Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 10 giugno 2015, n. 12021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente
Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui riuniti ricorsi n. 25859/09 e n. 25865/09 proposti da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso le sentenze n. 124/06/08 e n. 125/06/08 della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, depositate entrambe il 21 ottobre 2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 aprile 2015 dal Consigliere Dott. Ernestino Bruschetta;
udito l’Avv. dello Stato (OMISSIS), per il controricorrente e ricorrente incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto dei due ricorsi principali e dei due ricorsi principali.
FATTO
Con le impugnate sentenze n. 124-125/06/08 depositate il 21 ottobre 2008 la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, pronunciando sugli appelli proposti da (OMISSIS), di professione amministratore di immobili, in parziale riforma delle decisioni n. 62/03/05 e n. 67/03/05 della Commissione Tributaria Provinciale di Macerata – che per quanto qui interessa avevano respinto i ricorsi del contribuente avverso l’atto di contestazione n. (OMISSIS) con il quale venivano irrogate sanzioni amministrative anno 1997 in relazione al recupero a tassazione di redditi non dichiarati, nonche’ avverso il “prodromico” avviso di accertamento dei detti redditi non dichiarati n. (OMISSIS) anno 1997 appunto oggetto di separata impugnazione – “condannava” l’Ufficio al ricalcolo dei ridetti redditi “in nero” e delle sanzioni irrogate per l’anno 1997 per entrambi “tenendo conto di una percentuale di costi pari al 75%”.
In sintesi le motivazioni delle impugnate sentenze, per quanto di stretto interesse, erano nel senso che l’avviso di accertamento cui erano seguite le sanzioni qui dedotte in lite era fondato sulla “presunzione legale iuris tantum” Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ex articolo 32, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis “secondo la quale i prelevamenti bancari sono posti come componenti di reddito se il contribuente preleva denaro e non riesce a dimostrare la destinazione o l’utilizzo di questo denaro” e che il contribuente non aveva offerto alcuna contraria prova “non essendo sufficiente indicare il beneficiario, perche’ per vincere la presunzione sarebbe stato necessario altresi’ spiegare e provare la causa del rapporto fondamentale sottostante al documento bancario, in altri termini sarebbe stato necessario spiegare per quale motivo fosse stato versato il denaro”. Tuttavia, secondo la CTR, i ricorsi del contribuente dovevano accogliersi “in ordine all’eccepita violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, comma 4, in base al quale dai maggiori ricavi accertati dovevano essere dedotti i corrispondenti maggiori costi sostenuti dall’impresa, ancorche’ non imputati al conto dei profitti e delle perdite”, costi che venivano semplicemente determinati nei dispositivi nella ricordata misura del 75% dei ricavi.
Contro le due sentenze della CTR, il contribuente proponeva distinti ricorsi per cassazione affidato il primo a sette motivi e il secondo a sei motivi.
L’Ufficio resisteva ad entrambi con controricorso, proponendo a sua volta ricorsi incidentali ciascuno affidato a tre motivi.
DIRITTO
1. Il giudizio sull’impugnazione dell’avviso accertamento si presenta pregiudiziale a quello sull’impugnazione dell’atto di contestazione delle sanzioni. Pertanto, essendo le cause pendenti davanti alla Corte, deve procedersi alla loro riunione ai sensi dell’articolo 274 c.p.c., (Cass. sez. trib. n. 6936 del 2011; Cass. sez. trib. n. 2907 del 2010).
2. Sul ricorso relativo all’avviso di accertamento.
1. Con il primo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, e Legge n. 212 del 2000, articolo 7, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, a riguardo lamentando che erroneamente la CTR non avesse accolto l’eccezione di nullita’ dell’avviso sotto il profilo della mancata indicazione nello stesso “della norma di legge” che consentiva il recupero del contributo del servizio sanitario nazionale. Il quesito sottoposto era: “Se sussiste la violazione della Legge n. 212 del 2000, articolo 7, comma 1, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, in tema di obbligo di motivazione, della decisione della CTR per aver ritenuto motivato (per relationem) il recupero del contributo del servizio sanitario nazionale, attraverso la sola indicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 2, che si riferisce al metodo di accertamento delle imposte sul reddito. Volendo affermare il principio in base al quale il recupero impositivo del contributo del servizio sanitario nazionale non puo’ essere disposto per mezzo del generico richiamo al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 600, articolo 39, comma 2, vertente, sul metodo di accertamento ai fini delle II.DD. che nessuna attinenza ha con la parte motiva del recupero al CSSN”.
