Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 16 luglio 2015, n. 31001
Ritenuto in fatto
La Corte d’Assise di Appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, dopo aver rinnovato l’istruttoria dibattimentale, disponendo perizia d’ufficio, ha confermato quella del GUP del Tribunale di Nicosia di condanna di F.S. , in quanto colpevole del reato di cui agli artt. 55 e 589 cod. pen., così diversamente qualificato il fatto a lui ascritto (art. 575 cod. pen.) e, riconosciuta la sussistenze delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen., operata la diminuzione per il rito lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
In sintesi, il fatto per una migliore intelligenza dei motivi posti a base del ricorso presentato a questa Corte dal F.S. , avverso la sentenza di appello, che innanzi si illustreranno.
Il processo nasce da un tentativo di rapina armata posto in essere, la sera del 16.12.2009, da due uomini ai danni di un bar-tabaccheria, sito in Via (omissis) . Alla stregua della ricostruzione operata dal giudice di primo grado, all’interno dell’esercizio si trovavano la titolare Fi.Sa. e sua figlia F.M.I. ; la prima, accortasi della rapina in atto, con una mazza per lavare il pavimento che aveva in mano, riusciva a tenere a bada uno dei due malviventi che l’aveva minacciata con una pistola, riuscendo poi a fuggire all’esterno del locale chiedendo aiuto; la seconda era riuscita a scappare attraverso una porta interna che conduceva al piano superiore chiamando in aiuto il fratello S. , ma veniva inseguita dall’altro rapinatore, poi identificato in B.M. . Il F.S. , vedendo la sorella inseguita da un uomo armato, gli si era scagliato contro, ne era nata una colluttazione nel corso della quale, il F. aveva tentato di disarmare l’uomo; i due erano, poi, scesi precipitosamente dalle scale ed in quel frangente il rapinatore aveva perso la pistola che era scivolata sino al pianoterra. Dopo altre fasi della colluttazione, nel corso delle quali da ultimo il F. riusciva ad impossessarsi dell’arma, negli attimi immediatamente successivi il B. , dapprima allontanatosi di qualche metro, tentava di riavvicinarsi al F. per riprendersi l’arma; in questo continuo avvicinarsi ed allontanarsi dei due, descritto dai testi So. , Sp. e S. , era stato esploso un colpo che aveva attinto il B. alla spalla sinistra. Ferita che poi ne determinava la morte. Sulla dinamica dell’evento, all’esito dell’esame autoptico il medico legale concludeva: “la vittima è stata attinta a distanza dal colpo di arma da fuoco mentre si trovava girata di spalle al tiratore, con colpo probabilmente esploso dal pianerottolo antistante il bar, con B. che si allontanava in discesa per poi il tiratore gettare l’arma proprio davanti al bar dove è stata rinvenuta”.
Il F. , pur ammettendo di aver sparato un colpo di revolver, ha però sostenuto che il colpo era partito accidentalmente nel corso della colluttazione quando il B. tentava di riappropriarsi dell’arma.
Il GUP, escludendo che si vertesse nell’ipotesi di legittima difesa reale, con riferimento al 1 comma dell’art. 52 cod. pen., ha ritenuto aderente alla realtà, perché coincidente con le dichiarazioni dei testi So. , Sp. e S. , la ricostruzione dei fatti effettuata dal medico legale che ha individuato il foro di entrata nella regione scapolare sinistra, con direzione trapassante “dall’indietro all’avanti lievemente dall’alto verso il basso e a sinistra verso destra” concludendo che, quando la vittima è stata attinta, doveva trovarsi “davanti e lievemente alla destra del tiratore o con tutto il busto leggermente flesso in avanti o su un piano stradale inclinato verso il basso rispetto alla direzione del tiratore”. Il GUP ha quindi ritenuto la ricorrenza della legittima difesa putativa, ritenendo, comunque, che l’imputato avesse ecceduto colposamente nell’uso dei mezzi a disposizione per respingere il pericolo che legittimamente avvertiva presente.
Con il primo motivo il F. denuncia violazione di legge e contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa “reale”.
