata dalla legge di conversione del citato decreto-legge: la formulazione “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge continuano a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014” è stata modificata nel senso che il verbo ‘continuano’ è stato sostituito con ‘riprendono’. Tale tesi, si assume, trova conferma nel parere del Comitato per la legislazione, che ha rappresentato l’opportunità di tale modifica “sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione […] nel presupposto che l’intento perseguito con l’art. 2 sia quello di agire esclusivamente pro futuro”. Si cita, inoltre, il dossier del Servizio Studi del Senato, secondo il quale l’utilizzo dell’espressione ‘riprendono’, in luogo della precedente formulazione, evidenzia che “quegli atti amministrativi – fra i quali sono inclusi i decreti ministeriali che, a partire dal 2006, hanno provveduto all’inclusione nelle tabelle delle nuove sostanze stupefacenti – hanno cessato di produrre i loro effetti e, proprio per questo, si prevede che riprendono a produrli. Ciò peraltro, in assenza di una disposizione espressa in senso diverso, non potrebbe valere che per l’avvenire”.

Infine, si rappresenta che anche l’incriminazione introdotta dalla nuova disciplina presenta criticità interpretative, poiché per effetto del decreto-legge n. 36 del 2014 le sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 risultano tutte equiparate alle droghe ‘pesanti’ non per le loro qualità psicoattive ma per un dato formale, non essendo stato modificato l’apparato sanzionatorio rispristinatosi per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale.

Nei motivi aggiunti sono state altresì formulate anche ulteriori argomentazioni ad integrazione dei motivi dedotti con il ricorso iniziale.

2.9. Ha fatto seguito la presentazione di una memoria con la quale si espone che le sostanze introdotte nelle tabelle di cui si discute nel vigore della disciplina affetta da incostituzionalità sono solo 32.

Con ordinanza depositata in data 1 dicembre 2014, la Quarta Sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della perdurante rilevanza penale delle condotte afferenti a stupefacenti commesse in epoca antecedente all’entrata in vigore del richiamato decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, aventi ad oggetto sostanze droganti come il nandrolone, inserite per la prima volta nelle tabelle introdotte nel vigore del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, caducate per effetto della pronuncia della Corte cost. n. 32 del 2014.

Si rammenta che la Corte costituzionale ha chiaramente affermato la reviviscenza, tra l’altro, dell’art. 73 T.U. stup. e delle relative tabelle, “in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate”. Hanno dunque ripreso vigore sia le norme incriminatrici contenute nell’originario art. 73 citato (connotate dall’assai diversa entità della risposta sanzionatoria stabilita nei commi 1 e 4, a seconda che l’oggetto della condotta sia costituito, rispettivamente, da droghe ‘pesanti’ ovvero da droghe ‘leggere’), sia le sei correlate tabelle. Si rammenta che nelle tabelle I e III, richiamate dal comma 1 dell’art. 73, erano incluse le sostanze ritenute in grado di produrre effetti sul sistema nervoso centrale e di determinare dipendenza psico-fisica nell’assuntore; nelle tabelle II e IV, richiamate dal comma 4 dell’art. 73, erano elencate le sostanze connotate da un grado inferiore di dipendenza, nonché i prodotti di corrente impiego terapeutico contenenti sostanze classificate nelle tabelle I e III, e perciò idonee a creare dipendenza; nelle tabelle V e VI, erano invece inseriti preparati e prodotti medicinali che, pur contenendo sostanze ad effetto stupefacente, erano sottoposti a disciplina e controlli meno rigorosi. Il sistema tabellare della legge del 2006 prevedeva, invece, due tabelle classificatorie: la I per le sostanze stupefacenti e la II per i medicinali.

Si considera, altresì, che l’intervento del legislatore del 2014 ha reintrodotto quattro tabelle inserendovi le sostanze che, sulla base della legge n. 49 del 2006, erano raggruppate nelle due tabelle caducate per effetto della sentenza della Corte costituzionale, “in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico, ripristinate dalla più volte richiamata sentenza” (come esplicitato dalla Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione). Tale risultato è stato raggiunto sia attraverso modifiche agli artt. 13 e 14 del T.U. concernenti il numero delle tabelle nonché i criteri di inclusione delle sostanze al loro interno, sia attraverso la creazione delle nuove tabelle.

Si rammenta che le quattro tabelle vigenti prima della legge del 2006, e tornate in vigore dopo la sentenza costituzionale, contenevano sia le sostanze considerate sin dall’entrata in vigore del T.U., sia quelle che erano state man mano incluse attraverso i procedimenti di revisione ed aggiornamento di cui agli artt. 2 e 13 adottati fino al 27 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della legge n. 49 del 2006). Le tabelle in questione non contenevano (né avrebbero potuto contenere) le numerose sostanze che, dopo l’entrata in vigore della normativa del 2006, sono state inserite nella tabella I in forza dei provvedimenti di aggiornamento adottati fino al 5 marzo 2014, data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Da ciò la necessità di ripristinare l’inclusione nel regime sanzionatorio di numerose sostanze, come il nandrolone, tabellarmente classificate dopo il 27 febbraio 2006, coinvolte dalla caducazione operata dalla sentenza della Corte costituzionale.

