SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV
SENTENZA 19 marzo 2015, n. 11631
Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 27/6/2013 il G.I.P. del Tribunale di Brescia aveva disposto il sequestro preventivo di diversi immobili e strutture connesse, facenti parte del c.d. “Villaggio Campione del Garda”, siti a (omissis) (frazione del Comune di (omissis), ravvisando il fumus del reato di lottizzazione abusiva (art. 30 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) in capo a diversi indagati, tra i quali gli odierni ricorrenti, rappresentanti legali delle società Coopsette e Campione del Garda s.p.a., autrici dell’intervento edilizio.
La cautela era applicata ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. in quanto funzionale alla confisca urbanistica (prevista dall’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 quale sanzione accessoria per il reato di lottizzazione abusiva). Era comunque palesata anche l’esigenza di tutela, ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., per l’incolumità pubblica con riferimento ai rischi di carattere geologico (caduta di massi et similia).
2. Avverso tale provvedimento proponevano richieste di riesame D.F. , quale legale rappresentante della società cooperativa Coopsette, e V.F. , quale legale rappresentante della Campione del Garda S.p.a..
In accoglimento di tali gravami, il Tribunale del riesame di Brescia, con ordinanza del 31/7/2013, annullava il provvedimento impugnato limitatamente, per quanto qui interessa, ai beni in proprietà e/o in concessione alle predette società Cooperativa Coopsette e Campione del Garda S.p.A., per la ritenuta insussistenza del fumus dell’ipotizzato reato, essendo apparse al riguardo non rassicuranti (pur nella prospettiva cautelare) le valutazioni del consulente tecnico del pubblico ministero, poiché, in parte, dirette a sindacare scelte di merito e di opportunità di competenza esclusiva della P.A. e, per altra parte, frutto di verifiche di legittimità non sufficientemente rigorose ed analitiche e inidonee pertanto a vincere la presunzione di legittimità dei provvedimenti amministrativi.
3. In accoglimento del ricorso proposto dal Pubblico Ministero, la Terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15959 del 29/01/2014, dep. 10/04/2014, annullava per radicale difetto di motivazione il provvedimento del riesame.
Premesso che, secondo la prospettazione accusatoria condivisa dal G.I.P., la fattispecie per cui si procede è stata sussunta nell’ambito della lottizzazione materiale, per essere state realizzate le opere in forza di autorizzazioni ritenute in contrasto con le prescrizioni di legge, rilevava che rispetto ai numerosi profili di illegittimità segnalati dal consulente del P.M. nel piano particolareggiato redatto, tra il 2005 e il 2010, per il recupero e la riqualificazione di Campione, il Tribunale del riesame aveva omesso di prendere precisa posizione su alcuno di essi, senza nemmeno enunciare compiutamente nel provvedimento impugnato le “specifiche e non eccentriche argomentazioni difensive” che renderebbero opinabili le valutazioni compiute dal consulente tecnico del Pubblico Ministero circa la configurabilità della variante al piano particolareggiato approvata nel 2010 quale “variante urbanistica” come tale assoggettabile alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS).
4. Pronunciando in sede di rinvio il Tribunale del riesame di Brescia, con ordinanza del 13/5/2014, rigettava le richieste di riesame e disponeva l’immediato ripristino del vincolo cautelare sui beni di proprietà delle predette società specificamente identificati in dispositivo.
Evidenziava in premessa il collegio che “il tipo di lottizzazione abusiva specificamente contestato non riguarda né l’assenza di provvedimenti autorizzativi delle opere edificate ed edificande, né la contrarietà dei provvedimenti ai piani di governo del territorio (in questo caso denominati piano particolareggiato di iniziativa pubblica e variante dello stesso), bensì proprio la contrarietà degli strumenti generali di pianificazione del governo del territorio rispetto alla normativa primaria (e talvolta secondaria) … avente carattere imperativo e inderogabile”.
Ciò posto, tra gli otto profili di contrarietà a tale normativa ipotizzati dal P.M. nella richiesta di rinvio a giudizio nelle more formulata, reputava il collegio effettivamente sussistente quello afferente alle norme che impediscono – in caso di pericolo idrogeologico massimo – ogni opera diversa da quelle di ristrutturazione/risanamento delle strutture già esistenti o di demolizione delle stesse, vietando perciò l’edificazione di strutture edilizie nuove.
