Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 14 luglio 2015, n. 14667
Ritenuto in fatto
1. – E.C., per il proprio viaggio di nozze in V. con il coniuge S.D.S.m aveva acquistato due biglietti aerei per la tratta Roma/New York/Caracas con partenza il 2 agosto 2004;X una volta giunta a Caracas aveva appreso dello smarrimento del proprio bagaglio consegnato alla compagnia aerea American Airlines, la cui riconsegna era poi avvenuta solo dopo due settimane.
La C. conveniva, quindi, in giudizio la American Airlines Inc. per sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti, patrimoniali (per Euro 1.000,00) e non patrimoniali.
La domanda veniva accolta dall’adito Giudice di pace di Sorrento con sentenza del 15 marzo 2006, con la quale la convenuta compagnia aerea veniva condannata al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 1.970,00, oltre interessi legali e spese processuali.
2. – II gravame interposto dalla American Airlines Inc. avverso tale decisione veniva parzialmente accolto dal Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, con sentenza resa pubblica il 28 giugno 2010, con cui : la compagnia aerea appellante veniva condannata al pagamento della ridotta somma di Euro 682,00, oltre interessi legali, ed alla metà delle spese processuali di primo grado; mentre, la C. veniva condannata, a sua volta, alla restituzione in favore della American Airlines della somma di Euro 1286,80 ed al pagamento per intero delle spese di lite del grado di appello (in quanto soccombente nel grado), nonché il difensore della medesima appellata alla restituzione, in favore della predetta compagnia aerea, della somma di Euro 847,75, oltre interessi legali, a titolo di metà delle spese processuali distratte in suo favore.
2.1. – Il giudice di secondo grado riteneva che, ai sensi della Convenzione di Montreal sul trasporto aereo internazionale (artt. 19, 22 e 23), ratificata con legge 10 gennaio 2004, n. 12, la responsabilità del vettore per i danni derivanti dalla perdita del bagaglio, da intendersi ricomprensivi di quelli patrimoniali e non patrimoniali, era circoscritta a 1.000 diritti speciali di prelievo, corrispondenti ad Euro 1.164,00.
2.2. – Quanto al danno patrimoniale, esso risultava provato in base alla deposizione testimoniale del coniuge della C. ed alle fatture versate in atti, indicanti complessivamente una spesa di “1.600.000”, da intendersi “presuntivamente espressa in moneta nazionale (bolivar)”; sicché, in assenza di prova circa “l’equivalente in Euro dell’importo in questione”, all’attrice doveva essere liquidato l’importo di Euro 682,00, quale esborso che la compagnia aerea aveva riconosciuto pertinente alla documentazione anzidetta.
2.3. – Quanto al danno non patrimoniale, il Tribunale – escluso che potesse riguardare il c.d. pregiudizio da vacanza rovinata ai sensi del d.lgs. n. 111 del 1995, attuativo della direttiva n. 90/314/CEE, del quale non rispondeva il vettore aereo, bensì il tour operator che aveva venduto i servizi turistici – riteneva che nulla fosse dovuto ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., in assenza di prova sulla lesione di diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale e, segnatamente, in ordine alla effettività del pregiudizio lamentato e sul “suo nesso eziologico con l’evento (ritardata consegna dei bagagli)”.
A tal fine, il giudice di appello osservava che la deposizione del marito della C. , in ordine alla mancata partecipazione di quest’ultima ad escursioni e serata di gala, era “assolutamente generica e priva di alcun riscontro” (“come, ad esempio, un invito scritto, una cartolina pubblicitaria di un evento in albergo o in una discoteca, una dichiarazione testimoniale di un parente o amico a cui erano state riferite tali circostanze”).
Donde, le conseguenziali anzidette determinazioni in punto di restituzione della maggior somma liquidata alla C. in primo grado e di regolamentazione delle spese processuali (essendo stata solo parzialmente accolta la domanda attrice in primo grado e risultando la stessa C. soccombente in appello).
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.E. sulla base di tre motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata American Airlines Inc..
Considerato in diritto
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22 della Convenzione di Montreal.