Dal susseguirsi di tali eventi, secondo l’ordinanza di rimessione, scaturiscono delicate implicazioni in ordine alla rilevanza penale delle condotte, poste in essere prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, aventi ad oggetto le sostanze classificate a decorrere dall’entrata in vigore della disciplina del 2006; alla luce del consolidato principio enunciato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui non trova applicazione la normativa in materia di stupefacenti ove le condotte abbiano ad oggetto sostanze droganti non incluse nel catalogo di legge, perché la nozione di sostanza stupefacente ha natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione solo le sostanze indicate nelle tabelle allegate al T.U. sugli stupefacenti.

L’ordinanza da atto che in ordine alla permanente rilevanza penale di condotte poste in essere dall’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e fino all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, aventi ad oggetto sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 27 febbraio 2006, non si registrano pronunce della giurisprudenza di legittimità. Si rappresenta l’esistenza, tuttavia, di orientamenti dottrinari e della giurisprudenza di merito che prospettano differenti soluzioni.

3.1. Secondo una prima tesi, la caducazione della normativa del 2006 e del relativo sistema tabellare ha determinato una serie di abolitiones criminis rispetto ai fatti concernenti le sostanze che sono state introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi, con conseguenze sui processi in corso, nonché sulle sentenze passate in giudicato, che andrebbero revocate in forza dell’art. 673 cod. proc. pen. Il reinserimento delle sostanze in questione nelle quattro tabelle attribuisce rilevanza penale solo alle condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36, ma non ha effetto retroattivo, ostandovi il principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.. La stessa mutata formulazione dell’art. 2 del decreto-legge n. 36 in sede di conversione ad opera della legge n.79 del 2014, con la previsione che gli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Corte costituzionale non già ‘continuano’ a produrre effetto ma piuttosto ‘riprendono’ ad avere effetto, conferma che il legislatore non aveva intenzione di introdurre una disciplina con effetto retroattivo; come del resto esplicitato dal Comitato per la legislazione che propose la modifica in questione.

L’ordinanza rammenta che tale approccio si rinviene in un provvedimento della Procura della Repubblica di Busto Arsizio che ha richiesto al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza di patteggiamento emessa per il delitto di illecita importazione della sostanza catha edulis essiccata, ricompresa proprio tra le sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della normativa dichiarata incostituzionale.

3.2. Un opposto orientamento, invece, ritiene la permanente rilevanza penale delle condotte relative alle sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006.

Tale approccio è stato fatto proprio dalla Procura della Repubblica di Lanciano, in base alla considerazione che il procedimento di inserimento delle sostanze nelle relative tabelle non risulta modificato nel suo nucleo sostanziale dalla legge ritenuta incostituzionale rispetto alla precedente legislazione, sicché i decreti di aggiornamento delle tabelle non presuppongono la vigenza delle norme incostituzionali e si basano su criteri di classificazione (quelli di cui all’art. 14 del T.U.) coincidenti con quelli previgenti. Per questi motivi tali decreti sarebbero tuttora validi. Peraltro, in una evidente ottica di favor rei, si è proposto di ritenere che tali ‘nuove’ sostanze siano da classificare tra le droghe ‘leggere’.

L’ordinanza da atto che tale punto di vista è stato criticato in dottrina: si è obiettato che tale impostazione si basa su un approccio sostanzialistico, mentre la pronunzia costituzionale ha privilegiato un criterio formale per l’individuazione delle conseguenze derivanti in concreto dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale. Dunque, secondo tale opinione, dalla ‘detabellizzazione’ delle sostanze di ultima generazione determinata dalla sentenza costituzionale discende una vera e propria abolitio criminis.

Infine, l’ordinanza di rimessione da atto dell’opinione dottrinale che, per contrastare la tesi dell’abolitio criminis, valorizza la originaria formulazione dell’art. 2 del decreto-legge n. 36 del 2014, che prevedeva, come accennato, che dalla sua entrata in vigore gli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Consulta ‘continuano’ a produrre effetti.

