Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 30 aprile 2015, n. 18235
Rilevato in fatto
1. Con ordinanza del 11/6/2014 la Corte di assise di appello di Milano rigettava le richieste presentata da L.M. di dichiarare non esecutiva la sentenza emessa in data 30/11/2011, irrevocabile il 21/1/2014, di condanna della ricorrente alla pena di anni due mesi otto di reclusione per il reato previsto dall’art. 416 cod. pen. per omessa notifica del decreto di citazione a giudizio, dell’estratto contumaciale di primo e secondo grado e di tutti gli atti successivi; rigettava la richiesta subordinata di restituzione nel termine per proporre impugnazione ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen.. In ordine alla richiesta principale rilevava che all’atto della sua scarcerazione la ricorrente aveva dichiarato domicilio in (omissis) , dove era stata eseguita la notifica del decreto che dispone il giudizio. Non essendo stata reperita, tutte le notifiche erano state effettuate dapprima presso il difensore di fiducia e poi, a seguito della rinuncia al mandato di quest’ultimo, al difensore di ufficio nominato. Questi aveva proposto ricorso per cassazione dichiarato inammissibile. In relazione alla richiesta di rimessione nei termini per proporre impugnazione, il giudice dell’esecuzione ne rilevava la tardività. Pur dando atto che non vi era prova che l’imputata avesse avuta effettiva conoscenza della sentenza di condanna, ella era stata arrestata il 18/4/2014: tuttavia, la richiesta di essere rimessa nei termini per impugnare, proposta in data 19/5/2014 dal difensore di fiducia nominato, era pervenuta alla Procura generale della Repubblica di Milano in data 20/5/2014 e trasmessa alla Corte di appello il successivo 23/5/2014.
2. Con la successiva ordinanza emessa il 18/6/2014, la medesima Corte di assise di appello dichiarava inammissibile l’istanza di revoca dell’ordinanza 11/6 inviata via fax dal difensore. Ad avviso del giudicante, l’ordinanza era ricorribile soltanto per cassazione. In ogni caso, scendendo all’esame della doglianza, rilevava che l’originaria istanza era stata inviata dapprima a mezzo PEC, e il trentesimo giorno dall’arresto dell’imputata, a mezzo raccomandata, alla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano – ufficio esecuzioni. Osservava quindi che nel processo penale l’utilizzo della posta certificata non era consentito alle parti private per notificazioni o comunicazioni e che, comunque, l’istanza, trasmessa ad un ufficio incompetente a decidere non tenuto ad esprimere alcun parere, era pervenuta alla cancelleria del giudice competente fuori termine.
3. Avverso l’ordinanza la condannata propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, per violazione di legge in relazione alla tardività dell’istanza; all’applicazione della normativa digitale e all’art. 583, comma 2, cod. proc. pen; erronea applicazione della legge penale in relazione alla competenza del giudice dell’esecuzione; errata pronuncia emessa dalla Corte di assise di appello non nella qualità giuridica di giudice dell’esecuzione, essendo il giudice dell’esecuzione competente funzionalmente; mancato rispetto del principio espresso dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.. Ad avviso del difensore, l’istanza era stata spedita in tempo utile il 19 maggio 2014, in quanto il 18 cadeva di domenica, sia a mezzo PEC, dato di cui la Corte di assise di appello non si era avveduta, sia a mezzo raccomandata A/R. In proposito, ai sensi dell’art. 583, comma 2, cod. proc. pen., si doveva avere riguardo alla data di spedizione della raccomandata e non alla data in cui la stessa era pervenuta e, in ipotesi di spedizione a mezzo servizio postale, la decadenza prevista dall’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen. doveva avere riguardo alla data di invio della richiesta a mezzo di lettera raccomandata e non a quella di ricezione di essa da parte dell’Ufficio. Richiamata la normativa che regola l’invio a mezzo PEC, la ricorrente contesta la tesi della sua inapplicabilità formulata nell’ordinanza impugnata, anche perché nell’intestazione unitamente all’ufficio della procura generale vi era quello della Corte di assise di appello in funzione di giudice dell’esecuzione. Detta richiesta era stata presentata alla Corte di assise di appello, unitamente a quella di nullità, perché potesse essere giudicata unitariamente. Nessun pregiudizio era stato arrecato, attesa l’assenza di altre parti, ed era prassi degli uffici giudiziari di Roma che l’incidente di esecuzione fosse presentato presso l’ufficio esecuzione della procura di Roma – organo impersonale -, competente ad esprimere parere. In ogni caso, doveva trovare applicazione il principio introdotto dall’articolo 568 comma 5 del codice di rito.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che la Corte di assise di appello è stata investita della richiesta di nullità del titolo esecutivo e di rimessione in termini in relazione alla sentenza 30/11/2011 da essa stessa emessa in riforma della sentenza della Corte di assise di Milano 12/10/2010. La Corte distrettuale era nel contempo giudice dell’esecuzione e giudice dell’impugnazione, competente a decidere ex art. 175, comma 4, cod. proc. pen.. Le argomentazioni, di non perspicua comprensione, svolte dal difensore in proposito non sono pertinenti.