Si argomenta che il percorso motivazionale della impugnata sentenza appare erroneo e contraddittorio nella misura in cui i giudici di merito, pur dando atto che, allorquando venne esploso il colpo che attinse mortalmente il B. , lo stesso non si fosse ancora allontanato dal luogo della colluttazione (rappresentando, dunque, ancora fonte di pericolo incombente), hanno ritenuto, tuttavia, di escludere che persistesse ancora una situazione di pericolo in capo al F.S. , il quale, essendo poco prima riuscito a sottrarre l’arma al malvivente, e trovandosi, dunque, in una posizione di vantaggio rispetto al suo antagonista, avrebbe potuto “scegliere di rientrare nell’abitazione ed evitare ulteriori assalti da parte del B. o sparare in aria per intimidirlo ed indurlo ad allontanarsi definitivamente”.
Tale ragionamento è assolutamente apodittico e si pone in contrasto con le risultanze processuali, inficiando così tutto il costrutto argomentativo, rendendolo incoerente ed illogico.
Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge con riferimento all’art. 52 cod. pen. come modificato dalla L. 59/2006.
La nuova disciplina, invero, pur non modificando i presupposti tradizionali su cui poggia il riconoscimento della scriminante in discorso, quali la necessarietà della difesa e l’attualità del pericolo di una offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui, prevede che si dia per accertato ex lege il requisito della proporzionalità tra la difesa operata dall’agente e l’offesa da questi patita, quando taluno usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo a difendersi (ma F. non deteneva alcuna arma) da un’aggressione maturata in un luogo di privata dimora o in luogo ad esso equiparato, sempre che non vi sia stata alcuna desistenza e sia ancora attuale il pericolo di aggressione.
Orbene, è viziato l’apparato logico-argomentativo della sentenza impugnata, poiché i giudici dell’appello, pur non contestando che tutto l’episodio si fosse svolto nel domicilio dell’odierno ricorrente, non hanno, tuttavia, fornito alcuna risposta alle doglianze critiche sollevate dalla difesa in merito alla circostanza che l’azione offensiva del B. iniziò con un violento attacco alla integrità fisica del F. e dei suoi familiari all’interno del loro esercizio commerciale, e proseguì poi, senza soluzione di continuità, all’interno della loro abitazione.
La Corte di merito, pur dando atto che la reazione del F. , all’interno del suo domicilio, venne determinata dall’ingiusta aggressione del B. e della circostanza che lo stesso non si diede immediatamente alla fuga, ma cercò di strappare l’arma che gli apparteneva al F. , indirizzandosi più volte verso di lui, ha ritenuto con motivazione incoerente ed illogica,che la reazione del F. non fosse proporzionata alla offesa ricevuta e non necessitata da un pericolo inevitabile.
Con il terzo motivo la denunciata violazione di legge riguarda il mancato riconoscimento dell’ipotesi della legittima difesa putativa, ritenendosi assolutamente illogico ed apodittico il ragionamento seguito in sentenza secondo cui, pur essendo condivisibile il giudizio espresso dal primo giudice circa l’errore di valutazione del F. nella sua reazione al B. , ritiene, tuttavia che l’imputato, anche a voler considerare lo stato di sconvolgimento emotivo e di grande concitazione del momento, avrebbe potuto effettuare la scelta di sparare in alto o alle gambe, a scopo intimidatorio.
I giudici del merito hanno superficialmente trascurato di dare risposta alle doglianze critiche della difesa che, con specifico motivo di gravame, aveva invocato l’applicazione dell’esimente della legittima difesa, quanto meno a livello putativo, sottolineando come nella fattispecie fossero perfettamente integrati tutti i suoi elementi.
Il quarto motivo ha ad oggetto il vizio di motivazione relativamente alla mancata pronuncia assolutori ex art. 530 co. 3 c.p.p..
Considerato in diritto
I motivi esposti sono da ritenersi infondati con il conseguente rigetto del ricorso.