Precisato al riguardo che la normativa di riferimento è rappresentata dalla legge regionale n. 12/2005, nella quale si affida ai piani comunali di governo del territorio l’adozione, tra l’altro, del c.d. documento di piano, il quale deve definire il “quadro conoscitivo del territorio comunale … individuando [tra l’altro, n.d.r.] … l’assetto geologico, idrogeologico e sismico”, rimarcava il collegio che, adempiendo a tale obbligo, il Comune di (omissis) aveva già individuato, sulla scorta di uno studio geologico effettuato il 25/1/2001, gran parte del territorio della località (…) come a rischio idrogeologico massimo (classe 4) o appena inferiore al massimo (classe 3) e che proprio a tale studio geologico, e ai severi limiti che ne derivano sulle possibilità di nuove edificazioni, aveva fatto riferimento il consulente del Pubblico Ministero, rilevandone la violazione nel caso di specie.
Quanto alle difese sul punto svolte dai ricorrenti, secondo cui per fugare il pericolo idrogeologico e conseguentemente legittimare la realizzazione dei nuovi edifici sarebbero state sufficienti opere di contenimento, in tal senso essendosi pronunciato anche il consulente tecnico del PM, il Tribunale ne rilevava l’infondatezza osservando che, in realtà, il consulente, successivamente all’affermazione estrapolata dai ricorrenti, aveva evidenziato che anche la realizzazione di opere di contenimento non avrebbe fatto venire meno il divieto di edificare nuove strutture nelle zone classificate come a rischio massimo (classe 4), potendo tutt’al più consentire la costruzione nelle restanti aree (classe di fattibilità 3).
5. Avverso tale provvedimento D.F. e V.F. , per mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto separati ricorsi per cassazione, tuttavia pienamente sovrapponibili nel contenuto.
5.1. Con un primo motivo deducono violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus dell’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva.
Posto che, secondo quanto evidenziato in premessa dal Tribunale, i profili di illegittimità risiedono negli strumenti generali di pianificazione e governo del territorio e non nell’operato di essi ricorrenti e delle società, rilevano che da ciò può desumersi la loro buona fede e il legittimo affidamento sulla regolarità piena del comportamento tenuto, oltre che l’estraneità a qualsiasi condotta penalmente rilevante prodromica alla edificazione dei manufatti oggetto di misura cautelare, dovendosi piuttosto essi considerare, per vari aspetti, persone offese.
Sotto altro profilo rilevano che erroneamente l’ipotesi di reato è stata ricondotta alla previsione di cui all’art. 44, comma 1 lett. c), d.P.R. 380/2001, dovendo essa piuttosto essere ricondotta alla previsione di cui alla lettera b), per la quale non è prevista la confisca: ciò in quanto, come evidenziato in alcuni precedenti della Suprema Corte, il vincolo idrogeologico non è ricompreso tra quelli tassativamente elencati dalla lett. c) dell’art. 44 cit., come tali insuscettibili di estensione analogica (Sez. 3, n. 43731 del 24/09/2009, Napoli, Rv. 245208).
Soggiungono che risulta anzi plausibile la riferibilità della condotta anche all’ipotesi di cui alla lettera a), anch’essa non legittimante la confisca, dal momento che tutte le attività di trasformazione edilizia sono avvenute nel più assoluto rispetto dei provvedimenti autorizzativi.
5.2. Con il secondo motivo deducono violazione o falsa applicazione della Delibera della Giunta Regionale Lombarda del 30/11/2011, delle Norme Tecniche d’Attuazione del Piano per l’assetto idrogeologico del bacino idrografico del fiume xx approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24/05/2001, recepito anche dalle N.T.A. del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Brescia.
Tale censura investe specificamente l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui anche l’esecuzione di opere di contenimento del rischio idrogeologico non fa venir meno il divieto di edificare nelle zone classificate come al rischio massimo (classe 4).
Deducono i ricorrenti che tale affermazione è contraddetta sia dalla normativa su richiamata, sia dai rilievi del consulente del P.M.. Sostengono, infatti, che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, essendo il piano di assetto idrogeologico uno strumento di pianificazione dinamico, soggetto ad aggiornamenti e revisioni in caso di variazioni delle condizioni di rischio o di pericolo derivanti da azioni e da interventi strutturali di messa in sicurezza, tutti gli ambiti in esso individuati, ivi compresi quelli inseriti in classe 4, possono essere riclassificati a fronte della realizzazione di interventi ed opere di messa in sicurezza.
