Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 18 giugno 2015, n. 25741

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIANDANESE Franco – Presidente

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovann – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – rel. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 1089/2014 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del 27/11/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

sentite le conclusioni del PG Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; rilevata la regolarita’ degli avvisi di rito.

RITENUTO IN FATTO

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Roma, adito ex articolo 324 – 257 c.p.p., ha confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio (di oro e preziosi) emesso dal PM sede in data 6 novembre 2014 in relazione al reato di ricettazione (configurato – come da imputazione provvisoria – in riferimento al possesso di oro e preziosi di provenienza illecita, accertato in (OMISSIS)), ribadendo che quanto tratto in sequestro costituiva corpo del reato, e che il sequestro disposto si palesava necessario ai fini dell’accertamento della fondatezza delle contestazioni provvisorie ipotizzate, anche in considerazione dell’assenza di congrua giustificazione della disponibilita’ delle res de quibus da parte dell’indagato e della indubbia natura di corpo del reato di esse, poiche’ i documenti giustificativi prodotti dall’interessato erano non esaustivi in relazione a tutto quanto in sequestro, tenuto anche conto di una serie di discrasie temporali (in dettaglio evidenziate a f. 2).

Contro tale provvedimento, l’indagato ha ritualmente proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. articolo c.p.p., comma 1:

1 – violazione di legge per inosservanza od erronea applicazione degli articoli 125 – 354 – 355 c.p.p. ed omessa motivazione (lamentando l’insussistenza di una notizia di reato precisa iscritta prima del sequestro, la mancata individuazione delle res di rilievo, e la mancata indicazione del rapporto ipotizzato tra le res in sequestro ed il reato per il quale si procede;

2 – violazione di legge per inosservanza od erronea applicazione degli articoli 247 – 352 – 355 c.p.p. in riferimento all’articolo 606 c.p.p., lettera B) (rectius, lettera C), trattandosi di disposizioni processuali), ed assenza di motivazione (mancherebbe una compiuta indicazione del fatto-reato ascritto all’indagato);

3 – violazione di legge per inosservanza od erronea applicazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, articoli 125, 247, 250, 252, 262, 352 e 355 c.p.p. (avendo l’imputato documentalmente dimostrato il legittimo possesso di parte degli oggetti in sequestro).

All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’articolo 127 c.p.p., si e’ proceduto al controllo della regolarita’ degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ integralmente inammissibile, perche’ presentato per motivi generici e comunque non consentiti.

1. Le tre doglianze, cosi’ come denunciate, riguardano in apparenza plurime violazioni di legge, e sono all’evidenza generiche, essendo state le norme che il ricorrente assume violate promiscuamente enunciate, senza dettagliare le specifiche violazioni in ipotesi sussumibili nell’ambito disciplinatorio di ciascuna di esse: nel caso in cui il ricorrente voglia denunciare contestualmente piu’ violazioni di legge, ha l’onere processuale – nel caso di specie, non soddisfatto, per la promiscua deduzione della formulate doglianze – di indicare specificamente la violazione riconducibile a ciascuna delle disposizioni in ipotesi violate dal provvedimento impugnato.

1.1. La Corte Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali – d’ora in poi, Corte EDU – ha avuto piu’ volte (per tutte, Sez. 1, 24 aprile 2008, K. ed altri c. Lussemburgo) modo di affermare che sono in contrasto con il diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, garantito dell’articolo 6, p. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Liberta’ Fondamentali del 1950 (ratificata dall’Italia con la legge n. 848 del 4.8.1955) – d’ora in poi, Convenzione EDU -, le limitazioni apposte dalla Corte di cassazione al diritto di accesso al sindacato di legittimita’ che risultino non proporzionate al fine di garantire la certezza del diritto e la buona amministrazione della giustizia (nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano il formalismo eccessivo asseritamente mostrato dalla Corte di cassazione lussemburghese nel dichiarare irricevibile il loro ricorso, per non essere stati articolati con sufficiente precisione i motivi di impugnazione, ed il conseguente pregiudizio al loro diritto di accesso ad un tribunale).

Come riconosciuto dalla giurisprudenza delle Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza n. 17931 del 2013, CED Cass. n. 627268), la Corte EDU ritiene, quindi, che, nell’interpretazione ed applicazione della legge processuale, “gli Stati aderenti, e per essi i massimi consessi giudiziari, devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilita’ o ricevibilita’ dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’articolo 6 p. 1 della Convenzione EDU”.