3. Per quanto attiene la trasmissione dell’istanza del difensore a mezzo PEC si osserva che alla parte privata, nel processo penale, non è consentito l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione, quale forma di comunicazione e/o notificazione. L’utilizzo della PEC è stato consentito, ma a partire dal 15/12/2014, solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie nei procedimenti penali a persona diversa dall’imputato – a norma degli articoli 148 comma 2-bis – 149 – 150 e 151 comma 2 cod. proc. pen. (legge n. 228 del 2012 (art. 1 comma 19); D.L 18/10/2012 n. 179, art. 16, comma 9 e 10). Allo stato, la forma della notifica via PEC è deputata a sostituire forme derogatorie dell’ordinario regime delle notifiche, ponendosi come alternativa privilegiata rispetto alle comunicazioni telefoniche, telematiche e via telefax attualmente consentite in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari. Si tratta de:
a) le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p.;
b) le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria (giudice o pubblico ministero), “con mezzi tecnici idonei”, secondo il dettato dell’art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen.;
c) gli avvisi e le convocazioni urgenti disposte dal giudice nei confronti di persona diversa dall’imputato, per le quali è stata finora consentita la notifica a mezzo del telefono confermata da telegramma (ovvero, in caso di impossibilità, mediante mera comunicazione telegrafica dell’estratto), da eseguirsi ai recapiti corrispondenti ai luoghi di cui all’art. 157, commi primo e secondo e nei confronti del destinatario o di suo convivente (art. 149, cod. proc. pen.);
d) le notificazioni di altri atti disposte dal giudice sempre nei confronti di persona diversa dall’imputato, mediante l’impiego di mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell’atto (art. 150, cod. proc. pen.).
4. In ogni caso, è decisivo ed assorbente il rilievo che la richiesta di rimessione in termini è stata presentata oltre il termine di decadenza. L’art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, stabilisce che l’istanza di restituzione nel termine deve essere “presentata” all’ufficio giudiziario competente nel termine di decadenza di trenta giorni, e non contiene alcun richiamo alla facoltà di spedizione dell’atto a mezzo di raccomandata, riservata dall’art. 583 cod. proc. pen. agli atti di impugnazione, ed estesa da specifiche norme processuali ad altri mezzi di gravame, quali la richiesta di riesame contro le misure cautelari personali (art. 309 cod. proc. pen., comma 4 che richiama gli artt. 582 e 583) o le misure cautelari reali (art. 324 cod. proc. pen., comma 2 che richiama l’art. 582, nella interpretazione data da Sez. U., n. 230 del 20/12/2007 – dep. 07/01/2008, Normanno, Rv. 237861); né può affermarsi l’applicabilità dell’art. 583 cod. proc. pen. comprendendo nella categoria degli atti di impugnazione anche la richiesta di restituzione nel termine, trattandosi di rimedio processuale privo della connotazione propria dell’impugnazione, consistente nella richiesta di riforma di un provvedimento giudiziario rivolta ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato. Per tali ragioni si deve concludere che, ai fini di verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell’art. 175 cod. proc. pen., comma 2 bis, non è applicabile la disposizione prevista dall’art. 583 cod. proc. pen., comma 2, che individua la data di proposizione dell’impugnazione in quella di spedizione della raccomandata (in senso conforme Sez. 1, Sentenza n. 6726 del 2010; Sez. 2, n. 35339 del 13/06/2007, Bari, Rv. 237759; Sez. 1, n. 25185 del 17/02/2009, Ben Kassi, Rv. 243808, secondo cui la decadenza di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2 bis opera con riguardo alla data di ricezione della richiesta da parte dell’Ufficio e non a quella di invio dell’atto da parte dell’interessato). Non solo, quindi, la raccomandata A/R è pervenuta alla Procura Generale fuori termine il 20/5/2014 (termine ultimo utile il 19/5, avendo avuto la condannata conoscenza del provvedimento il 18/4 al momento del suo arresto, che costituisce il dies a quo), ma il momento della presentazione della richiesta deve essere considerato a tutti gli effetti quello in cui la stessa giunge all’esame del giudice competente a decidere. In proposito, va osservato che l’art. 583 cod. proc. pen. (che esprime il principio generale di conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis) riguarda le impugnazioni e regola i rapporti tra organi appartenenti alla giurisdizione. Il pubblico ministero non è un giudice e se come parte pubblica, in adempimento dell’obbligo di cooperazione con le parti per il perseguimento dei fini della giustizia, si deve riconoscergli un dovere di trasmissione al giudice competente delle istanze che erroneamente gli siano state presentate, ciò non significa che tutte le conseguenze di legge, come il rispetto del termine impeditivo della decadenza, si hanno per verificate quando la richiesta perviene al giudice competente (nel caso, il 23/5).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen. la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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