Ciò posto, lamentano che il Tribunale ha omesso di valutare la documentazione prodotta comprovante la progettazione, messa in opera, completamento e collaudo dei presidi di sicurezza funzionali alla declassificazione, fino al livello 2, delle aree del comparto di Campione originariamente interdette alla realizzazione di nuove opere, evidenziando peraltro che, diversamente da quanto presupposto dal Tribunale, tali presidi sono preesistenti al completamento dell’edificazione degli immobili sottoposti a sequestro.
5.3. Con il terzo motivo deducono, in subordine, violazione degli art. 310, comma 3, 324 e 325 cod. proc. pen., in relazione al disposto immediato ripristino del vincolo cautelare.
Deducono che, in assenza di disposizione specifica sul punto, avendo l’applicata confisca natura sanzionatoria, occorre osservare il principio per cui le pene si applicano solo a seguito di un provvedimento definitivo, salvo esigenze cautelari contingenti e specifiche inesistenti nel caso in esame.
Considerato in diritto
6. Il primo motivo di ricorso è infondato sotto entrambi i profili dedotti.
6.1. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708, in una fattispecie relativa a sequestro preventivo di struttura destinata a ipermercato e a parcheggio, per la quale esisteva autorizzazione alla lottizzazione in contrasto con alcune prescrizioni delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Modugno).
Il reato di lottizzazione abusiva è dunque configurabile anche quando – come accade nella specie – lo strumento urbanistico c’è ed è in sé rispettato dai privati autori dell’intervento edilizio, ma è esso stesso in contrasto con norme di rango sopraordinato.
Non può poi dubitarsi che del reato rispondano anche i soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, proprio perché anche questi soggetti hanno l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione, perché l’interesse protetto dalla legge non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della P.A., ma è altresì quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico.
6.2. Il motivo è privo di pregio anche nella seconda parte, ove si sostiene che la fattispecie in esame, nei termini in cui è ricostruita nell’ordinanza impugnata, non sarebbe riconducibile alla previsione di cui all’art. 44 comma 1 lett. c) d.P.R. 380/2001, poiché questa non attribuirebbe in tal senso rilievo alla violazione dei vincoli idrogeologici, non menzionati.
I ricorrenti omettono invero di considerare che tale disposizione si compone di due periodi, aventi ciascuno una diversa e autonoma portata precettiva.
Nel primo si prevede “l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986 a 103.290 Euro, nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30”, la quale ultima disposizione – è utile rammentare – al primo comma, primo periodo, definisce lottizzazione abusiva (nella ipotesi, che qui viene in rilievo, di lottizzazione c.d. materiale o reale) quella determinata dalle opere, anche solo “iniziate” “che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”.
Nel secondo si estende la stessa pena anche alla distinta fattispecie integrata da “interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”: ciò sull’implicito ma ovvio presupposto che si tratti di interventi edilizi diversi della lottizzazione abusiva, già di per sé soggetta, senza alcuna ulteriore specificazione, al predetto trattamento sanzionatorio in forza del primo periodo: una diversa interpretazione renderebbe la norma priva di senso e darebbe luogo a un’intrinseca insanabile contraddizione tra la prima e la seconda parte della disposizione.
È ben vero, dunque, che in quest’ultima non si fa riferimento alla violazione dei vincoli idrogeologici, ciò però può significare soltanto che tale violazione resterà sottratta al trattamento sanzionatorio suindicato e alla confisca prevista dal comma 2 del medesimo art. 44 se e in quanto costituisca effetto di interventi edilizi che di per sé non comportino lottizzazione abusiva, ossia di interventi isolati e comunque di dimensioni tali da non determinare trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni. In caso contrario, ove cioè si configuri – come nella specie, secondo la prospettiva accusatoria, e salva ovviamente ogni ulteriore verifica da riservare a giudizio di merito – una lottizzazione abusiva nei termini predetti, ciò è sufficiente a giustificare comunque la riconduzione della fattispecie alle prospettive sanzionatorie suddette, e dunque anche il sequestro preventivo strumentale alla confisca urbanistica, anche se la qualificazione delle opere in termini di lottizzazione abusiva nasca dalla ravvisata violazione di norme a tutela dell’equilibrio idrogeologico.
Conferma di tale interpretazione si trae anche dai precedente evocati dai ricorrenti (oltre a Sez. 3, n. 1590 del 14/01/1993, Di Mastropaolo, Rv. 193049; può rammentarsi anche l’arresto di Sez. 3, n. 43731 del 24/09/2009, Pilucchi, non mass.), i quali infatti attengono a singoli e specifici interventi edilizi (si parla infatti in esso non di lottizzazione abusiva ma di costruzione abusiva) posti in violazione del vincolo idrogeologico al di fuori di un piano di lottizzazione.