Secondo tale opinione la norma in questione, per ciò che riguarda i decreti ministeriali che hanno aggiornato la tabella I nel vigore della normativa del 2006, includendovi sostanze ‘nuove’, avrebbe derogato “non al principio di irretroattività e all’assoluto dovere che grava sul giudice penale di applicare le nuove incriminazioni per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge”, bensì solo “al principio della retroattività degli effetti delle sentenze d’incostituzionalità di una norma penale per i processi pendenti e finanche oltre il giudicato di condanna (efficacia iperretroattiva sancita dall’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953)”. La questione che dovrebbe porsi, in tale prospettiva, sarebbe quindi quella dell’ammissibilità di una ‘eccezione legislativa’ al principio della retroattività della lex mitior per effetto di una declaratoria di illegittimità costituzionale, qualora si renda necessario operare un bilanciamento con altri principi e valori di rango costituzionale. Secondo tale dottrina, la risposta dovrebbe essere positiva. I referenti costituzionali della retroattività della lex mitior non sono oggi più limitati ai soli principi ‘interni’ (eguaglianza, ragionevolezza delle scelte legislative, proporzione tra disvalore della condotta e sanzione), essendosi aggiunto, dopo la sentenza Scoppola c. Italia della Corte di Strasburgo, anche l’art. 7 CEDU in relazione all’art. 117 Cost. Nonostante tale nuovo inquadramento ‘convenzionale’, il principio di retroattività della lex mitior non avrebbe comunque assunto le connotazioni assolute e inderogabili proprie del principio di irretroattività della legge sfavorevole: residuerebbe pertanto uno spazio per il legislatore per limitare o derogare alla retroattività della lex mitior, laddove – come nella specie – si renda necessario un bilanciamento ragionevole di interessi di rilevanza costituzionale. Secondo tale opinione, il legislatore avrebbe inserito nell’art. 2 del decreto-legge n. 36 del 2014 una vera e propria disposizione transitoria, a garanzia della persistenza dell’efficacia degli atti amministrativi adottati sino alla sentenza della Corte costituzionale.

3.3. In presenza delle riportate possibili opzioni ermeneutiche, la Quarta Sezione ha rimesso la decisione della questione alle Sezioni Unite per la sua rilevanza e tenuto conto della mancanza di qualsiasi punto di riferimento riscontrabile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, al fine di prevenire eventuali contrasti.

Il Primo Presidente, con decreto del 9 dicembre 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite fissandone la trattazione per la odierna udienza.

Considerato in diritto

Il primo pregiudiziale motivo di ricorso è infondato.

L’art. 33-septies cod. proc. pen. regola, nell’ambito del Capo sui provvedimenti sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, i casi di inosservanza delle disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione collegiale o monocratica nel dibattimento di primo grado. Nel comma 1 si prevede che, nel caso in cui il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad udienza preliminare, il giudice se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti al giudice competente.

Nel comma 2, invece, con riguardo ai casi diversi da quelli previsti dal comma 1, si prevede che, se il reato appartiene alla cognizione del giudice collegiale, il giudice monocratico investito del processo dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.

La portata della disciplina è stata condivisibilmente chiarita da questa Corte in un caso identico a quello in esame (Sez. 1, n. 34163 del 15/07/2014, Santoro, n.m.). La Corte, accogliendo il ricorso proposto dal pubblico ministero, che deduceva l’abnormità del provvedimento, ha osservato che “l’art. 33-septies cod. proc. pen. non può che essere interpretato nel senso che l’accertamento dell’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al giudice collegiale o al giudice monocratico comporta, per regola generale, la mera trasmissione degli atti al giudice competente, senza alcuna regressione di fase e, dunque, senza alcuna restituzione degli atti al pubblico ministero. Solo nel caso, residuale, in cui all’imputato spettava il passaggio alla fase processuale dell’udienza preliminare e tale passaggio gli sia stato arbitrariamente negato, il giudice del dibattimento deve invece trasmettere gli atti al pubblico ministero, così che l’imputato possa essere rimesso nella condizione di accedere alla udienza preliminare e di avanzare richiesta di riti alternativi nella sede che era per essi propria”; sicché il comma 2 dell’art. 33-septies va “riferito esclusivamente all’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi non solo che il reato è stato erroneamente ritenuto tra quelli attribuibili alla cognizione del giudice in composizione monocratica anziché collegiale, ma che a causa di tale errore é stata altresì erroneamente omessa l’udienza preliminare”.

Si veda inoltre, per lo stesso principio, in analoghe fattispecie, Sez. 1, n. 4770 del 15/04/2010, Carella, Rv. 247204; Sez. 6, n. 31758 del 15/06/2006, Carta, Rv. 234864.

Dunque correttamente nel caso in esame gli atti sono stati trasmessi al Tribunale in composizione collegiale; senza che ciò abbia recato pregiudizio alcuno al ricorrente.

Il motivo nuovo afferente agli effetti della sentenza costituzionale n. 32 del 2014 è fondato ed assorbente.