Compito del Collegio, in relazione alle censure mosse dal ricorrente, è verificare se l’accadimento dei fatti, come accertati, rientra nella previsione normativa ritenuta dai giudici del merito, e se sia stata fornita sul punto adeguata e convincente motivazione.
Quanto al primo motivo (V. parte narrativa), più in particolare, nel sostenersi che, nel momento in cui è partito il colpo dall’arma, di cui il ricorrente si era impossessato, sussistesse ancora una situazione di pericolo per la sua vita, e, quindi, il presupposto primario per ritenere la legittima difesa reale, la Difesa evidenzia che i giudici di merito, pur dando atto che il B. , nonostante fosse stato poco prima disarmato dal F. , non si era dato alla fuga, non hanno dato contezza in motivazione, con passaggi logici ed esaustivi, del fatto che il medesimo continuava pervicacemente ad avvicinarsi al F. , per riappropriarsi dell’arma, con fare minaccioso, dimostrando così, tutta la sua capacità offensiva.
Tale circostanza, per il ricorrente avvalorata dalle emergenze processuali, viene completamente trascurata dai giudici di appello, e ciò malgrado, con puntuali motivi di gravame, si fosse sottolineato quanto importanti sul punto, fossero state le dichiarazioni dei testi Sp. e So. nel riferire lo stato di profondo turbamento emotivo e di frantumazione psichica nel quale versava l’imputato, che, annientato dalla paura, alzava l’arma ogni qualvolta il B. si avvicinava (sin quasi a 3 metri), e la abbassava quando questi accennava ad allontanarsi.
Si sostiene che una corretta e puntuale disamina delle emergenze processuali, compiuta seguendo i canoni della logica e della coerenza, avrebbe consentito alla Corte di merito di giungere a conclusioni differenti rispetto a quella adottata, trovando adeguato e corretto sostegno negli elementi di prova acquisiti. I giudici di merito, al contrario, si sono limitati a recepire tout court le argomentazioni addotte dal primo giudice a sostegno del proprio convincimento, lasciando senza risposta le doglianze avanzate dalla difesa con i motivi di gravame.
Si rileva, dunque, che assolutamente apodittico ed illogico è sostenere che la situazione di pericolo in cui versava l’imputato era inesistente al momento dell’esplosione del colpo, perché, così argomentando, i giudici di merito dimostrano di aver omesso di compiere ogni valutazione critica in ordine all’atteggiamento del rapinatore il quale, sprezzante del pericolo ed incline alla violenza, perseverò nella sua condotta minacciosa volta a riprendersi l’arma, non manifestando alcun commodus discessus.
La Corte di merito avrebbe dovuto, inoltre, tenere in debito conto la circostanza che il F. non era in grado di attuare alcuna scelta in modo lucido e razionale, poiché, quando venne esploso il colpo l’atteggiamento del B. era rivolto ancora ad attentare seriamente alla sua vita. La tesi della Corte, secondo cui il B. venne attinto di spalle, cioè mentre stava per darsi alla fuga, è apodittica e contraddittoria, come chiaramente evincesi dalla relazione peritale del prof. Mi. , secondo cui il colpo, che avrebbe attinto il B. alla regione scapolare sinistra, è stato sparato nell’attimo in cui questi stava operando l’ennesima manovra di momentaneo allontanamento, per poi tornare sui suoi passi al fine di riacquistare il possesso della pistola.
Orbene, ritiene il Collegio, che la critica così esposta, più che evidenziare un’errata configurazione giuridica dei fatti accaduti, fornisce una diversa interpretazione degli stessi al fine di strumentalizzarla alla tesi difensiva che si propone.
E questa è un’operazione non consentita nel giudizio di legittimità, in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, suggerita come preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità.
