SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 11 giugno 2015, n. 24785
Fatto
Con ordinanza del 07/01/2015, il Tribunale del Riesame di Monza – su ricorso proposto da STAN s.r.l., M.G. e G.F. avverso il decreto di sequestro per equivalente ordinato dal giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 05/12/2014 – rigettava il ricorso della Stan s.r.l. e accoglieva parzialmente quello di M. e G. “limitando il sequestro alle somme movimentate successivamente alla data del 29/12/2007 e limitatamente al periodo di contestazione”.
Il fatto che ha dato origine al sequestro è stato così riassunto dal tribunale: “[…] B.S. , quale amministratore della Battaglia S.r.l. negli anni dal 2004 al 2009, si è reso responsabile del reato di cui all’art. 2 d.lvo. 74/00, avendo annotato in contabilità e portato nella dichiarazione fiscale fatture per operazioni inesistenti per circa Euro 22.000.000 costituendo rilevanti riserve extracontabili attraverso la sottrazione dalle casse sociali di somme utilizzate per i pagamenti delle indicate false fatture (cfr. dichiarazioni rese da C.L. , emittente delle fattura per operazioni inesistenti, alla GdF). Il denaro così ottenuto sarebbe stato ripulito dal dipendente G.F. (responsabile amministrativo della Battaglia S.r.l.) e da M.G. (dipendente del Banco di Desio e Brianza prima e consulente della Battaglia S.r.l. poi). In particolare, le ff.oo.ii venivano pagate all’emittente in contanti limitatamente all’IVA mentre il resto mediante assegni restituiti immediatamente nelle mani di G. , il quale provvedeva a monetizzarli mettendoli sui conti intestati a sé e/o a M.G. o cointestati ad entrambi. Dalle dichiarazioni di C.L. , nell’ambito del procedimento RGNR 42317/11, è emerso altresì che M. , quando era ancora dipendente del Banco di Desio e della Brianza, agevolava G. nel versamento di assegni intestati a C. su conti a costui non riferibili ma gestiti direttamente da G. . Il denaro era poi sottoposto a numerosi giroconti, investito in titoli o inviato all’estero tramite bonifici per poi rientrare in parte in Italia attraverso bonifici alla TULIPS Srl, oggi STAN S.r.l. amministrata dall’indagata F.E. (commercialista del B. ). Tulips S.r.l. era indirettamente controllata dallo stesso B. per il tramite della società Durham Holding BV con domicilio fiscale presso lo Studio della F. e di cui B. era proprietario al 100% per il tramite della società fiduciaria GBL s.p.a. Gruppo Banca Leonardo, sede di XXXXXX (che risulta avere effettuato lo scudo fiscale per conto del B. ex D.L. 78/09 per oltre 15.000.000 di Euro). La TULIPS S.r.l. (oggi STAN S.r.l.) nel periodo dal 2004 al 2009 è stata ampiamente finanziata mediante disposizioni di bonifico provenienti dalla Durham Holding BV, società facente parte del castello di società estere coinvolte nel riciclaggio del denaro proveniente dal delitto di cui all’art. 2 D.L. 74/00. Il danaro provento del cambio di assegni pertanto confluiva in quest’ultima società per poi tornare nella disponibilità di B.S. e familiari. In particolare da Durham Holding BV sono stati trasferiti a Tulips s.r.l., nel periodo in cui amministratrice unica era la F. , Euro 3.549.922, in gran patte utilizzati dalla stessa F. per finanziare iniziative edilizie dei coniugi B. . Anche M. e G. erano delegati ad operare sui conti di Tulips S.r.l.”.
Avverso la suddetta ordinanza, hanno proposto ricorso per cassazione sia il legale rappresentante della Stan s.r.l. che M. e G. .