Il motivo e’ inammissibile giacche’ nel corpo del ricorso non e’ stato trascritto l’avviso di accertamento, cio’ che impedisce alla Corte di verificare la corrispondenza al vero di quanto affermato dal contribuente in ordine al contenuto dello stesso (Cass. sez. 3 n. 12970 del 2011); comunque sia la statuizione della CTR, rammentata nella narrativa del presente, per cui l’avviso deve ritenersi motivato quando lo stesso consente di conoscere gli elementi sui quali e’ fondata la pretesa tributaria, e’ conforme a diritto in quanto secondo l’interpretazione di questa Corte un avviso non difetta di motivazione per il solo fatto della mancata o erronea indicazione nello stesso delle norme di legge (Cass. sez. trib. n. 8239 del 2008).
2. Con il secondo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione della Legge n. 241 del 1990, articolo 3, Legge n. 212 del 2000, articolo 7, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando a riguardo che la CTR erroneamente non aveva ritenuto illegittimo l’avviso a causa della irregolarita’ procedimentale consistita nella “mancata indicazione dell’anno da sottoporre a controllo nell’ordine di verifica”, ritenendo invece irrilevante l’eccezione in quanto l’avviso di accertamento in parola sarebbe stato fondato “sulla successiva indagine bancaria”. Il quesito sottoposto era: “Se sussiste la violazione della Legge n. 241 del 1990, articolo 3, della Legge n. 212 del 2000, articolo 7, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, in tema di obbligo di motivazione, della decisione della CTR per aver ritenuto motivato (per relationem) l’accertamento cosi’ disposto, carente dell’indicazione dell’anno da sottoporre a verifica fin dall’inizio della verifica stessa. Volendo affermare il principio in base al quale il controllo fiscale che nasca da un atto che non indichi l’anno da sottoporre a controllo vizia tutto il successivo procedimento e quindi anche le sue conclusioni per carenza di potere originario e/o legittimita’ del procedimento”.
Il motivo, il cui quesito amplia il contenuto dell’illustrazione dello stesso includendovi la denuncia di nullita’ dell’impugnato avviso sotto l’ulteriore profilo del suo difetto di motivazione per relationem, e’ ad ogni modo preliminarmente inammissibile per difetto di autosufficienza perche’ in mancanza di trascrizione “dell’ordine di verifica” e dell’avviso non e’ dato a questa Corte verificare la corrispondenza del contenuto degli stessi a quanto affermato dal contribuente (Cass. sez. 3 n. 12970 del 2011).
3. Con il terzo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, comma 1, n. 2); Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, n. 2); e articolo 2697 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando a riguardo che la CTR avrebbe dovuto “disapplicare” il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 cit., articolo 32, comma 1, n. 2), nel testo applicabile ratione temporis e questo perche’ i “militari” mai avevano “prodotto una qualche presunzione che potesse ricondurre uno solo dei prelievi o versamenti all’attivita’ di amministratori di beni immobili e/o d’impresa”; del resto, aggiungeva il contribuente, “i percettori” di quanto prelevato erano stati tutti “individuati” e cio’ dimostrava che le somme in discussione non costituivano reddito non dichiarato; cosicche’, secondo il contribuente, “nel caso di specie l’inversione dell’onere della prova non poteva esplicarsi perche’ i beneficiari delle singole operazioni erano ben individuabili e noti attraverso la stessa documentazione bancaria”. Il quesito sottoposto era: “Se sussiste la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, comma 1, n. 2, per avere la CTR ritenuto applicabile la presunzione di redditivita’ delle movimentazioni bancarie anche quando risulti individuato il percettore delle somme in base alla medesima documentazione bancaria. E quando in base alle stesse dichiarazioni del contribuente viene esclusa una qualche riconducibilita’ all’attivita’ economica imprenditoriale dello stesso. Volendo affermare il principio in base al quale la presunzione e l’inversione dell’onere della prova dell’articolo 32, non opera qualora dalle operazioni bancarie risulti o sia possibile individuare il beneficiario, spettando all’Amministrazione dimostrare che le dichiarazioni del contribuente non sono veritiere, non potendo esimersi da un riscontro anche a campione per dimostrare l’inattendibilita’ del contribuente e la fondatezza del recupero fiscale; soprattutto quando per l’entita’ e l’abnormita’ dei rilievi emersi qualunque persona dotata di buon senso e ragionevolezza avrebbe potuto accorgersi che simili importi non potevano essere ricondotti in capo ad un soggetto senza alcuna organizzazione”.