Il giudice di appello avrebbe errato nel reputare che il limite risarcitorio di 1.000 diritti speciali di prelievo, indicato dal citato art. 22, valesse sia per il danno patrimoniale, che non patrimoniale, concernendo esso solo il primo tipo di pregiudizio, come si evince dal riferimento, presente nella norma convenzionale, alla “dichiarazione speciale di interesse alla consegna” del passeggero ed alla corrispondente responsabilità del vettore “sino alla concorrenza della somma dichiarata”; ciò comportando l’indicazione, ex ante, di un “maggior valore”, che, invece, per il danno non patrimoniale – specialmente da “vacanza, rovinata” – non è possibile apprezzare e valutare a priori.
Peraltro, tale interpretazione sarebbe in armonia con il diritto di surrogazione attribuito, dall’art. 18 del d.lgs. n. 111 del 1995, all’organizzatore del viaggio anche nei confronti del vettore (terzo responsabile), altrimenti non esercitabile per il danno non patrimoniale che lo stesso organizzatore è tenuto a risarcire al consumatore.
1.1. – Il motivo è infondato.
1.1.1. – La Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 [ratificata e resa esecutiva con la legge 10 gennaio 2004, n. 12, ma già attuata in ambito Eurounitarlo con il regolamento (CE) del Consiglio 9 ottobre 1997, n. 2027 e, poi, firmata dalla stessa Comunità Europea il 9 dicembre 1999 e per essa entrata in vigore il 28 giugno 2004] – volta all’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale, in sostituzione della precedente Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 e dei relativi Protocolli modificativi – reca, al “Capitolo III”, la disciplina della “responsabilità del vettore” e della “entità del risarcimento per danni”.
Vengono, a tal fine, distinte le ipotesi di “morte e lesione dei passeggeri” e dei “danni ai bagagli” (art. 17), quella dei “danni alla merce” (art. 18) e quella del “ritardo” (art. 19), quest’ultima – che specificamente rileva nel caso in esame – relativa al trasporto aereo sia di passeggeri, che di bagagli o di merci.
In particolare, ai sensi del citato art. 19, il “vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci”. La responsabilità per danni da ritardo è, però, esclusa ove il vettore “dimostri che egli stesso e i propri dipendenti e incaricati hanno adottato tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno oppure che era loro impossibile adottarle”.
Si tratta di ipotesi di responsabilità contrattuale del vettore aereo, che effettua il trasporto internazionale “a seguito di accordo tra le parti” (art. 1, n. 2).
1.1.1.1. – La fattispecie dedotta in giudizio è stata dal giudice di appello (e già da quello di primo grado) ricondotta nel campo di applicazione della predetta Convenzione internazionale sulla scorta della sussunzione del fatto, costituito dal viaggio aereo dell’attrice per la tratta Roma (Italia)/New York (Stati Uniti d’America)/Caracas (Venezuela), nella disciplina di riferimento, ossia la norma del citato art. 1 della Convenzione medesima, secondo la quale è da ritenersi “trasporto internazionale” quello in cui (tra l’altro) “il luogo di partenza e il luogo di arrivo, che vi sia o no interruzione di trasporto o trasbordo, sono situati o sul territorio di due Stati Parti” (Italia e Venezuela).
La responsabilità della Compagnia aerea convenuta è stata, quindi, conseguentemente affermata ai sensi dell’art. 19 della Convenzione, per il “ritardo” nella consegna del bagaglio dell’attrice.
Su tale capo autonomo della decisione, in assenza di relativa impugnazione (anzi, dalla stessa ricorrente individuato come premessa condivisa della censura svolta in questa sede), si è, quindi, formato giudicato interno.
Con la precisazione per cui l’accertamento con efficacia di giudicato copre, sia pure in assenza di esplicitazioni al riguardo, ma come premessa logica evidente, anche la qualità di vettore aereo non comunitario della Compagnia American Airlines Inc. (che ha condotto i giudici del merito ad applicare direttamente la Convenzione di Montreal del 1999 e non già tramite il citato reg. CE n. 2027/97 e successive modificazioni).
1.1.2. – L’art. 22 della Convenzione di Montreal disciplina le “limitazioni di responsabilità per il ritardo, per il bagaglio e per le merci”, prevedendo al (comma) n. 2 che, nel caso di trasporto di bagagli, “la responsabilità del vettore in caso di distruzione, perdita, deterioramento o i ritardo è limitata alla somma di 1.000 diritti speciali di prelievo per passeggero”. Ciò, “salvo dichiarazione speciale di interesse alla consegna a destinazione effettuata dal passeggero al momento della consegna al vettore del bagaglio, dietro pagamento di un’eventuale tassa supplementare”; in siffatta ipotesi, “il vettore sarà tenuto al risarcimento sino a concorrenza della somma dichiarata, a meno che egli non dimostri che tale somma è superiore all’interesse reale del mittente alla consegna a destinazione”.