Tale principio non vieta, tuttavia, agli Stati aderenti “la facolta’ di circoscrivere, per evidenti esigenze di opportunita’ selettiva, a casistiche tassative, in relazione alle ipotesi ritenute astrattamente meritevoli di essere esaminate ai massimi livelli della giurisdizione, le relative facolta’ di impugnazione, con la conseguenza che non si ravvisa contrasto allorquando le disposizioni risultino di chiara evidenza senza lasciare adito a dubbi”, ma “costituisce, nei diversi casi in cui le norme si prestino a diverse accezioni ed applicazioni, un canone direttivo nella relativa interpretazione, che deve in siffatti ultimi casi propendere per la tesi meno formalistica e restrittiva”.

1.2. Cio’ premesso, pur nel rispetto di tale orientamento della Corte EDU, deve ritenersi che l’inequivocabile e non controverso tenore del combinato disposto dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C), e articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), comporti l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo di ricorso riguardante presunte violazioni di legge, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata, con specifico riferimento alle questioni di diritto in ordine alle quali si assuma la sussistenza di ciascuna violazione, onde consentire al giudice di legittimita’ di individuare inequivocabilmente la volonta’ dell’impugnante e stabilire se la stessa, cosi’ come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimita’ riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’articolo 606, comma 1, lettera C), cit..

E residua necessariamente, a pena di a-specificita’, e quindi di inammissibilita’, del ricorso, in caso di contestuale deduzione di piu’ violazioni di legge con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, l’onere di indicare, in ordine a ciascuna di esse, la specifica causa petendi.

1.3. Va, in proposito, affermato i seguente principio di diritto:

“Il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, piu’ violazioni della legge processuale, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C), ha l’onere (sanzionato a pena di a-specificita’, e quindi di inammissibilita’, del ricorso) di indicare per ciascuna norma che si assume violata in cosa si sia concretizzata la presunta violazione costituente oggetto di doglianza”.

1.4. In applicazione del principio, appare, nel caso di specie, evidente la genericita’ del ricorso, poiche’ le plurime violazioni della legge processuale denunciate sono state promiscuamente evocate, senza indicare dettagliatamente, per ciascuna, in cosa si sia concretizzato il vizio asseritamente sussistente.

2. Le tre doglianze, cosi’ come articolate, riguardano, peraltro, in massima parte – come appare evidente dal tenore delle argomentazioni poste a sostegno di ciascuna – presunti vizi di motivazione, non violazioni di legge.

2.1. Al riguardo, questa Corte ha gia’ chiarito che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” (per la quale soltanto puo’ essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1) rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, non anche l’illogicita’ manifesta e la contraddittorieta’, le quali possono denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera E), (cosi’ Sez. un., sentenza n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, CED Cass. n. 226710 ss.; conforme, da ultimo, Sez. 5, sentenza n. 35532 del 25 giugno 2010, Angelini, CED Cass. n. 248129, per la quale, in tema di riesame delle misure cautelari, il ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, puo’ essere proposto solo per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio logico della stessa).

2.2. Con specifico riferimento alla motivazione dei decreti di sequestro probatorio, e’ noto al collegio l’orientamento (Sez. un., sentenza n. 5876 del 13 febbraio 2004, p.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, CED Cass. n. 226711) per il quale, anche per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro a fini di prova deve essere sorretto, a pena di nullita’, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalita’ perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti.

Deve, peraltro, rilevarsi, che la nozione di corpo del reato e’ enunciata normativamente dall’articolo 253 c.p.p., comma 2, per il quale sono tali “le cose sulle quali o mediante le quali il reato e’ stato commesso nonche’ le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto od il prezzo”: la possibile astratta valenza probatoria di esse appare, pertanto, evidente, pur dovendo, in ossequio all’orientamento innanzi ricordato, essere esplicitata in relazione al caso concreto.

2.3. Cio’ premesso, il Tribunale del riesame, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta con la necessaria specificita’, in concreto riproponendo piu’ o meno pedissequamente le analoghe doglianze gia’ proposte in sede di riesame, ha compiutamente indicato gli elementi valorizzati al fine dell’astratta configurazione del reato provvisoriamente ipotizzato (vertendosi in materia di misure reali, non occorreva illustrare le ragioni dell’ascrivibilita’ dello stesso all’indagato), e le ragioni per le quali e’ stata ritenuta la necessita’, a fini di ricerca della prova, della misura. Il tutto, con motivazione sintetica, ma certamente non del tutto carente ne’ meramente apparente (cfr. f. 2: la necessita’ del sequestro e’ stata giustificata dal PM “anche con riferimento alla necessita’ di procedere ad accertamenti (come una consulenza tecnica) che valgano a confermare la prospettazione accusatoria con riferimento alle caratteristiche ed alla provenienza di quanto rinvenuto, accertamenti per eseguire i quali non puo’ essere sufficiente il solo rilievo fotografico”).

3. La declaratoria di inammissibilita’ totale del ricorso comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli ha proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilita’ per colpa (Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entita’ di detta colpa – della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende.

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