Invero, non si tiene conto del fatto che la Corte d’appello, per altro sollecitata dalla stessa Difesa, per dirimere le divergenze, circa la dinamica del fatto, con riguardo alle reciproche posizioni tra sparatore e vittima, tra le conclusioni formulate dal consulente del P.M. e quelle del consulente di parte, ha disposto una perizia dibattimentale affidandola al prof. M. . All’esito dell’espletamento del mandato, in una alla valutazione delle testimonianze di So.Ma.Ca. e di Sp.Sa. , ed alla nota dei Carabinieri di Nicosia dell’8.02.2010, la Corte nissena ha ritenuto aderente alla realtà indicare che lo sparatore al momento dell’esplosione del colpo si trovava ad una distanza di circa cinque metri e che il colpo attinse il B. alla regione scapolare sinistra, cioè alle spalle, mentre questi si stava allontanando percorrendo la via in discesa. Sulla base di tali dati fattuali, la cui certezza processuale è stata evidenziata in maniera chiara e logicamente consequenziale, si è correttamente esclusa, in aderenza al dato normativo ed alla costante giurisprudenza di questa Corte, la sussistenza dei requisiti di diritto – attualità del pericolo determinato da un’aggressione ingiusta e legittimità della reazione – per l’applicazione della disposizione di cui all’art. 52, primo comma, cod. pen..
A ben vedere, la critica oggetto del primo motivo si basa essenzialmente sulla erronea valutazione, da parte della Corte territoriale, dello stato d’animo del ricorrente più che su quella di elementi oggettivi, dimenticando che uno dei requisiti che legittimano il riconoscimento dell’esimente in parola è quello dell’aggressione ingiusta, oggettivamente considerata, concretantesi in un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzato tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto; requisito, che, per quanto si è già argomentato, è stato escluso. Non a caso si fa riferimento, in ricorso, alle dichiarazioni dei testi So. e Sp. che hanno dato atto dello stato di profondo turbamento emotivo e psichica nel quale versava l’imputato.
E di tale dato i giudici del merito hanno dato ampia considerazione tanto che, anche in questo caso correttamente, hanno ritenuto che si versasse nell’ipotesi di legittima difesa putativa, con eccesso colposo nell’uso dei mezzi a disposizione per respingere il pericolo che legittimamente avvertiva essere presente.
Altrettanto condivisibile è la motivazione (pag. 10) sul punto del secondo requisito – quello della reazione legittima – evidenziandosi, come primo elemento di valutazione, la non accidentalità – come diversamente sostenuto dall’imputato – della esplosione del colpo. Sul punto si sono riportate le osservazioni del perito, prof. M. , secondo cui, considerate le caratteristiche dell’arma – un revolver a tamburo di tipo militare – per poter esplodere il colpo “occorre effettuare una trazione lunga sul grilletto….fino a fondo alla corsa del grilletto”, con la conseguenza che è del tutto logico affermare che il F. avesse intenzionalmente tirato il grilletto.
Inoltre, la motivazione, soffermandosi sull’analitico esame (pagg. 11 e 12) della posizione reciproca tenuta dai protagonisti della vicenda e della traiettoria percorsa dal proiettile, da conto del perché sia stata accolta la tesi del perito d’ufficio, secondo cui la vittima era girata di spalle nell’atto di allontanarsi, rispetto a quella del consulente di parte. La Corte distrettuale, in tal modo ha esposto le ragioni, con motivazione accurata ed approfondita, della scelta operata, avendo dimostrato di essersi soffermata sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e di aver confutato in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti; sicché, essendo stata effettuata tale valutazione in maniera congrua in sede di merito, è inibito al Collegio di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Cass. sez. 4^ 20 maggio 1989 n. 7591 rv. 181382). Pertanto, non coglie nel segno la critica del ricorrente circa il recepimento acritico delle risultanze peritali e gli assunti assiomatici della sentenza e delle dichiarazioni del perito d’ufficio.