Peraltro, quanto stabilito dal richiamato (comma) n. 2 non trova applicazione “qualora venga dimostrato che il danno deriva da un atto o omissione del vettore, dei suoi dipendenti o incaricati, compiuto con l’intenzione di provocare un danno o temerariamente e con la consapevolezza che probabilmente ne deriverà un danno, sempreché, nel caso di atto o omissione di dipendenti o incaricati, venga anche fornita la prova che costoro hanno agito nell’esercizio delle loro funzioni” [(comma) n. 5].
Tuttavia, nel caso in esame, come detto, l’an della responsabilità della American Airlines Inc. non è più in discussione, ponendosi soltanto la questione – veicolata dalla censura da scrutinare – della omnicomprensività della nozione di danno (nella specie, derivante dal ritardo) rispetto al quale opera la limitazione dell’obbligazione risarcitoria del vettore aereo per il trasporto dei bagagli, entro l’importo indicato dal (comma) n. 2 dell’art. 22.
1.1.3. – La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 6 maggio 2010, in C-63/09 (Walz c. Clickair SA), nell’interpretare l’art. 22, n. 2, della Convenzione di Montreal del 1999, ha affermato che la nozione di “danno” ivi sottesa, ai fini della limitazione della responsabilità del vettore aereo (in particolare, nella fattispecie posta all’attenzione della Corte, per il caso di perdita del bagaglio), deve essere intesa “nel senso che include tanto il danno materiale quanto il danno morale” (p.39 e dispositivo).
Si tratta di un’esegesi condotta alla luce dell’art. 31 della Convenzione sul diritto dei trattati, firmata a Vienna il 23 maggio 1969, e, dunque, “in buona fede, secondo il senso comune da attribuire ai suoi termini nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo”; sicché, i termini “préjudice” e “dommage” – che compaiono, nella lingua francese, nelle varie disposizioni del Capitolo III – devono essere ricondotti nell’alveo di una “una nozione di danno, di origine non convenzionale, comune a tutti i sistemi di diritto internazionale” e tale da far ritenere che essi “includono tanto i danni di natura materiale quanto quelli di natura morale”.
A siffatta nozione omnicomprensiva di danno si riferisce, quindi, l’art. 22, n. 2, – “che fa pure parte del detto capo III e quindi del contesto pertinente” – il quale “limita la responsabilità del vettore in caso di distruzione, perdita, deterioramento o ritardo, il che implica che la natura del danno subito dal passeggero è a tal riguardo indifferente”.
1.1.3.1. – Il risultato dell’interpretazione è, altresì, reputato coerente con gli obiettivi che hanno portato all’adozione della Convenzione di Montreal, componendosi gli stessi in un “giusto equilibrio”.
Da un lato, è stabilito, infatti, un “regime di responsabilità rigorosa dei vettori aerei”, in vista della tutela dell'”interesse degli utenti del trasporto aereo internazionale” e della “necessità di garantire un equo risarcimento secondo il principio di riparazione”; dall’altro, in funzione degli interessi dei vettori aerei, è posta la limitazione del risarcimento “per passeggero”, in particolare, nelle ipotesi di distruzione, perdita, deterioramento o ritardo di bagagli.
Dunque, “il giusto equilibrio degli interessi r richiede, nelle diverse ipotesi nelle quali il vettore è ritenuto responsabile in forza del capo III della convenzione di Montreal, l’esistenza di limiti chiari di risarcimento riferiti all’integralità del danno subito da ciascun passeggero in ciascuna delle dette ipotesi, indipendentemente dalla natura del danno causato a quest’ultimo”.
1.1.4. – È evidente che l’interpretazione fornita dalla Corte di Lussemburgo, sebbene resa in un giudizio di rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la fattispecie di perdita del bagaglio, è calibrata in ragione della disciplina complessiva del Capitolo III della Convenzione, cosi da esibire una forza espansiva tale da essere valorizzata in relazione a qualsiasi ipotesi contemplata dal n. 2 dall’art. 22 e, pertanto, anche in riferimento a quella, rilevante nella specie, di ritardo nella consegna del bagaglio.