STAN s.r.l., a mezzo del proprio difensore, ha dedotto i seguenti motivi:
3.1. violazione degli artt. 110-648 ter cod. pen.: la ricorrente sostiene che, poiché secondo l’ipotesi accusatoria, i delitti di evasione d’imposta sarebbero avvenuti negli anni dal 2004 al 2009, la posizione dell’amministratrice F.E. di Stan (nonché commercialista del B. e delle sue società e pure domiciliataria italiana di Durham Holding BV) sarebbe quella del concorrente nella frode fiscale contestata al B. e non quella di autonoma responsabile del delitto di cui all’art. 648 ter cod. pen. La decisione del tribunale (e, prima ancora quella del Pubblico Ministero) di ritenere la F. estranea ai reati di frode fiscale sarebbe contraria alla normativa sul concorso “pacificamente possibile anche nei reati propri e di certo non confinabile all’ipotesi del previo accordo, qui peraltro difficilmente contestabile e non condivisibili sul piano della prova”. La questione è rilevante “perché condiziona la possibilità stessa di procedere al sequestro funzionale alla confisca prevista dalla normativa sulla responsabilità da reato degli enti per la quale non rilevano i reati tribù tari e le appropriazioni indebite […]”.
La ricorrente, quindi, ha concluso chiedendo che venga dichiarata “l’illegittimità del sequestro preventivo e dell’ordinanza del Tribunale di Monza, nella parte in cui hanno erroneamente ritenuto nei confronti dell’amministratrice di STAN s.r.l. gravi indizi di colpevolezza del delitto di reimpiego ex art. art. 648 ter c.p. in luogo di quelli previsti dagli artt. 2 D.lgs. 74/2000 e 646 c.p., la conseguente violazione, da parte dell’ente, dell’art. 25 octies D.lgs. 231/2007 e l’applicabilità della confisca prevista dall’art. 19 D.lgs. 231/2001”;
3.2. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2-19-25 OCTIES DLGS 231/2001: la ricorrente ha premesso che l’illecito contestatole ex art. 25 octies dlgs 231/2001, trova applicazione solo per i fatti di ricettazione, riciclaggio e reimpiego commessi dopo il 29/12/2007, data di entrata in vigore del dlgs 231/2007 che, appunto, all’art. 63/3, introdusse l’art. 25 octies cit.
La ricorrente, poi, ha osservato che, nonostante nel decreto di sequestro la contestazione sia riferita ad un periodo compreso ‘dal 2005 al 2012’, tuttavia, dalla richiesta di sequestro si evinceva che i fatti contestati avvennero fra il 2005 ed il 2008 ed erano costituiti da ‘numerosi accrediti provenienti dalla Durham Holding International BV, negli anni tra il 2005 ed il 2008 per circa Euro 3.200.000’ in favore di Tulips s.r.l. ‘in gran parte impiegati, da F.E. , nella sua veste di amministratrice, per eseguire pagamenti relativi ad iniziative edilizie dei coniugi B. . Sennonché, obietta la ricorrente, nessuno dei suddetti pagamenti effettuati dalla F. , oggetto di contestazione da parte del Pubblico Ministero, sarebbe successivo al 29/12/2007.
Di conseguenza, il Tribunale, avendo fatto riferimento ad attività della F. successiva al suddetto periodo (e cioè a fatti avvenuti nel 2011, non oggetto di contestazione), si sarebbe illegittimamente sostituito all’imputazione mossa dal Pubblico Ministero che aveva chiesto il sequestro nella misura di Euro 3.200.000,00 e cioè a quelle somme che Tulips/Stan “impiegò in pagamenti connessi alla sua attività d’impresa, utilizzando provviste provenienti da Durham Holding”.
G.F. e M.G. , con due separati ricorsi redatti in proprio, ma perfettamente identici, hanno dedotto i seguenti motivi:
4.1. violazione degli ARTT. 110-648 bis cod. pen.: si tratta della stessa censura dedotta dalla Stan s.r.l. (supra p.3.1.): infatti entrambi i ricorrenti sostengono che, al più, essi avrebbero dovuto rispondere non del delitto di riciclaggio ma di quello di concorso nel reato di frode fiscale;
4.2. violazione dell’art. 648 quater cod. pen.: i ricorrenti lamentano la genericità del sequestro non avendo il tribunale (e, prima ancora, il giudice per le indagini preliminari) individuato il bene da sequestrare avente un valore equivalente al prezzo, prodotto o profitto del reato. Inoltre, i ricorrenti sostengono che il sequestro non avrebbe potuto colpire quei beni legittimamente entrati a far parte del proprio patrimonio prima della commissione del reato, ma solo quei beni che costituiscano profitto del reato.