Esso chiama in causa la questione devoluta alle Sezioni Unite, che può essere enunciata nei seguenti termini:

‘Se, a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies-ter del decreto-legge n. 272 del 2005, come modificato dalla legge n. 49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, debbano ritenersi penalmente rilevanti le condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato dalla richiamata legge n. 49 del 2006’.

L’ordinanza di rimessione espone chiaramente i temi posti all’attenzione delle Sezioni Unite, sicché ad essa occorre aggiungere solo alcune brevi note.

Con la richiamata sentenza n. 32 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Il primo articolo aveva modificato l’art. 73 del T.U., unificando il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite afferenti alle diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Il secondo articolo aveva coerentemente modificato gli articoli 13 e 14 del medesimo atto normativo, collocando nella prima tabella tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope e nella seconda tabella, ripartita in cinque sezioni, i medicinali contenenti tali sostanze. Le nuove tabelle sono state allegate all’atto normativo.

In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto-legge, difettino manifestamente di connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto-legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost..

La stessa sentenza ha esplicitato che la caducazione della indicata normativa determina la reviviscenza con effetto ex tunc della disciplina contenuta nella originaria versione del T.U. mai validamente abrogata, basata, come è noto, sulla distinzione tra droghe ‘leggere’ e ‘pesanti’.

La pronunzia ha evocato i conseguenti problemi di diritto intertemporale afferenti alla necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole, in aderenza ai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo espressi dell’art. 2 cod. pen..

La Corte ha pure chiarito che rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate; e quali, invece, debbano continuare ad aver applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli articoli dichiarati incostituzionali.

La disciplina del 2014 è esplicitamente dettata dal proposito di far fronte alle criticità dovute al venir meno dalle innovazioni recate dalla legislazione del 2006 ed afferenti, tra l’altro, ai numerosi provvedimenti amministrativi adottati in applicazione delle disposizioni caducate, relativi anche all’inserimento di nuove sostanze, come il nandrolone, nelle tabelle già più volte evocate.

La nuova normativa ha inteso ridare coerenza alla disciplina, riordinando anche il sistema tabellare, in sintonia con l’impianto sanzionatorio risultante dalla sentenza costituzionale. Con l’art. 1 del decreto-legge sono stati pertanto modificati gli artt. 13 e 14 del T.U. Sono state previste quattro tabelle corrispondenti al modello legale espresso dalla originaria, rivissuta disciplina sanzionatoria; ed è stata altresì introdotta una quinta tabella dedicata ai medicinali. Tale ultima tabella, conviene subito segnalarlo, non è richiamata dal ridetto art. 73. Il tema sarà ripreso più avanti. Qui occorre porre in luce che la disciplina dei medicinali presenta particolare interesse, perché la sentenza impugnata ha chiarito che la contestazione mossa e ritenuta afferisce al nandrolone ed al medicinale Deca Durabolin, contenente tale sostanza. Si è aggiunto che si tratta di principio collocato nella sez. A della II tabella, quella dei medicinali, sicché il reato commesso è quello di cui all’art. 73, comma I-bis, lettera b), d.P.R. n. 309. A conferma di tale approccio, nel determinare la sanzione, è stata applicata la riduzione di pena prevista dal richiamato comma 1-bis.

La novella, per quel che qui maggiormente interessa, ha inserito nelle nuove evocate tabelle anche le sostanze collocate nel novero dei principi illeciti per effetto di decreti adottati nelle vigore della caducata disciplina del 2006. Tale inserimento trova giustificazione, come emerge dagli atti che hanno accompagnato l’introduzione della normazione, nella constatazione che la sentenza n. 32 ha travolto anche i provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che hanno aggiornato le tabelle introducendovi nuove sostanze come il nandrolone.

È pure da segnalare che la legge di conversione ha aggiunto il comma I-bis all’art. 2 del decreto-legge, enunciando che nei decreti applicativi del T.U. sugli stupefacenti adottati dalla data di entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 fino alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale n. 32, ogni richiamo alla tabella II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali allegata al decreto-legge n. 36 del 2014.

Poste tali premesse, la prima questione problematica da esaminare è se la più volte evocata caducazione della disciplina del 2006 abbia pure travolto i provvedimenti amministrativi che, nel vigore di tale normativa, hanno introdotto nelle tabelle nuove sostanze.