Il motivo, con le precisazioni appresso, e’ fondato. Il contribuente, come ricordato in narrativa, svolge la professione di amministratore di immobili per conto terzi. Il contribuente e’ quindi un lavoratore autonomo nei confronti del quale la presunzione legale sulla quale era fondato l’avviso di accertamento da cui era originata l’irrogazione delle sanzioni sub iudice deve ritenersi inesistente, essendo stata dichiarata illegittima da Corte cost. n. 228 del 2014 per cui: “Deve essere dichiarata l’illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla Legge 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 402, lettera a), n. 1), (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole “o compensi”. La presunzione e’ lesiva del principio di ragionevolezza nonche’ della capacita’ contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attivita’ professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”. La rammentata declaratoria di illegittimita’ costituzionale e’ intervenuta, come si evince dalla massima appena riportata, con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 cit., articolo 32, comma 1, n. 2, nella versione modificata oggi vigente, ma deve essere osservato che cio’ che stato cancellato e’ proprio la presunzione sulla quale era fondato l’avviso di accertamento e cioe’ quella per cui i prelievi ingiustificati dei lavoratori autonomi erano presunti generatori di reddito non dichiarato.
4. Rimangono pertanto assorbiti gli altri motivi del ricorso principale, oltreche’ il primo motivo del ricorso incidentale, quest’ultimo peraltro rivolto a censurare una semplice argomentazione senza conseguenze decisorie.
5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale l’Ufficio censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, nonche’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, e dell’articolo 2607 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Invero, secondo l’Ufficio, in mancanza di alcuna allegazione o prova offerte dal contribuente, la CTR aveva errato “per di piu’ nel solo dispositivo della sentenza, a determinare in via forfetaria i costi asseritamente detraibili dal reddito accertato”. Il quesito sottoposto era: “Se – con riferimento ad un accertamento di maggior reddito effettuato dall’Ufficio, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, imputando a ricavi sia versamenti che i prelevamenti – violi il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2, nonche’ l’articolo 2697 c.c., la statuizione della CTR che ritiene “poco plausibile l’operato dell’Ufficio che si limita.. a considerare ricavi tanto i versamenti quanto i prelevamenti, senza pero’ poi, in fase di ricalcolo del reddito e delle imposte, stimare l’ammontare dei costi necessariamente sostenuti dall’impresa per l’attivita’ produttiva”, mentre le norme anzidette (correttamente interpretate nel senso che sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attivita’, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili) avrebbero imposto nel caso in esame – in cui la stessa CTR aveva riconosciuto l’inottemperanza del contribuente a fornire la prova liberatoria della presunzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, e non aveva comunque fornito alcuna prova dei costi asseritamente sostenuti – di considerare quali ricavi sia i versamenti che i prelevamenti, escludendo la possibilita’ di riconoscere, ancorche’ in via forfetaria, costi non provati”. Il motivo e’ infondato.
In effetti la CTR non ha disatteso il principio per cui, anche in relazione ad accertamenti fondati sulla presunzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 cit., articolo 32, comma 1, n. 2, l’onere di dimostrare l’esistenza di costi deducibili e’ dalla legge posto a carico del contribuente (Cass. sez. trib. n. 16896 del 2014). Semplicemente la CTR, sulla scorta degli atti di causa, ha ritenuto che la misura dei costi potesse essere accertata in quella del 75% dei ricavi recuperati a tassazione.
6. Con il terzo motivo del ricorso incidentale l’Ufficio censurava la sentenza denunciando in rubrica “Motivazione omessa e insufficiente su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, lamentando a riguardo che la CTR aveva dato nessuna o insufficiente spiegazione dell’accertamento della misura dei costi in quella del 75% dei ricavi. La sintesi del fatto decisivo e controverso era: “In relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla ricostruzione dei redditi del contribuente ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, la sentenza e’ affetta da omessa o quantomeno insufficiente motivazione, in quanto solo nel dispositivo, in modo del tutto apodittico e senza alcuna motivazione, si limita ad affermare un abbattimento del reddito pari ai costi quantificati forfetariamente nella misura del 75%, laddove nella motivazione della sentenza nessuna argomentazione e’ stata fornita in ordine al’iter logico seguito dalla CTR per pervenire al predetto risultato, da ritenere comunque in contrasto con la linea difensiva assunta dal contribuente nel corso dell’intero giudizio (e ribadita ora le ricorso principale) secondo cui detti movimenti bancari avrebbero natura personale, cio’ escludendo la rilevanza dei costi deducibili”.
Il motivo e’ fondato perche’, come evidenziato in narrativa del presente, la CTR ha sic et simpliciter stabilito i costi detraibili in dispositivo e quindi senza spiegare su quali prove documentali o presuntive era fondato il suo accertamento.