Diritto
Violazione degli artt. 110-648 bis e ter cod. pen.: tutti e tre i ricorrenti hanno dedotto la medesima doglianza e cioè che la provvisoria incolpazione elevata dal Pubblico Ministero nei lori confronti per i reati di riciclaggio (M. e G. ) e di reimpiego (F. ) sarebbe errata perché, a tutto concedere, essi avrebbero dovuto rispondere di concorso, con il B. , in frode fiscale.
La censura è infondata.
Sul punto, è appena il caso di rammentare che il ricorso avverso l’ordinanza ex art. 325 cod. proc. pen. è ammissibile solo per violazione di legge e non già per vizi motivazionali e che l’incolpazione è una prerogativa esclusiva del Pubblico Ministero relativamente alla quale al giudice del riesame è solo consentito ritenerla fondata o meno o di dare una diversa qualificazione giuridica.
Nel caso di specie, il tribunale ha preso in esame la medesima doglianza ma l’ha disattesa osservando che “le condotte sopra descritte poste in essere da M. , G. e F. , finalizzate alla ripulitura del denaro proveniente dal reato ex art. 2 D.L.vo 74/2000, sono stati correttamente qualificati ex artt. 648 bis e ter c.p. essendo costoro totalmente estranei al reato presupposto, proprio solo dell’imprenditore che ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi, non risultando dagli atti alcun preventivo accordo tra gli odierni indagati e costui per il pagamento di fatture per operazioni inesistenti”.
Si tratta di una motivazione nella quale non sono ravvisabili violazioni di legge di alcun genere, in quanto il tribunale ha mostrato di avere analizzato gli atti processuali e che questi conclamavano la correttezza della contestazione effettuata dal Pubblico Ministero: tanto basta, ai fini del presente procedimento per il quale si richiede solo la sussistenza del fumus delicti, per ritenere incensurabile la decisione del tribunale, e, quindi, manifestamente infondata le doglianze dedotte da tutti e tre i ricorrenti.
violazione degli artt. 2-19-25 octies dlgs 231/2001: con la suddetta doglianza, il legale rappresentante della Stan s.r.l., ha dedotto, relativamente all’ordinanza impugnata, una sorta di mancanza di correlazione fra la richiesta del Pubblico Ministero e la decisione del Tribunale.
Il tribunale, ha respinto la medesima doglianza (proposta avverso il decreto del giudice per le indagini preliminari), adducendo la seguente testuale motivazione: “Quanto al periodo temporale degli accrediti e delle operazioni commesse da M. e G. e alla corrispondenza con il valore dei beni posti in sequestro, si osserva che la contestazione investe un lungo periodo temporale decorrente dal 2004 ma dilatatosi sino all’anno 2009 e che le somme vengono reimpiegate da STAN S.r.l. per il tramite della sua amministratrice fino al 2012 attraverso l’acquisto di patrimoni immobiliari. Emerge peraltro dalla CNR 581851/14 del 14/10/2014 GDF Tenenza di Seveso che dal totale delle somme riconducibili all’attività della F. per conto di Stan S.r.l, sono state escluse tutte le operazioni precedenti alla data del 29 dicembre 2007. Le indagini espletate dalla GdF di Seveso nei confronti di M. e G. sul punto non hanno per contro specificato quali siano le somme movimentate successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2007, pur avendo indicato movimentazioni fino al 2012. Pertanto il sequestro dovrà essere confermato nei limiti delle somme movimentate successivamente a tale data e limitatamente al periodo di contestazione”.
La suddetta doglianza è infondata.
In punto di fatto, risultano i seguenti dati processuali:
a) è la stessa ricorrente che afferma nel suo ricorso (pag. 8) che “la contestazione mossa a Stan s.r.l. [capo c) del decreto di sequestro] fissa il periodo in contestazione dal 2005 al 2012”;
b) il tribunale, come risulta dalla motivazione supra riportata, ha preso in esame “le somme reimpiegate da STAN S.r.l. per il tramite della sua amministratrice fino al 2012 attraverso l’acquisto di patrimoni immobiliari”: quindi, fino alla data ricompresa nel periodo in contestazione;
c) il Tribunale, al fine di determinare il valore delle operazioni incriminabili, ha tenuto conto, sulla base degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, solo di quelle operazioni successive alla data del 29/12/2007.