Si è visto che tale effetto è stato escluso alla luce di una visione per così dire sostanzialistica del problema. Tale opinione non può essere accolta. Essa si pone in contrasto con principi fortemente consolidati. Nell’attuale ordinamento penale vige, infatti, una nozione legale di stupefacente: sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti. In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite (sent. n. 9973 del 24/06/2011, Kremi, Rv. 211073) e la costante giurisprudenza successiva. Si è pure affermato che “la definizione legislativa di sostanza stupefacente configura una qualificazione proveniente da fonte subprimaria integratrice del disposto penale; per cui, a tale fonte integrativa vanno applicati i principi di cui all’art. 2 cod. pen., ed in specie quello di non retroattività della legge penale sostanziale. Ne discende che l’utilizzazione di una sostanza contenente principi stupefacenti, ma non inserita nella tabella, non costituisce reato prima del suo formale inserimento nel catalogo” (Sez. 4, n. 27771 del 14/04/2011, Cardoni, Rv. 250693).

Le oscillazioni che si rinvengono in alcune pronunzie a proposito della rilevanza penale di determinate sostanze non toccano l’indicato principio, ma attengono alle caratteristiche di particolari formulazioni delle sostanze stesse o di derivati che costituiscono passaggi intermedi del processo di trasformazione di sostanze tabellate (ad es. Sez. 3, n. 11853, del 07/02/2013, Cassotta, Rv. 255026; Sez. 6, n. 14431 del 01/04/2011, Qotbi, Rv. 249396). Si tratta, insomma, di incertezze scientifiche e d’impronta applicativa.

L’individuazione della norma incriminatrice e delle sostanze cui essa si riferisce è frutto, in alcuni casi, dell’integrazione tra la disciplina espressa dalla legge e gli atti amministrativi che contribuiscono a definire l’area del penalmente rilevante attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle cui si è ripetutamente fatto riferimento. Tali tabelle, come pure si è accennato, costituiscono esplicazione delle direttive di carattere generale contenute negli articoli 13 e 14 del Testo Unico.

A tale riguardo occorre rammentare che nelle novelle del 2006 e del 2014 le tabelle, conformi ai criteri di cui agli artt. 13 e 14 del T.U., sono state allegate agli atti normativi. Nell’originario assetto della normativa (art. 13 del T.U.), invece, è stato demandato all’Autorità ministeriale di formare le tabelle in conformità ai criteri di cui all’art. 14. In ogni caso, sono state previste procedure per il tempestivo aggiornamento delle ridette tabelle attraverso atti ministeriali come quello di cui si discute, anche in base a quanto previsto dalle convenzioni e dagli accordi internazionali ovvero a nuove acquisizioni scientifiche.

Tale struttura dell’incriminazione da luogo ad una fattispecie penale parzialmente in bianco nei casi in cui la specificazione del precetto avviene per effetto di fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute. Si tratta di un metodo che, specialmente per ciò che attiene all’aggiornamento delle tabelle che qui interessa, non reca violazione del principio di legalità espresso dall’art. 25 Cost., giacché corrisponde all’esigenza di pronto adeguamento della normativa al divenire scientifico e criminologico, cui la legge potrebbe non essere in grado di far fronte con la tempestività e puntualità dovute. La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 26 del 1966, ha in numerose occasioni affermato che l’indicato principio costituzionale è rispettato quando sia una legge ad indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa.

Tale enunciazione è stata espressa pure in riferimento alla disciplina degli stupefacenti: non contrasta con il principio di riserva di legge la funzione integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi normativi del fatto sottratti alla possibilità di un’anticipata indicazione particolareggiata da parte della legge e demandati alla determinazione tecnica della fonte subordinata, quando il contenuto dell’illecito e la sottesa scelta di politica criminale sia comunque definito dalla fonte primaria, come appunto nel caso degli elenchi delle sostanze psicotrope e stupefacenti contenuti in un decreto ministeriale, correlati ad un divieto i cui essenziali termini normativi risultano legalmente definiti (così la sentenza Corte cost. n. 333 del 1991 che richiama le precedenti, consonanti, sentenze nn. 36 del 1964 e 9 del 1972).

Alla luce di quanto precede emerge con forza l’inscindibile e biunivoco legame che connette la legge agli atti amministrativi che ne costituiscono espressione. L’atto amministrativo individua l’oggetto del reato in base al divenire delle conoscenze, adeguandosi alle direttive di carattere generale espresse dalla legge. In conseguenza, caduta la legge, ne segue con ineluttabile ed evidente necessità il venir meno dei provvedimenti ministeriali che di quella legge costituiscono attuazione.

Una diversa soluzione d’impronta sostanzialistica, determinando la sopravvivenza di atti amministrativi non più sorretti dalle norme di carattere direttivo che li avevano ispirati, determinerebbe sicura violazione del principio di legalità. Tale conclusione, imposta dai principi dell’ordinamento, è ulteriormente corroborata dalla constatazione che le direttive legali in tema d’individuazione delle sostanze stupefacenti, quali si rinvengono nelle diverse formulazioni dei citati artt. 13 e 14, sono mutate ripetutamente, sia per ciò che attiene all’individuazione e catalogazione delle sostanze, sia per quanto riguarda le procedure amministrative volte alla concreta individuazione dei principi droganti ed i soggetti pubblici chiamati a concorrere alle pertinenti valutazioni. Pertanto non sarebbe neppure testualmente corretto istituire una connessione derivativa tra i provvedimenti amministrativi adottati nel vigore della disciplina del 2006 e le differenti direttive espresse dalla originaria disciplina recata dal T.U..

