Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 8 luglio 2015, n. 3426
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1405 del 2015, proposto dal:
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);
contro
Fr.Pa. ed altri (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 6536 del 19 giugno 2014, resa tra le parti, concernente l’accertamento del diritto alla corresponsione dell’indennità per servizi esterni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1245 del 19 marzo 2015;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2015 il consigliere Dante D’Alessio e udita per l’Amministrazione appellante l’avvocato dello Stato Ag.So.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, con sentenza n. 6536 del 19 giugno 2014, ha accolto, nei limiti dell’eccepita prescrizione quinquennale (formatasi sino al 28 luglio 2000), il ricorso che era stato proposto dai signori Fr.Pa. ed altri (…), appartenenti al Corpo della Polizia di Stato, per l’accertamento del loro diritto a conseguire l’indennità di cui all’art. 12 del D.P.R. 5 giugno 1990, n. 147, per essere stati addetti al servizio di autista al seguito di personalità, dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002, ed aver quindi svolto in via continuativa servizi in ambiente esterno.
Il T.A.R. ha invece dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Montesano Gianluca che non aveva assolto l’onere di provare il titolo a fondamento della propria legittimazione a ricorrere.
2.- Il Ministero dell’Interno ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
In particolare l’Amministrazione ha sostenuto che, anche sulla scorta della giurisprudenza più recente, l’originario ricorso collettivo doveva ritenersi inammissibile, essendo privo, per ciascuno dei singoli ricorrenti, delle necessarie indicazioni in ordine alla sede di effettivo svolgimento dei servizi, alla durata delle prestazioni esterne e agli ordini ricevuti.
Nel merito della questione ha poi sostenuto che l’indennità prevista dal citato art. 12 del D.P.R. n. 147 del 1990, estesa ai servizi di tutela e scorta dall’art. 11 del D.P.R. n. 254 del 1999, poteva essere riconosciuta solamente in favore di dipendenti che avevano svolto servizi esterni per l’intero arco della giornata, prima che il successivo D.P.R. 164 del 18 giugno 2002 estendesse tale beneficio anche al personale impiegato in tali servizi con turni comunque non inferiori alle tre ore.
3. L’appello è fondato.
Deve essere, infatti, accolta la censura di inammissibilità del ricorso originario per indeterminatezza delle posizioni fatte valere con un ricorso collettivo.
3.1.- I ricorrenti di primo grado avevano, infatti, proposto un ricorso collettivo limitandosi sostanzialmente a dedurre, a sostegno della loro pretesa, di aver svolto in via continuativa spostamenti in ambiente esterno in quanto addetti al servizio di autista al seguito di personalità, ma non avevano tuttavia minimamente specificato, se non mediante riferimenti generici (non puntuali, né personalizzati), in base a quale ordini di servizio e con quale periodicità avevano svolto l’attività per la quale avevano chiesto l’attribuzione dell’indennità aggiuntiva.
I ricorrenti, in particolare, avevano tutti prodotto in giudizio (tranne Montesano Gianluca), un’attestazione rilasciata dal Settore “Autoparco” dell’Ufficio per i Servizi Tecnico-Gestionali della Segreteria del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, in data 11 marzo 2014, da cui risultava che dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002 avevano svolto attività lavorativa di autisti a disposizione di alte personalità.
3.2.- I ricorrenti non hanno tuttavia indicato per quali periodi, nel predetto arco temporale, ciascuno di essi era stato effettivamente impegnato nei servizi esterni, né i turni di servizio prestati sulla scorta di ordini formali.
La circostanza che i ricorrenti fossero stati assegnati all’Autoparco e posti a disposizione di diverse personalità non prova, infatti, che gli stessi avessero effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, e per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive.
Il ricorso da essi proposto non poteva ritenersi quindi ammissibile.
3.3.- Infatti, come questa Sezione ha avuto modo di affermare in analoghe fattispecie (fra le più recenti: Consiglio di Stato, Sez. III, n. 111 del 15 gennaio 2014 e n. 2649 del 15 maggio 2013), chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto anche in un ricorso collettivo deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere la sua pretesa, domandando al giudice di accertare in concreto la sussistenza dei fatti dedotti. Mentre deve ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che nulla dice in ordine alle condizioni di legittimazione e di interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di controllare il concreto e personale interesse di ciascuno di loro, l’omogeneità dello loro posizioni e la concreta fondatezza della domanda.
Del resto l’attenuazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo non può tradursi in uno svuotamento dell’onere probatorio (specie laddove, come nella fattispecie, si faccia valere un diritto soggettivo nell’ambito di un rapporto paritetico) e del connesso e pregiudiziale dovere di allegare, con specificità e precisione, i fatti costitutivi della domanda.
4.- Per completezza si deve aggiungere che il ricorso di primo grado si rivela, come pure dedotto con l’atto di appello, comunque infondato, tenuto conto che solo con il D.P.R. n. 164 del 18 giugno 2002 è stata prevista la remunerabilità dei servizi di durata minore dell’intero turno, ma non inferiore alle tre ore, e considerato che i ricorrenti avevano, come si è ricordato, sostenuto di essere stati addetti alla funzione di autisti di autorità dal 21 giugno 2000 al 30 aprile 2002 senza aver provato di aver effettivamente svolto attività esterna in condizioni di disagio, come richiesto dalla normativa di riferimento, per periodi non inferiori a tre ore lavorative consecutive in tutto il suddetto periodo.
4.1.- In ogni caso, come pure questa Sezione ha già ricordato, il significato di “servizio esterno” adoperato dalle norme citate deve essere direttamente correlato allo stato di disagio e non alle prestazioni che sono proprie del militare impiegato, per specifico compito d’istituto ed in via normale, a compiere la sua attività di lavoro presso uffici che costituiscono la sua sede di servizio.
Anche di recente questa Sezione ha, in proposito, affermato che l’indennità in questione “richiede un quid pluris affinché possa legittimamente essere concessa, i.e. la sussistenza di un particolare pericolo o disagio tale da giustificare un trattamento economico aggiuntivo e differenziato. In caso contrario, si finirebbe per concedere la predetta indennità indiscriminatamente a tutti coloro che, ancorché impiegati presso Amministrazioni diverse, svolgano attività non connotate da alcun particolare pregiudizio fisico o psichic, alimentando, innegabilmente, una disparità di trattamento fra gli stessi operatori” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2293 del 7 maggio 2015).
5. Per le ragioni esposte, l’appello è fondato e deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso collettivo proposto in primo grado deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della natura della questione trattata si può disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza –
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 6536 del 19 giugno 2014, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani – Presidente
Bruno Rosario Polito – Consigliere
Dante D’Alessio – Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Alessandro Palanza – Consigliere
Depositata in Segreteria l’8 luglio 2015.
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