Alla stregua dei suddetti dati fattuali, è davvero difficile seguire la ricorrente nel suo ragionamento sulla base del quale pretende che si censuri la decisione prima del giudice per le indagini preliminari e, poi, del tribunale, sulla base di una sua personalissima interpretazione della volontà del Pubblico Ministero il quale, nonostante avesse formulato un capo d’incolpazione nel quale il periodo in contestazione era fissato ‘dal 2005 al 2012’, tuttavia, in realtà, intendeva chiedere un sequestro limitato alla somma di Euro 3.200.000,00 e cioè fino al 2008.
Sul punto, quindi, questa Corte, in considerazione degli stretti limiti entro cui è vincolata ex art. 325 cod. proc. pen., non può che prendere atto che la decisione del tribunale non viola il (pacifico) principio di diritto invocato dalla ricorrente (e cioè quello secondo il quale il Tribunale non può porre a fondamento della propria decisione un fatto diverso da quello in contestazione) proprio perché il sequestro è stato limitato ai fatti criminosi che, secondo l’accusa, furono commessi fra il 30/12/2007 ed il 2012 e cioè proprio secondo quanto contestato con il provvisorio capo d’incolpazione.
violazione dell’art. 648 quater cod. PEN.: la suddetta censura, dedotta dai soli ricorrenti G. e M. , è articolata su due profili:
a) il sequestro sarebbe generico non essendo stato individuato il bene da sequestrare;
b) il sequestro non può colpire beni acquistati legittimamente ma solo beni provento dei delitti.
Entrambe le censure sono infondate.
3.1. Quanto alla prima (mancata individuazione di beni da sequestrare), è sufficiente osservare che la costante giurisprudenza di questa Corte, che in questa sede va ribadita, ritiene che “L’art. 322 ter c.p., u.c., non impone al giudice, quando dispone la confisca, di individuare i beni ad essa assoggettati, qualora determini le somme di denaro che costituiscono il profitto o il prezzo del reato o il valore corrispondente ad essi: il dettato normativo pone infatti un’alternativa (determina le somme di denaro o individua i beni) che discende logicamente dalla fungibilità del denaro stesso. L’identificazione della somma di denaro è esaustiva sia sotto il profilo della pertinenzialità – quando, appunto, come nel caso di specie il profitto del reato consiste in una somma di denaro che il reo ha mantenuto nella sua disponibilità ponendo in essere la condotta criminosa, cioè inadempiendo ad un obbligo di versamento di denaro – sia sotto il profilo della entità. Nella fase esecutiva, essendo così stato determinato l’oggetto diretto della confisca o il valore su cui si deve conformare l’equivalente (a quest’ultimo profilo, logicamente, deve rapportarsi il riferimento del giudice ai beni nella disponibilità dell’imputato fino alla concorrenza dell’identificato valore), si procederà alla concreta ablazione estraendola da quel che è nella disponibilità del reo (con evidente sintonia rispetto all’art. 2740 c.c., ai fini dell’esecuzione di un titolo civile), così come è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte già nella fase prodromica del sequestro (Cass. sez. 2, 29 maggio 2013 n. 35813 – per cui il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato presupposto non deve contenere l’indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti al vincolo, potendo procedere alla loro individuazione anche la polizia giudiziaria in sede di esecuzione del provvedimento, ma deve indicare la somma sino a concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito -; Cass. sez. 3, 12 luglio 2012 – 7 marzo 2013 n. 10567 – che afferma che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero-; cfr. pure Cass. sez. 3, 10 gennaio 2012 n. 7675 – per cui nel caso di sequestro preventivo finalizzato a confisca per equivalente il giudice deve specificamente indicare quali siano i beni vincolabili soltanto se disponga in atti di elementi per stabilirlo, in caso contrario incombendo detta individuazione al P.M. quale organo demandato all’esecuzione-). Nessuna illegittimità e tanto meno nessuna abnormità, dunque, affliggono la sentenza impugnata in riferimento all’art. 322 ter c.p., u.c., né sussiste, nel caso concreto, ermeneutica incertezza giurisprudenziale”: ex plurimis Cass. 18309/2014 Rv. 259660; Cass. 20776/2014 Rv. 259661; Cass. 37848/2014 Rv. 260149; Cass. 50310/2014 Rv. 261517; Cass. 35813/2013 Rv. 256827.