E, del resto, come detto, al pari delle altre disposizioni del Capitolo III, anche in quella dell’art. 19, che contempla l’ipotesi in esame, il termine che viene utilizzato per indicare il pregiudizio patito dal passeggero è pur sempre “dommage”.
1.1.5. – Sicché, il Collegio intende aderire alla richiamata, convincente, esegesi (non ponendosi questione della sua vincolatività per quanto in precedenza evidenziato in ordine alla natura del vettore aereo parte della presente controversia), osservando, altresì, che l’art. 22, n. 2, della Convenzione di Montreal individua, entro un determinato “limite assoluto” di ristoro, soltanto la portata complessiva dell’area di risarcibilità del danno, da assumersi secondo una nozione generica e come tale astrattamente omnicomprensiva sia del pregiudizio inferto alla sfera meramente patrimoniale del passeggero (il danno “materiale”), sia di quello attinente alla sfera “non patrimoniale” (il danno “morale”), lasciando, però, alle regole di ciascun ordinamento degli Stati aderenti la fissazione del contenuto proprio della obbligazione risarcitoria.
Nel caso di specie (in cui non è in discussione l’applicazione del nostro diritto nazionale), in riferimento al danno “morale” occorre, quindi, far riferimento alla disciplina dettata dall’art. 2059 cod. civ., alla luce del “diritto vivente” consolidatosi a partire dalle sentenze delle Sezioni Unite civili del novembre 2008 (cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), ossia secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma che consente la risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè nelle ipotesi di fatto illecito astrattamente configurabile come reato, di fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato e, infine, di fatto illecito gravemente lesivo di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Con l’ulteriore precisazione che in quest’ultima ipotesi (come in quella di espressa previsione legislativa), il danno non patrimoniale sarà risarcibile anche se derivante da inadempimento contrattuale (siccome, per l’appunto, ricondotto dall’attuale “diritto vivente” alla norma dell’art. 2059 cod. civ. e non nell’orbita della disciplina, contrattuale, di cui agli artt. 1174, 1218,1223, 1225 e 1227 cod. civ.).
Come detto, la Convenzione di Montreal del 1999, ratificata e resa esecutiva con la legge n. 12 del 2014, non stabilisce essa stessa di risarcire il danno non patrimoniale, ma – utilizzando una nozione generica di danno – circoscrive il suo ammontare in un limite assoluto (salvo dichiarazione speciale di interesse) entro il quale è da includere ogni tipologia o manifestazione dello stesso, la cui scomposizione, in ragione del tipo di pregiudizio (materiale o “morale”), potrà aver luogo, o meno, in base alle regole poste dai singoli ordinamenti degli Stati aderenti.
E del resto, proprio nell’ottica appena delineata, la stessa Convenzione si limita a stabilire quale sia la condotta di inadempimento determinativa della responsabilità contrattuale del vettore aereo (il ritardo nella consegna del bagaglio), ma non opera alcuna selezione di interessi non patrimoniali della persona del passeggero (tale da farne emergere figura e consistenza) siccome suscettibili di essere incisi dalla anzidetta condotta e, quindi, non consente (quella che sarebbe stata) la pur plausibile inferenza per cui, proprio in forza di quanto prescritto dalla stessa disciplina convenzionale, il danno che il vettore aereo deve a riparare (essendo questa la funzione esclusiva che la Convenzione stessa assegna al risarcimento: secondo “riconoscendo” ed art. 29) è (anche) il danno “morale” (ossia il danno non patrimoniale).
Non ravvisandosi, dunque, una previsione normativa espressa di risarcibilità del danno non patrimoniale come tale, gli stessi interessi della persona la cui lesione, conseguente all’inadempimento contrattuale del vettore aereo internazionale (per ritardata consegna del bagaglio), è suscettibile di riparazione, anch’essi non altrimenti positivamente tipizzati ex ante, dovranno essere individuati dal giudice tra i diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
1.1.6. – Deve, infine, rilevarsi che, rispetto alla fattispecie su cui l’azione risarcitoria della C. si è incentrata ed è stata esaminata in sede di merito (con effetti di giudicato) – ovvero, la responsabilità del vettore aereo per ritardata consegna del bagaglio, in forza della Convenzione di Montreal 1999 – non è di per sé concludente il richiamo ed il raffronto con la fattispecie del c.d. “danno da vacanza rovinata” di cui al d.lgs. n. 111 del 1995 (vigente ratione temporis rispetto ai fatti di causa), che attiene, invece, al diverso ambito – non fatto valere dall’attrice – della responsabilità dell’organizzatore e del venditore per le “obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico”.
