Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 12 giugno 2015, n. 12178

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.

Dott. CICALA Mario – Presidente di Sez.

Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez.

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27738-2013 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo STUDIO (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro-tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione stessa, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2979/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Tra la (OMISSIS) s.r.l., gestore di una clinica privata convenzionata con il Servizio sanitario nazionale per il tramite della Azienda S.L. Napoli (OMISSIS) e classificata nella fascia funzionale C, e la Regione Campania insorgeva controversia circa la classificazione della struttura sanitaria nel nuovo sistema dell’accreditamento, assumendo detto gestore di aver potenziato la propria struttura e di aver acquisito i requisiti per l’accesso alla superiore fascia B. Rimaste disattese dalla Regione le istanze di riclassificazione, la societa’ (OMISSIS) promuoveva un giudizio arbitrale perche’ fosse accertato: a) che la casa di cura era in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla normativa di settore per il passaggio dalla fascia di convenzionamento C alla fascia B; b) che la societa’ stessa aveva patito un danno patrimoniale, in quanto il livello di qualita’ del servizio fornito tra il 1997 ed il 2007 non trovava adeguata remunerazione nella convenzione stipulata con la Regione Campania.

2.- Prestata adesione dalla Regione all’istanza di arbitrato, il Collegio all’uopo costituito, all’esito del giudizio, in data 29.07.09 pronunziava il lodo conclusivo, con il quale condannava la Regione a corrispondere alla societa’ (OMISSIS) la somma di euro 6.246.108 (comprensiva di rivalutazione ed interessi) a titolo di risarcimento ex articolo 2043 c.c. per il comportamento della Regione, rilevando che quest’ultima, quantunque ripetutamente richiestane, mai aveva riconosciuto alla clinica l’inquadramento nella superiore fascia B.

3.- Emanato decreto di esecutivita’ dal Tribunale di Napoli, la Regione Campania impugnava il lodo ai sensi degli articoli 827 e segg. c.p.c., assumendone la nullita’, atteso che il collegio arbitrale si era pronunziato su questione per la quale era privo di giurisdizione. La causa compromissoria contenuta nell’atto di convenzione, infatti, era riferita alle sole controversie insorte all’atto dell’esecuzione delle previsioni ivi contenute, mentre il giudizio arbitrale afferiva a richiesta di compenso di prestazioni diverse da quelle oggetto della convenzione, per le quali la Regione non era inadempiente. La posizione soggettiva dedotta dalla societa’ (OMISSIS) aveva, invece, consistenza di interesse legittimo e, come tale, avrebbe dovuto essere dedotta dinanzi al giudice amministrativo ai sensi della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 7 e del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 33 (come modificato dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7), con conseguente mancanza di giurisdizione del collegio arbitrale.

4.- Con la sentenza 23.07.13 la Corte d’appello di Napoli ha accolto l’impugnazione ed ha dichiarato la nullita’ del lodo, ritenendo la controversia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.

5.- La (OMISSIS) impugna la sentenza della Corte d’appello con ricorso e memoria. Risponde la Regione Campania con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

6.- La Corte d’appello ha esaminato preliminarmente la questione dell’esistenza del potere decisorio del collegio arbitrale, peraltro rilevando che la decisione degli arbitri e’ atto di autonomia privata nascente dall’investitura a loro data dalle parti e che, pertanto, la contestazione della capacita’ degli arbitri di conoscere una controversia in favore del giudice amministrativo non da luogo a una questione di giurisdizione in senso proprio, ma si configura come eccezione di nullita’ del compromesso o della clausola compromissoria per non deducibilita’ della controversia in arbitri.

Dopo la sentenza 6.07.04 n. 204 della Corte costituzionale – che ha dichiarato incostituzionale la Legge 31 marzo 1998, n. 80, articolo 33, commi 1 e 2, come sostituiti dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7, comma 1, lettera a) nella parte in cui istituiva una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi – la controversia in esame, avente ad oggetto il danno conseguente al mancato riconoscimento della diversa classificazione, non poteva ritenersi rientrante nella residua sfera di giurisdizione esclusiva prevista dal richiamato articolo 33, difettando una contestazione sul rapporto concessorio del pubblico servizio.

Rilevava, tuttavia, la Corte che la posizione soggettiva vantata dalla societa’ attrice era riconducibile ad un interesse legittimo, atteso che la riclassificazione della struttura era subordinata all’emanazione di un provvedimento dell’Amministrazione, di modo che il danno derivato dall’inerzia di quest’ultima, ai sensi della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 7, come modificato dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7 va rimesso al giudice amministrativo, dinanzi al quale l’azione di risarcimento puo’ essere proposta anche in via autonoma ed indipendentemente dall’eventuale decorso del termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento.