E, dunque, corretto è il richiamo in sentenza alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in riferimento al requisito della reazione legittima, l’agente, tenuto conto di tutte le circostanze del caso singolo in concreto, trovandosi nella impossibilità di agire altrimenti, non possa evitare l’offesa se non difendendosi ed arrecando a sua volta offesa all’aggressore, ponendosi in tal caso l’aggressione come unico modo per salvare il diritto minacciato. Nel caso di specie la Corte territoriale ha ben posto in evidenza che il F. non versava nella situazione di impossibilità di scelta (anche nella sua erronea valutazione circa la attualità del pericolo), essendosi venuto a trovare in una posizione di vantaggio, in quanto armato rispetto al suo antagonista, e nel momento in cui quest’ultimo, voltandogli le spalle, si stava allontanando. In riferimento a tali considerazioni bene inserisce la Corte la non ricorribilità dell’ulteriore requisito della proporzionalità dell’azione difensiva, atteso che, pur potendo sussistere nell’imputato la convinzione che il pericolo per la sua vita fosse ancora attuale, ben avrebbe potuto esplodere in alto colpi di pistola per far ulteriormente desistere il B. dal porre in essere altri comportamenti minacciosi, o avrebbe potuto scegliere la soluzione, a sua volta, di allontanarsi.
Quanto al secondo motivo (V. parte narrativa), si osserva che l’art. 52 c.p., comma 2, introdotto dalla L. n. 59 del 2006, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione di domicilio dell’aggressore, ossia l’effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza (V. Sez. 1A, sentenza del 16.2.2007, Rv. 236366). Dissenso che può essere espresso non solo vietando l’ingresso nell’abitazione, ma anche in momenti successivi manifestando il diniego a taluno di ulteriormente permanervi (invito domini). In tal caso, l’uso dell’arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l’altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
In presenza delle suddette condizioni, non è più rimesso al giudice il giudizio sulla proporzionalità della difesa all’offesa, essendo il rapporto di proporzionalità sussistente per legge, e questo vale sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente, sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole. Nel caso però in cui l’agente ha ritenuto per errore, determinato da colpa, di trovarsi nelle condizioni previste dalla difesa legittima, obiettivamente non sussistenti, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Tuttavia, non ogni pericolo che si concretizza nell’ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva, atteso che restano fermi i requisiti strutturali posti dall’art. 52 c.p., e cioè: pericolo attuale di offesa ingiusta, da un lato, costrizione e necessità della difesa, dall’altro. Ciò è già stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (sez. 1A 8.3.2007 n. 16677 Rv. 236502) secondo cui le modifiche apportate dalla legge 13 febbraio 2006, n. 59 all’art. 52 c.p., hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell’attualità dell’offesa e della inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità; di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale per l’incolumità fisica dell’aggredito o di altri.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente indicato che il giudizio sulla sussistenza di una causa di giustificazione, reale o presunta, deve compiersi “ex ante” sulla base delle circostanze caratterizzanti il caso concreto, dovendo il giudice esaminare, di volta in volta e in concreto, la particolare situazione di fatto che escluderebbe l’antigiuridicità della condotta prevista dalla legge come reato.
Valutazione questa che va correlata con l’ambito del sindacato conducibile nel giudizio di legittimità che non può investire l’intrinseca attendibilità delle prove ed il risultato della loro interpretazione, né riguardare il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma deve limitarsi ad accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati secondo le regole della logica e del diritto ed in base ad uno sviluppo argomentativo congruo, che dia conto in termini di corretta consequenzialità delle conclusioni raggiunte, senza poter mai opporre una ricostruzione dei fatti alternativa a quella prospettata dalle sentenze di merito, anche se altrettanto logica e plausibile.
La sentenza impugnata, in relazione ai principi sopra enunciati, ha spiegato adeguatamente, come già evidenziato, che il pericolo, oggettivamente considerato, non era affatto attuale e che, comunque, la reazione del F. , pur in ragione di erronea convinzione della sussistenza della situazione pericolosa, è stata sproporzionata, rappresentandosi anche che la diversa modalità di comportamento, per respingere la putativa aggressione, avrebbe avuto sicure possibilità di riuscita.
Le censure poste a base dei motivi terzo e quarto, vengono meno alla luce delle considerazioni già svolte.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente delle spese processuali? si ritiene, invece, equo compensare tra le parti, in ragione delle complesse questioni di diritto affrontate, le spese sostenute per questo giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese tra le parti del presente giudizio.
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