Peraltro, in quest’ultimo caso e a differenza da quello oggetto della presente controversia, viene in rilievo, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass., 4 marzo 2010, n. 5189; Cass., 20 marzo 2012, n. 4372; Cass., 11 maggio 2012, n. 7256), una fattispecie di danno non patrimoniale “tipizzata” – dunque, con preselezione normativa dell’interesse risarcibile – che trova la propria fonte nella stessa previsione legislativa (artt. 13 e 14 del citato d.lgs. n. Ili, poi trasfusi nel “Codice del consumo” di cui al d.lgs. n. 206 del 2005), in uno con la disciplina di matrice comunitaria (di cui quella interna è attuazione), siccome interpretata dalla Corte di giustizia (cfr. segnatamente sent. del 12 marzo 2002, in C-168/00, Leitnsr c. TUI Deutschland GmbH. & Co. KG). Fattispecie, questa, che, infine, è stata regolata in forza dell’art. 47 del “Codice del turismo” di cui al d.lgs. n. 79 del 2011, il quale fa specifico riferimento al “risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”, adeguandosi sostanzialmente agli esiti interpretativi della citata sentenza della Corte di giustizia, che, quanto all’interesse leso risarcibile, indicava il “mancato godimento della vacanza” (p.22).
Ne consegue, altresì, che, ove ne ricorrano i presupposti, il diritto di surrogazione, ai sensi dell’art. 18 del citato d.lgs. n. 111 del 1995, dell’organizzatore-venditore nei diritti del consumatore-passeggero nei confronti del vettore aereo per il danno da ritardo nella consegna del bagaglio, opererà eventualmente alla stregua dei meccanismi propri dell’istituto e cioè in ragione della esistenza e della consistenza di un diritto del consumatore-passeggero rispetto al quale detta surroga può effettivamente essere esercitata (come, ad esempio, nel caso di pacchetti turistici “tutto compreso”; cfr. anche Cass., 29 febbraio 2008, n. 5531 e Cass., 13 novembre 2009, n. 24044).
1.1.7. – Va, pertanto, enunciato, nella fattispecie, il seguente principio di diritto: “Ai sensi della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (recante l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale), ove il vettore aereo internazionale si renda responsabile del ritardo nella consegna al passeggero del proprio bagaglio (art. 19 della Convenzione), la limitazione della responsabilità risarcitoria dello stesso vettore fissata (nella misura di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero) dall’art. 22, n. 2, della Convenzione opera in riferimento al danno di qualsiasi natura patito dal passeggero medesimo e, dunque, sia nella sua componente meramente patrimoniale, che in quella non patrimoniale, da risarcirsi, quest’ultima, (allorquando, come nella specie, trovi applicazione il diritto interno) ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., come conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati”.
2. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2727 e segg. cod. civ., nonché dedotto, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione.
Il Tribunale avrebbe errato nell’escludere in radice la risarcibilità ex art. 2059 cod. civ. del “danno da vacanza rovinata”, riconosciuta invece dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24044 del 2009), in quanto determinativa della lesione di interessi costituzionalmente protetti.
Ove, poi, la sentenza impugnata avesse riguardo alla sola vicenda di essa ricorrente, la motivazione sulla carenza di prova del “danno da vacanza rovinata” sarebbe insufficiente e contraddittoria, giacché, una volta ammessa la deposizione testimoniale del coniuge D.S. (che aveva riferito circa l’impossibilità della moglie di partecipare ad escursioni e serata di gala per mancanza dei necessari indumenti, con conseguente stress e disagio psicologico), risulterebbe apodittica l’affermazione sulla inidoneità del riscontro del fatto controverso.
Peraltro, il giudice del gravame avrebbe, comunque, violato gli artt. 2727 e ss. cod. civ., mancando di ritenere provato il danno in via presuntiva in ragione della prova sui “fatti lamentati (stress, disagi ed impossibilità di prendere parte ad escursioni, e serate di gala per carenza di idoneo abbigliamento)”.
2.1. – Il motivo è infondato.