7.- La societa’ ricorrente deduce violazione del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 33, dell’articolo 808 c.p.c., della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 5, commi 1 e 2 e della Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 2.

Premette la ricorrente che ai sensi della Legge n. 205, articolo 6, comma 2, (ratione temporis ancora vigente all’epoca dell’arbitrato) “Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto”, di modo che la carenza di giurisdizione e’ ipotizzabile solo nel caso che la posizione coinvolta sia riconducibile all’interesse legittimo. Precisa, inoltre, che il rapporto intercorrente tra la ricorrente e la Regione riguarda la concessione di un servizio pubblico, per cui trova applicazione la Legge n. 1034, articolo 5, comma 2, per la quale in materia di servizi pubblici “resta salva la giurisdizione dell’autorita’ giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennita’, canoni ed altri corrispettivi”.

Nel caso di specie, le questioni sottoposte al giudizio arbitrale non ineriscono al rapporto concessorio, ma sono attinenti all’accertamento del pregiudizio patrimoniale derivante dalla remunerazione solo parziale delle prestazioni effettuate dalla Casa di cura in favore del Servizio sanitario nazionale. Non e’ chiesta la tutela dell’interesse alla superiore classificazione e neppure il risarcimento del danno derivante dall’omesso adempimento, quanto il risarcimento per l’ingiusto mancato pagamento delle differenze causato dallo svolgimento di prestazioni riferibili alla fascia B, invece che alla fascia C, che e’ questione riconducibile alle “controversie concernenti le indennita’, canoni ed altri corrispettivi”, di competenza dell’a.g.o. e, quindi, devolvibili agli arbitri.

La ricorrente nega, inoltre, che nella materia specifica dell’inquadramento nelle fasce funzionali delle case di cura convenzionate l’Amministrazione sia chiamata a compiere ponderazioni di interessi pubblici, atteso che i requisiti tecnici per detto inquadramento sono predeterminati dal Decreto Ministeriale 30 giugno 1975 e debbono solo essere riscontrati dall’Amministrazione stessa. Allo stesso modo e’ predefinita la misura del corrispettivo dovuto per ogni fascia funzionale.

8.- Deve premettersi che nel caso di specie il rapporto tra il gestore della struttura sanitaria privata e il Servizio sanitario nazionale e’ regolato secondo il regime dell’accreditamento, introdotto dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della Legge 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 1) e riarticolato dal Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229, (recante norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma della Legge 30 novembre 1998, n. 419, articolo 1). Sotto la rubrica “accreditamento istituzionale”, il Decreto Legislativo n. 502, articolo 8 quater introdotto dal Decreto Legislativo n. 229, in particolare, prevede che “L’accreditamento istituzionale e’ rilasciato dalla regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalita’ rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica positiva dell’attivita’ svolta e dei risultati raggiunti. Al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalita’ rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, nonche’ gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all’assistenza integrativa di cui all’articolo 9. La regione provvede al rilascio dell’accreditamento ai professionisti, nonche’ a tutte le strutture pubbliche ed equiparate che soddisfano le condizioni di cui al primo periodo del presente comma, alle strutture private non lucrative di cui all’articolo 1, comma 18, e alle strutture private lucrative”.

9.- Tali rapporti, nel regime legislativo applicabile ratione temporis alla controversia in esame (non essendo ancora in vigore il Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104 all’atto dell’incardinamento della controversia), pur dopo la soppressione del regime del convenzionamento originariamente previsto dalla Legge 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 44 conservano la loro natura concessoria e sono configurabili come concessioni ex lege alle strutture autorizzate ed accreditate di attivita’ di servizio pubblico. Pertanto, le controversie tra i gestori pubblici del SSN e le strutture private che abbiano ad oggetto il pagamento dei corrispettivi richiesti (e, quindi, soltanto l’effettiva debenza dei compensi richiesti) rientrano tra quelle riguardanti pubblici servizi concernenti “indennita’, canoni ed altri corrispettivi”, che, ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 33, comma 1, (come sostituito dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7, lettera a, nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 6.07.04 n. 204), spettano alla giurisdizione del giudice ordinario (v., tra le altre, S.u. 14.01.05 n. 603 e 12.04.12 n. 5769). Tali controversie, infatti, non coinvolgono una verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto sottostante o l’esercizio dei poteri discrezionali di cui la stessa gode nella determinazione di indennita’, canoni o altri corrispettivi e, pertanto, esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi (S.u. 13.02.07 n. 3046 e 20.06.12 n. 10149).

Nel caso di specie, tuttavia, la controversia ha ad oggetto non l’esecuzione della convenzione in atto tra le parti, cui la Regione Campania ha dato regolare esecuzione, regolando le prestazioni sanitarie sulla base delle tariffe ivi previste, ma la richiesta della Casa di cura che il pagamento di quelle stesse prestazioni avvenga sulla base di un tariffario diverso – superiore a quello concordato – che a sua avviso meglio risponde alla maggior qualita’ del servizio offerto.