6.3. Ragione giustificativa di un tale distinto trattamento va vista nel fatto che – come già evidenziato dalla Suprema Corte, in relazione a procedimento connesso al presente – “l’interesse protetto dalla lettera dall’art. 44, lett. c) T.U.E. ha, ad un tempo, una natura urbanistica e culturale – ambientale, identificando, nella pienezza dei suoi attributi, l’oggetto sul quale va ad incidere la condotta trasgressiva, cioè il luogo di vita, di lavoro e di benessere psichico e fisico della collettività, vale a dire, l’habitat, con riguardo alla complessa personalità dell’abitante, secondo una ampiezza di concezione che corrisponde al contenuto prescrittivo degli strumenti urbanistici (Sez. 6, n. 6337 del 10/03/1994, Sorrentino, Rv. 198510).
Tant’è che la giurisprudenza successiva (Sez. 3, n. 10392 del 13/10/1997, Morano, Rv. 209415) non ha mancato di sottolineare come, nello specifico ambito dell’illecito lottizzatorio, la violazione del vincolo – integrante o meno una fattispecie penale incriminatrice concorrente con il reato di lottizzazione (sul concorso materiale di reati, v. Sez. 3, n. 9307 del 24/02/2011, Silvestro, Rv. 249763) – incida in modo rilevante non soltanto sull’assetto del territorio, ma sull’intero ambiente, nella misura in cui una tale trasgressione, pregiudicando l’interesse collettivo all’ordinato assetto territoriale, produce al tempo stesso un vulnus alle condizioni di vita della popolazione ivi residente, della quale altera le condizioni soggettive ed oggettive di vita.
Si tratta di concezioni, ormai del tutto pacifiche, che coniugano, al massimo livello, le norme penali urbanistiche con i beni di rilevanza costituzionale, legittimando anche la funzione anticipata di tutela affidata al diritto penale in tale nevralgico settore della vita della comunità, attraverso il preciso riconoscimento della valenza costituzionale attribuita al bene ambiente – territorio secondo una concezione dinamica del paesaggio (art. 9 comma secondo Cost.), la cui tutela esige perciò il controllo e la direzione degli interventi che, ricadendo sul territorio stesso, influiscono sul paesaggio che non può essere assolutamente confinato in forma statica, quale mera conservazione del visibile.
Logico corollario di tale impostazione è che, in considerazione dell’oggetto della tutela penale in relazione all’incriminazione ravvisata ed all’individuato pericolo, l’esigenza cautelare, di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., non richiede necessariamente un collegamento con un delitto contro la pubblica incolumità, essendo diverso il livello di tutela penale predisposto con le differenti incriminazioni (quelle cioè a protezione della incolumità pubblica e quelle a tutela dell’ambiente – territorio).
Sicché in presenza di un illecito lottizzatorio e di un pericolo concreto ed attuale per la collettività derivante dall’accertamento del reato urbanistico che, quanto alla lottizzazione, ha natura permanente e si segnala per essere progressivo nell’evento, il sequestro preventivo presenta connotati che lo inseriscono, nell’ambito processuale, negli istituti intesi ad evitare la probabilità del verificarsi di un evento antigiuridico in maniera da impedire che una cosa pertinente al reato possa essere utilizzata per estendere nel tempo od in intensità le conseguenze del reato stesso.
Va ricordato come le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare mediante il sequestro preventivo possano essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato medesimo, sicché le conseguenze antigiuridiche che il sequestro preventivo tende ad evitare si configurano come diverse ed ulteriori rispetto a quelle ordinarie della fattispecie criminosa già eventualmente realizzata in tutti i suoi elementi” (Sez. 3, n. 15960 del 29/01/2014, Pagherà e a., non massimata).
7. Il secondo motivo di ricorso è poi manifestamente infondato nella parte in cui sembrerebbe postulare che la mera possibilità di una futura riperimetrazione delle aree a rischio geologico conseguente alla realizzazione di opere di difesa valga di per sé ad escludere la configurabilità dell’illecito, la quale invece è conseguente alla verifica della sussistenza in atto di quella violazione; inammissibile se e in quanto invece inteso ad affermare che, nel caso di specie, le opere già realizzate consentano di ritenere insussistente la violazione, implicando tale tesi una valutazione di merito preclusa nella presente sede.