Il giudice di appello, operando sul piano della concretezza della fattispecie oggetto della sua cognizione, ha escluso che, nel caso in esame, fosse stata fornita dall’attrice, onerata della relativa prova, la dimostrazione della “lesione di diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale”. Segnatamente, il Tribunale ha negato che vi fosse prova circa il nesso causale tra la ritardata consegna dei bagagli ed il pregiudizio non patrimoniale lamentato, ossia lo “stress” ed i “disagi psicologici” conseguenti alla indisponibilità degli oggetti personali, rilevando al riguardo l’insufficiente riscontro proveniente dalla deposizione testimoniale raccolta nel corso del giudizio (resa dal marito della C. e ritenuta ammissibile, seppur valutata prudentemente per il coinvolgimento emotivo del teste ed i suoi legami affettivi con la medesima attrice; cfr. anche p.2.3. del “Ritenuto in fatto”) circa l’impedimento della “appellata di partecipare ad escursioni e a serate di gala”, per esser rimasta priva del necessario abbigliamento.
Tale complessiva motivazione si sottrae alle censure della ricorrente, giacché, nella sua effettiva portata, si viene a collocare nell’alveo del principio della necessaria sussistenza, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. {ove, come nella specie, non venga in rilievo un’ipotesi di reato, né, in particolare, una specifica fattispecie risarcitoria tipizzata ex lege), di una lesione di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati, il quale, a sua volta, si innesta sul paradigma strutturale dell’illecito aquiliano, i cui elementi costitutivi, in base all’art. 2043 cod. civ. (e alle altre norme che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), “consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue” (c.d. “danno-conseguenza”; cfr., tra le altre, la citata Cass., sez. un., n. 26972 del 2008).
Nel caso in esame, il Tribunale – giudicando in consonanza anche con le norme sulle presunzioni, di cui agli art. 2727 cod. civ. – ha, infatti, escluso, ancor prima del riscontro sull’esistenza, o meno, di una effettiva lesione qualificata di diritti inviolabili della persona (per invero, non essendo stati dalla C. , neppure in questa sede, individuati quali fossero in concreto i diritti inviolabili realmente pregiudicati, non potendo questi essere confusi con lo “stress” ed i “disagi psicologici” allegati, né, peraltro, con quelli, tipizzati dal legislatore, da “vacanza rovinata”, secondo quanto già in precedenza rilevato sul punto), la sussistenza della prova dei fatti che avrebbero potuto determinare una tale lesione (e cioè la prova della mancata partecipazione ad escursioni e serate di gala, conseguente alla ritardata consegna dei bagagli), attraverso un percorso logico-argomentativo del tutto intelligibile (cfr. sintesi al p.2.3. del “Ritenuto in fatto”), quale esito plausibile dell’esercizio del potere di valutazione probatoria riservato soltanto al giudice del merito.
3. – Con il terzo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ..
Il Tribunale avrebbe violato il principio della regolamentazione unitaria e globale delle spese dell’intero processo, reputando essa C. , per un verso, vincitrice, sia pure parzialmente, in primo grado, e, per altro verso, totalmente soccombente in appello.
3.1. – Il motivo è fondato.
La decisione assunta dal giudice del gravame – di compensazione parziale delle spese di primo grado, per il resto addossate alla convenuta American Airlines, e di condanna dell’attrice C. al pagamento di quelle di appello, in quanto soccombente nel grado – si pone in contrasto con il principio, più volte enunciato da questa Corte, per cui “il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado” (Cass., 18 marzo 2014, n. 6259; cfr. anche Cass., 23 agosto 2011, n. 17523).
4. – Vanno, quindi, rigettati i primi due motivi di ricorso ed accolto il terzo.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ..
5. – La C. è risultata, nei gradi di merito, solo parzialmente vittoriosa, giacché la domanda risarcitoria azionata (per il ristoro del danno patrimoniale e non patrimoniale) è stata accolta unicamente per la componente patrimoniale del danno; anche dinanzi a questa Corte la ricorrente ha conseguito solo un circoscritto accoglimento della proposta impugnazione.
Ne consegue che un siffatto esito della lite viene ad integrare ipotesi di soccombenza reciproca (cfr. Cass., 23 settembre 2013, n. 21684), che giustifica la compensazione integrale delle spese processuali dei gradi di merito, mentre per quelle del presente giudizio di legittimità non vi è neppure luogo a provvedere, per non aver l’intimata Compagnia aerea svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso ed accoglie il terzo motivo;
cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, compensa integralmente le spese processuali di primo e secondo grado.
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