Occorre dunque pervenire alla conclusione che il decreto ministeriale dell’11 giugno 2010, che ha collocato il nandrolone nelle Tabelle I e II, lettera A, allegate alla novella del 2006, è stato travolto dalla caducazione della legge di cui costituiva espressione. In conseguenza la fattispecie legale afferente a tale sostanza è venuta meno.

Constatata dunque l’ablazione della normativa concernente il nandrolone, resta da intendere se l’illecito afferente a tale sostanza sia stato nuovamente introdotto dalla disciplina del 2014; e, in caso affermativo, se tale nuova normazione possa applicarsi retroattivamente al caso in esame. Giova a tale proposito rammentare nuovamente che l’illecito ritenuto afferisce a medicinale collocato, con il già indicato decreto ministeriale del 2010, nella tabella II dei medicinali, allegata al T.U. come novellato nel 2006.

Il primo interrogativo, contrariamente a quanto potrebbe a tutta prima ritenersi, non è per nulla di agevole soluzione. Occorre partire dalla considerazione che, come si è già accennato, la normativa del 2006, modificando gli artt. 13 e 14 del T.U. aveva previsto e creato due tabelle: una relativa alle sostanze stupefacenti o psicotrope; l’altra afferente ai medicinali ed alle composizioni medicinali, ripartita in cinque sezioni.

In parallelo con tale innovazione, gli illeciti afferenti ai medicinali erano stati oggetto di una distinta disciplina sanzionatoria, prevista dai commi I-bis, lett. 6), e 4 dell’art. 73, introdotti con l’art. 4-bis della legge del 2006.

La caducazione della normativa che aveva introdotto tali innovazioni ha prodotto, naturalmente, il venir meno dei detti commi.

Occorre allora comprendere se la novella del 2014 abbia introdotto una nuova disciplina penale dei medicinali. Come si è già accennato, essa ha creato cinque tabelle. L’ultima è per l’appunto dedicata ai medicinali ed è divisa in cinque sezioni. Tale distinta tabella è chiaramente espressione della volontà di creare, al riguardo, continuità con la previgente disciplina che, come si è detto, aveva dedicato ai medicinali un’autonoma tabella. Tale volontà è del resto documentata dalla già evocata norma introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge, che all’art. 2 ha aggiunto il comma I-bis.

Il nandrolone compare sia nella tabella I sia nella sezione A della V, afferente appunto ai medicinali, che qui interessa. Si tratta, allora, di comprendere se e quale disciplina penale della novella riguardi i detti medicinali.

La disamina della nuova normazione suscita al riguardo interrogativi rilevanti.

Il testo dell’art. 73, quale risulta dall’intricato susseguirsi di modifiche, non reca più la disciplina sanzionatoria in precedenza enunciata negli indicati commi I-bis e 4. La nuova normazione, derivante dalle modifiche introdotte nel 2014, fa riferimento solo alle sostanze di cui alle prime quattro tabelle; e non reca più alcuna menzione dei medicinali di cui alla quinta tabella. Una prima, testuale lettura del dettato normativo conduce, dunque, alla conclusione che la disciplina penale si disinteressa dell’ambito di cui si discute. Si tratta di esito che suscita interrogativi di non poco conto, se solo si considera che nella tabella V si rivengono, per esemplificare, sostanze come codeina, norcodeina, etilmorfina, metadone.

Non meno problematica appare la lettura dell’art. 75 del T.U., riscritto dalla novella del 2014, che disciplina gli illeciti amministrativi. Il comma 1, in simmetria con l’art. 73, riguarda le condotte illecite finalizzate all’uso personale relative alle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV.

Tuttavia il successivo comma I-bis indica le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della “sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1”. Tra l’altro si tiene conto della circostanza che “i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto”. La norma sembra voler alludere a situazioni nelle quali il medicinale, prescritto per l’uso terapeutico che gli è proprio, venga destinato ad uso personale non terapeutico. La disciplina è però testualmente incoerente. Infatti si fa riferimento ai medicinali di cui al comma 1 che, però, in tale comma non sono affatto menzionati.

Tentare di comprendere il senso della nuova normazione è impresa difficile. Si tenta il limite della vocazione all’interpretazione delle Sezioni Unite. L’intricato sovrapporsi di norme, di cui non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall’ideale di chiarezza del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti dell’ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività, prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per cercare di cogliervi un’univoca indicazione di senso.