La Corte d’appello di Napoli ha ritenuto che il danno lamentato dalla Casa di cura discenda dall’inerzia della P.A. e, quindi, da una violazione di un interesse legittimo. Per tale motivo, tenuto conto della legislazione applicabile ratione temporis, ha ricondotto la controversia nella competenza esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 7, comma 3, (nel testo introdotto dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 7, comma 3, lettera c), in quanto nell’ambito della sua giurisdizione il giudice amministrativo conosce “anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno”.

10.- Al riguardo deve rilevarsi che la giurisprudenza delle Sezioni unite, proprio a proposito dell’esercizio del potere di programmazione sanitaria delle Aziende sanitarie locali e, segnatamente, in riferimento alla cd. “sanatoria” con riconoscimento ex post, in via amministrativa, della maggiore capacita’ operativa delle strutture sanitarie private convenzionate, ha ricondotto la controversia alla contestazione del potere dell’Amministrazione di organizzare ed attuare il servizio pubblico sanitario. Tale impostazione impone la riconduzione della controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo, trovando al riguardo ancora una volta applicazione il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, gia’ richiamato articolo 33 (nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006), per la parte in cui afferma il principio generale dell’attribuzione della materia dei pubblici servizi alla giurisdizione del giudice amministrativo ove si sia in presenza dell’esercizio di potesta’ pubblicistiche e non si ricada nella sopra menzionata eccezione della fissazione e spettanza di “indennita’, canoni ed altri corrispettivi” (S.u. 27.07.11 n. 16391 e 12.04.12 n. 5769), che invece condurrebbe al giudice ordinario.

Tale principio e’ applicabile anche nel caso di specie, atteso che la richiesta della Casa di cura in causa, attiene ad una lamentata carente valutazione effettuata dalla Regione Campania delle caratteristiche tecniche del servizio offerto e al conseguente insufficiente classamento del soggetto convenzionato. Puo’, dunque, affermarsi che la convenzione esistente tra le parti in causa, se sul piano privatistico pone le parti su un piano paritetico in materia dei diritti e degli obblighi derivanti dall’esecuzione della prestazione del servizio concordato, non fa venir meno la posizione di supremazia dell’Amministrazione quanto al riscontro delle condizioni di applicabilita’ o di revisione della convenzione adottata, atteso che l’Amministrazione stessa nel momento in cui effettua tale riscontro esercita una potesta’ pubblica.

Sul punto priva di pregio appare la tesi sostenuta nel ricorso (pag. 9), secondo cui la Regione Campania nella situazione data non avrebbe potuto esercitare alcuna ponderazione di interessi pubblici, in quanto il Decreto Ministeriale 30 giugno 1975 determina in maniera tassativa i requisiti tecnici per l’inquadramento delle case di cura convenzionate nelle diverse fasce funzionali, per la sussistenza dei quali l’Amministrazione dovrebbe compiere un “mero accertamento”. Al riguardo e’ sufficiente ricordare che il denunciato errore di inquadramento e’ dalla stessa ricorrente messo in relazione alla pretesa errata classificazione delle prestazioni effettuate dalla Casa di Cura. Tale giudizio presuppone tuttavia una valutazione circa le modalita’ di conduzione del Servizio Pubblico sanitario, che, in quanto rimessa all’Amministrazione competente, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (v. S.u. 16.07.12 n. 12109).

11.- Nella presente controversia l’iniziativa adottata in sede amministrativa dalla societa’ gestore della Casa di cura, vanamente diretta ad ottenere il riconoscimento del superiore classamento, dunque, si pone al di fuori del rapporto paritario creatosi con la stipula della convenzione e porta la societa’ stessa in posizione di soggezione all’azione autoritativa dell’Amministrazione, il che sul piano giuridico connota la posizione soggettiva quale interesse legittimo.

Tale situazione giuridica, oltre a dare fondamento ulteriore alla gia’ richiamata giurisdizione del giudice amministrativo, e’ fatta propria dalla Legge 21 luglio 2000, n. 205, articolo 6, comma 2, (vigente all’epoca dell’insaturazione del giudizio arbitrale, ma ripresa dal successivo Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, articolo 12, recante la nuova disciplina del codice del processo amministrativo), per il quale possono essere risolte mediante arbitrato rituale solo le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.

12.- In conclusione il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato, con dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo e condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, pronunziando a Sezioni unite, cosi’ provvede:

a) rigetta il ricordo e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo, condannando la ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in euro 200 (duecento) per esborsi ed in euro 15.000 (quindicimila) per compensi, oltre Iva, Cpa e spese forfettarie nella misura del 15%;

b) ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 1, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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