Va al riguardo ribadito che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, dovendosi comprendere in tale nozione sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, del 29/05/2008, n. 25932, Ivanov, Rv. 239692).
La questione posta dal motivo in esame attiene invece non alla valutazione del fumus nei ristretti limiti in cui è ammessa nella presente sede (ossia riferibilità della fattispecie considerata al reato ipotizzato), ma ad una più pregnante valutazione della ricorrenza in concreto di elementi tali da giustificare una prognosi di colpevolezza.
Tanto esclude che in questa sede possa accedersi alla verifica, prettamente di merito, dei postulati effetti sananti delle opere di salvaguardia già asseritamente poste in essere.
Può comunque rilevarsi che non si ricava da quanto esposto in ricorso una sicura e già operata riperimetrazione dell’area e una collocazione dei terreni in zona a rischio idrogeologico meno elevato. Le fonti normative richiamate prevedono bensì la possibilità di una riperimetrazione delle aree di rischio, ma questa non risulta essere stata effettuata, non potendosi essa ovviamente ritenersi implicita all’approvazione dei piani di lottizzazione.
Si consideri del resto al riguardo che, ai fini della pur consentita riperimetrazione, la richiamata delibera della G.R. del 30/11/2011 (n. 2616) significativamente avverte (pag. 22) che “la realizzazione di opere di difesa deve essere motivata prioritariamente dalla necessità di garantire la sicurezza degli insediamenti esistenti e non da quella di svincolare aree per nuova edificazione, in quanto un aumento del carico insediativo comporta comunque un conseguente aumento del rischio; – la mitigazione del rischio che si consegue con le opere non può essere assoluta, in quanto permarrà sempre presente una quota, per quanto limitata, di rischio residuo, dovuto all’aleatorietà intrinseca nel prevedere i fenomeni di dissesto e la loro evoluzione; – la durata e la funzionalità delle opere sono legate sia alle caratteristiche tecniche dei materiali utilizzati sia alla corretta e costante manutenzione; – le conseguenze del rischio residuo sull’incolumità delle persone e sull’integrità delle strutture sono funzione della tipologia del fenomeno e dell’intensità e alcatorietà con cui si manifesta; da questo punto di vista, in particolare, crolli in roccia, caduta sassi, trasporti in massa su versanti e lungo le conoidi alpine e valanghe rientrano tra le tipologie più delicate e problematiche da affrontare ed eventuali trasformazioni urbanistiche nelle aree svincolate dalla perimetrazione originaria a seguito della realizzazione di opere di difesa per queste tipologie di dissesto necessitano di cautele superiori rispetto a quelle per mitigazione di altri tipi di dissesto”.
8. È infine infondato anche il terzo motivo di ricorso.
La contestata statuizione con la quale il Tribunale del riesame ha disposto “l’immediato ripristino del vincolo cautelare” è, infatti, conforme al disposto dell’art. 325, comma 4, cod. proc. pen. a mente del quale “il ricorso [per cassazione] non sospende l’esecuzione della ordinanza”.
In tema di misure cautelari personali la Suprema Corte ha avuto modo di affermare, più volte, il principio secondo cui “l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame, a seguito di annullamento con rinvio disposto, su ricorso del P.M., dalla Corte di Cassazione, confermi l’originaria ordinanza di custodia cautelare che in un primo tempo, in accoglimento della richiesta di riesame, era stata annullata dal medesimo tribunale, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia, anche in caso di nuova proposizione di ricorso per Cassazione, non estendendosi, per analogia, a tale ipotesi l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310 c.p.p., comma 3, ed operando invece la regola generale di cui all’art. 588 c.p.p., comma 2, secondo cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno effetto sospensivo” (Sez. 5, n. 39029 del 16/09/2008, Bruni, Rv. 242316; v. anche Sez. 6, n. 20479 del 12/05/2005, Laagoub, Rv. 232264).
Tale principio fa riferimento alla norma di cui all’art. 588, comma 2, cod. proc. pen., del tutto analoga a quella di cui all’art. 325, comma 4, cod. proc. pen. in tema di misure cautelari reali.
Alle medesime conclusioni deve pertanto pervenirsi anche in relazione a quest’ultimo ambito, considerato l’evidente parallelismo, almeno per l’aspetto in considerazione, tra le due discipline.
9. Entrambi i ricorsi, in definitiva, vanno rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
atamente alla determinazione della pena.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.F. e, limitatamente alla determinazione della pena, nei confronti di M.L. , con rinvio al Tribunale di L’Aquila.
Rigetta nel resto il ricorso di M.L. .
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