Nella versione originale dell’art. 13 del T.U. è enunciato che le tabelle delle sostanze stupefacenti o psicotrope “devono contenere l’elenco di tutte le sostanze e dei preparati” indicati nelle convenzioni e negli accordi internazionali.

Nel successivo art. 14 viene chiarito che nelle tabelle devono essere compresi “tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonché gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi nelle tabelle, salvo sia fatta espressa eccezione”.

Le medesime formule compaiono nei testi dei detti articoli riscritti dalla novella del 2006.

Invece, nella normativa del 2014 la disciplina muta. Nell’art. 14, comma 1, con riferimento al contenuto delle tabelle I, II, III e IV, compare, tra l’altro, la inedita dizione “le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera e)”.

Nell’art. 14, comma 2, si enuncia che nelle tabelle di cui al comma 1 sono compresi “tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonché gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III e IV e ai medicinali inclusi nelle tabelle dei medicinali, salvo sia fatta espressa menzione”.

Anche negli articoli 42, 46 e 47 del T.U. modificati dalla normativa del 2014 il termine ‘preparazioni’ è sostituito dal termine ‘medicinali’.

Di certo neppure la valorizzazione di tali novità induce elementi di giudizio immediatamente risolutivi ai fini dell’interpretazione della disciplina penale. Infatti l’espressione “in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali” non è di limpida chiarezza per il comune lettore. Tuttavia alcune indicazioni si possono trarre. Il legislatore ha abbandonato il classico riferimento alle preparazioni, interessandosi alla regolamentazione delle sostanze e dei medicinali. Le preparazioni rilevano solo in quanto contengano le sostanze indicate nelle tabelle I, II, III e IV, con le modalità descritte nella tabella dei medicinali. Dunque, si fa in fin dei conti riferimento a preparazioni ed a medicinali che sono oggetto della disciplina penale in quanto contengano sostanze riportate nelle indicate quattro tabelle: sono le tabelle delle sostanze psicotrope e stupefacenti alle quali si riferisce la disciplina sanzionatoria di cui ai richiamati artt. 73 e 75. In breve, conclusivamente, i medicinali rientrano nell’area penale in quanto contengano principi di cui alla ridette tradizionali tabelle. Tale soluzione interpretativa è l’unica che consente di superare la vaghezza ed indeterminatezza della disciplina legale, ancorando saldamente la repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle tabelle oggetto della normativa sanzionatoria di cui all’art. 73.

Il nandrolone compare sia nella tabella I che in quella dei medicinali, con la conseguenza che nella sua formulazione medicinale è oggetto della disciplina penale di cui all’art. 73 relativa alle sostanze elencate nella detta tabella I.

Resta infine da chiarire se la nuova incriminazione possa applicarsi retroattivamente.

Una tesi dottrinale, ampiamente evocata dall’ordinanza di rimessione, ammette tale possibilità. Essa, in sintesi, reputa che la novella del 2014 sia ispirata dal proposito di evitare una frattura tra il prima ed il dopo la sentenza n. 32. Gli atti che ‘riprendono’ a produrre effetti sono i provvedimenti amministrativi travolti dalla sentenza costituzionale. Tale ‘ripresa’ non può che essere orientata alla permanenza della pregressa efficacia degli atti amministrativi. Si tratta di una disposizione transitoria volta a derogare ai principi di diritto intertemporale e segnatamente alla retroattività della norma penale più favorevole.

Si ritiene, in particolare, che nel caso in esame la caducazione della norma non sia il frutto di abrogazione, cioè di un nuovo atto normativo che abbia determinato l’abolitio criminis per effetto di una nuova scelta politico-criminale; bensì discenda dall’art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, che fa divieto di applicare la legge dichiarata incostituzionale rispetto a situazioni sostanziali o processuali preesistenti. Ciò determina una modificazione in mitius della disciplina penale; e la novella del 2014 costituisce una deroga all’operatività del principio di retroattività della lex mitior generata dalla sentenza costituzionale. Tale deroga, d’altra parte, è consentita quale frutto del ragionevole bilanciamento, compiuto dal legislatore, tra diversi principi e valori costituzionali. Infatti, si rammenta conclusivamente, il principio di retroattività in mitius, pur trovando base costituzionale e comunitaria, non è assoluto ed inderogabile.

Tale opinione, sebbene apprezzabilmente ispirata dal proposito di arginare gli effetti della frattura determinata dalla sentenza n. 32, non può essere condivisa.