3.2. Quanto alla seconda doglianza, va osservato, innanzitutto, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non è subordinato alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (ex plurimis Cass. 21228/2014 Rv. 259717; Cass. 31229/2014 Rv. 260367).
In secondo luogo, quanto al “problema del collegamento temporale del bene individuato per la misura sostitutiva con l’attività illecita, ovverosia se l’equivalente possa essere individuato anche in bene appartenente all’indagato da epoca precedente all’ipotizzato reato e dallo stesso acquisito in modo assolutamente lecito” (terzo motivo dedotto da entrambi i ricorrenti), deve rilevarsi quanto segue.
La confisca per equivalente per i reati di cui agli artt. 648 bis (ossia il reato per il quale entrambi i ricorrenti sono indagati) e 648 ter cod. pen. è stata introdotta con l’art. 63/4 del dlgs 231/2007 entrato in vigore il 29/12/2007.
Ora, costituisce consolidato principio di diritto quello secondo il quale la confisca per equivalente assolve ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile.
Tale misura ablatoria, pertanto, si connota per il carattere afflittivo e la consequenzialità con l’illecito proprie della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza.
È stato conseguentemente affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che l’istituto della confisca per equivalente, di volta in volta esteso dal legislatore a nuove fattispecie di reato, non è applicabile retroattivamente (cfr. con riferimento ai reati tributari sez. 3, 24/09/2008 n. 39172, Canisto, RV 241033; sez. 6, 18/02/2009 n. 13098, P.M. in proc. Molon e altri, RV 243127; sez. 5, 26/01/2010 n. 11288, Natali, RV 246361; cfr. anche Corte Costituzionale ord. n. 97 del 11/03/2009 e 301 del 23/09/2009). Dalla natura di sanzione penale della confisca per equivalente deriva altresì la inapplicabilità dell’istituto nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato ex art. 27, comma 1, della Costituzione.
A tale conclusione sono pervenute anche le SSUU 18374/2013 Rv. 255037 che hanno appunto, ribadito che la confisca per equivalente ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall’art. 200 cod. pen., non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata.
È stato, peraltro, osservato e precisato (Cass. 25490/2014 Rv. 259184) che la data di acquisto dei beni oggetto del provvedimento ablativo, è del tutto irrilevante ai fini della suddetta problematica, sia perché trattasi di elemento non contemplato dalla norma, sia perché il principio di irretroattività in materia penale attiene al momento della condotta e non invece al tempo ed alle modalità di acquisizione dei beni destinatari in concreto della sanzione. Sebbene alla confisca per equivalente – nella specie introdotta nel dicembre del 2007 con il cit. Dlgs – debba attribuirsi natura eminentemente sanzionatoria (come tale soggetta al principio di cui all’articolo 2 del codice penale) la irretroattività deve intendersi riferita al fatto di reato (per cui non si applica ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge citata; cfr. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037) e non certo alla data di acquisizione dei beni su cui cade la sanzione.
Il che, in pratica, nel caso di specie, comporta che:
a) se il reato fu commesso prima del 29/12/2007 (data di entrata in vigore dell’art. 648 quater cod. pen.), il sequestro per equivalente non avrebbe potuto essere disposto;
b) se, invece, il reato fu commesso dopo il 29/12/2007, il sequestro per equivalente può essere sicuramente ordinato sui beni in possesso dell’indagato essendo del tutto irrilevante se quei beni furono acquistati in epoca antecedente alla commissione del reato e, quindi, con esso non abbiano alcuna pertinenzialità.
Nel caso di specie, il tribunale ha avuto ben presente la suddetta problematica in quanto, accogliendo parzialmente il ricorso degli indagati M. e G. , ha limitato il sequestro “alle somme movimentate successivamente alla data del 29 dicembre 2007 e limitatamente al periodo di contestazione e condanna STAN S.r.l. al pagamento delle spese del procedimento”, proprio perché “le indagini espletate dalla GdF di Seveso nei confronti di M. e G. sul punto non hanno per contro specificato quali siano le somme movimentate successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2007, pur avendo indicato movimentazioni fino al 2012. Pertanto il sequestro dovrà essere confermato nei limiti delle somme movimentate successivamente a tale data e limitatamente al periodo di contestazione”.
Di conseguenza, anche sotto questo profilo la doglianza va disattesa con conseguente condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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