3. Sul ricorso relativo alla contestazione delle sanzioni.
1. Con il primo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione falsa applicazione del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 17, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, a riguardo lamentando che erroneamente l’Ufficio aveva ritenuto di non contestare le sanzioni con l’avviso di accertamento dalle quali discendevano. Il quesito sottoposto era: “Se sussiste violazione del Decreto Legislativo 18 dicembre 1977, n. 472, articolo 17, come nel caso di specie, quando l’irrogazione delle sanzioni avviene con separato atto diverso dall’atto di accertamento, pur essendo dette sanzioni, la diretta e naturale conseguenza del contenuto dell’avviso di accertamento, potendo l’arbitraria scelta dell’Ufficio, senza valide ragioni giuridiche, comportare una penalizzazione ed una discriminazione del contribuente che senza alcun fondamento viene costretto a una duplice impugnazione sulla base dei medesimi motivi contenuti nell’atto di accertamento, tutto cio’ senza una logica e razionale esigenza impositiva. Volendo affermare il principio in base al quale in conformita’ e applicazione del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 17, le sanzioni possono essere irrogate separatamente solo qualora le stesse non siano diretta conseguenza dell’atto di accertamento o la cui applicazione sia estranea alle motivazioni dell’avviso di accertamento”.
Il motivo e’ inammissibile giacche’ lo stesso non contiene alcuna critica all’impugnata sentenza (Cass. sez. 3 n. 21659 del 2005).
2. Con il secondo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Omesso esame e pronuncia sulla richiesta riunione Decreto Legislativo n. 546 del 1992, ex articolo 29, e articolo 274 c.p.c., (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Il quesito sottoposto era: “Se sussiste o meno nella specie la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.c., atteso che i giudici di secondo grado hanno omesso di pronunciarsi su una questione sottoposta al loro esame, avendo omesso la riunione della trattazione dei due procedimenti connessi oggettivamente e soggettivamente Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ex articolo 29, e articolo 274 c.p.c., e, comunque, senza assumere alcuna decisione di merito (omessa pronuncia) con aggravio ingiustificato di costi a carico del contribuente per poter contestare e quindi esercitare il proprio diritto di difesa garantito costituzionalmente, in violazione del principio di economia del processo”.
Il motivo e’ infondato perche’, come noto, “Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell’economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita in modo non censurabile, e, pertanto, non e’ suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari; conseguentemente, l’omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa, che non risulta tra l’altro sanzionata da nullita’, non puo’ assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale puo’ quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c. (Cass. sez. 3 n. 19693 del 2008).
3. Con il terzo motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione della Legge n. 241 del 1990, articolo 3, Legge n. 212 del 2000, articolo 7, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42 (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Il motivo all’esame, in tutto identico al secondo motivo del ricorso principale trattato sub I avente ad oggetto il “prodromico” avviso di accertamento dei redditi non dichiarati, e’ allo stesso modo inammissibile per difetto di autosufficienza.
4. Con il quarto motivo del ricorso principale il contribuente censurava la sentenza denunciando in rubrica “Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, comma 1, n. 2); Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, n. 2); e articolo 2697 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando a riguardo che la CTR avrebbe dovuto “disapplicare” il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 cit., articolo 32, comma 1, n. 2), nel testo applicabile ratione temporis e questo perche’ i “militari” mai avevano “prodotto una qualche presunzione che potesse ricondurre uno solo dei prelievi o versamenti all’attivita’ di amministratori di beni immobili e/o d’ impresa”.
Il motivo, assolutamente identico al terzo motivo del ricorso principale trattato sub I avente ad oggetto il “prodromico” avviso di accertamento dei redditi non dichiarati, e’ fondato negli stessi limiti e per le stesse ragioni.
5. Rimangono pertanto assorbiti gli altri motivi del ricorso principale, oltreche’ il primo motivo del ricorso incidentale, quest’ultimo peraltro rivolto a censurare una semplice argomentazione senza conseguenze decisorie.
6. Il secondo motivo del ricorso incidentale dell’Ufficio, di contenuto assolutamente uguale al secondo motivo del ricorso incidentale trattato sub I, e’ per le stesse ragioni infondato.
7. Il terzo motivo del ricorso incidentale dell’Ufficio, anche questo in tutto coincidente con il terzo motivo del ricorso incidentale, e’ del pari fondato.
4. Alla cassazione delle sentenze deve pertanto seguire il giudizio di rinvio per l’accertamento degli ulteriori fatti.
P.Q.M.
La Corte respinge il primo e il secondo motivo del ricorso principale relativo all’avviso di accertamento; accoglie, invece, il terzo; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; respinge il secondo motivo del ricorso incidentale, accoglie invece il terzo; cassa l’impugnata sentenza; respinge il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso principale relativo all’atto di contestazione delle sanzioni; accoglie, invece, il quarto; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; respinge il secondo motivo del ricorso incidentale, accoglie invece il terzo; cassa l’impugnata sentenza; rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche che nel decidere le controversie dovra’ uniformarsi ai superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado.
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