Non vi è dubbio che il principio di retroattività della legge più favorevole possa essere derogato dal legislatore per effetto del razionale bilanciamento con altri principi e valori costituzionali. Il fatto è, tuttavia, che nel caso in esame la pronunzia costituzionale non ha determinato la semplice reviviscenza di una lex mitior. Essa, al contrario, come si è già esposto, ha prodotto l’ablazione della fattispecie con riferimento alle sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della disciplina del 2006. In relazione a tali fattispecie è venuto meno l’oggetto materiale del reato, cioè il suo nucleo essenziale. È ben vero che tale escissione è frutto non di abrogazione normativa ma della pronunzia costituzionale, i cui effetti sono disciplinati dalla richiamata legge n. 87 e dall’art. 673 cod. proc. pen.. Tuttavia, ai fini che qui interessano, le due situazioni non differiscono, come è eloquentemente dimostrato dalla comune disciplina prevista dall’art. 673. Esse sono regolate dai medesimi principi di diritto intertemporale, del resto evocati dalla sentenza costituzionale.

D’altra parte, il principio della lex mitior si riferisce a situazioni nelle quali la disciplina penale, in epoca successiva a quella di commissione del fatto, abbia subito mere modifiche in melius di qualunque genere (Corte cost., sent. n. 236 del 2011). Al contrario, come si è ripetutamente esposto, per effetto della pronunzia costituzionale le fattispecie aventi ad oggetto il nandrolone e le altre sostanze introdotte nelle tabelle nel vigore della disciplina del 2006, sono venute meno radicalmente. Ne discende che la novella del 2014, che ha rinnovato l’inserimento di tali sostanze nelle tabelle di legge, ha creato nuove incriminazioni che, con tutta evidenza, non possono essere applicate retroattivamente, ostandovi Kart. 25, secondo comma, Cost..

Così stando le cose, risultano prive di dirimente rilievo le discussioni sul significato e sulla portata della variazione lessicale da ‘continuano’ a ‘riprendono’, cui si è ripetutamente fatto cenno. Il problema di cui si discute, infatti, trova la sua soluzione nel principio costituzionale d’irretroattività della legge penale incriminatrice.

Va dunque enunciato il seguente principio di diritto:

‘A seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies-ter del decreto-legge n. 272 del 2005, come modificato dalla legge n. 49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, deve escludersi la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato dalla richiamata legge n. 49 del 2006’.

Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, quanto al reato di cui al capo C, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Il venire meno di tale illecito determina altresì la caducazione della confisca dei beni che ne discendeva per effetto dell’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992.

È ben vero che la pronunzia d’appello ha collegato tale confisca anche al reato di ricettazione, originariamente contestato al capo B, afferente all’acquisto o comunque alla ricezione di farmaci e sostanze farmacologicamente attive ricomprese nella classi di cui all’art. 2 della legge n. 376 del 2000, oggetto di illecita commercializzazione. Si è considerato che il reato di ricettazione non è stato ritenuto inesistente ma solo assorbito nella più ampia fattispecie di cui all’art. 9, comma 7, della richiamata legge n. 376, rubricato al capo A.

Il tema è stato esaminato funditus ed modo non criticabile dal Tribunale. Si è considerato che il delitto punito dall’art. 9 della legge n. 376 e quello di ricettazione possono in astratto concorrere perché diversi sono la struttura ed il bene giuridico tutelato. Tuttavia, il concorso non può essere ravvisato quando, come nel caso in esame, l’imputato ha condotto un’attività organizzata e continuativa che integra un vero e proprio commercio di farmaci in senso civilistico. L’approvvigionamento illecito delle sostanze rivendute è necessariamente ricompreso nell’art. 9 comma 7 richiamato, oggetto dell’imputazione di cui al capo A, che assorbe, consumandola, la condotta di cui all’art. 648 cod. pen. Infatti, prosegue il Tribunale, le sostanze che l’imputato vendeva pervenivano nella sua disponibilità in un medesimo contesto di commercializzazione vietata. L’attività dell’acquistare per vendere non integra una condotta distinta e comprende l’approvvigionamento finalizzato alla cessione a titolo oneroso.

In breve, dalla pronunzia di merito emerge che la condotta imputata al reato di ricettazione non ha autonomia giuridica e costituisce un mero frammento del fatto che integra l’altro reato. Ne discende, ai fini che qui interessano, che, non configurandosi un autonomo illecito di ricettazione, dall’indicato frammento della fattispecie ritenuta non si può far discendere la confisca di cui si discute.

La statuizione in questione va dunque annullata; e deve essere per l’effetto disposta la restituzione dei beni all’avente diritto.

Gli atti vanno rinviati alla Corte di appello di Perugia per la rideterminazione della pena in ordine ai residui illeciti di cui ai capi A e G.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo C, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; e alla confisca dei beni disposta ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 e ordina la restituzione degli stessi beni all’avente diritto.

Rinvia alla Corte d’appello di Perugia per la determinazione della pena in ordine ai reati di cui ai capi A e G..

Rigetta nel resto il ricorso.

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