Retratto successorio: la prelazione legale
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L’istituto del retratto successorio, previsto dal codice civile all’art. 732, si inserisce nell’ambito delle disposizioni generali che regolano la divisione ereditaria (libro II, titolo IV, capo I).
La ratio del retratto successorio è quella di favorire, nel caso di alienazione di una quota di eredità, tra i possibili acquirenti uno dei coeredi. Ad esso l’ordinamento garantisce, non solo il diritto di prelazione sull’acquisto della quota alienanda, ma anche il diritto riscattare la quota sostituendosi al terzo acquirente.
Il legislatore ha voluto quindi agevolare la permanenza della titolarità delle quote a persone aventi legami affettivi, concedendo loro il diritto potestativo di escludere il terzo, pagandogli il corrispettivo dallo stesso già versato per l’acquisto della proprietà della quota alienata da uno dei coeredi.
A) Per alcuni autori[1], in virtù anche della relazione al codice – per la convenienza di evitare che, nei rapporti fra coeredi, il più delle volte legati da vincoli familiari, s’intromettano soggetti estranei, spinti dall’interesse di sfruttare il fine speculativo perseguito con l’acquisto della quota.
Questo fondamento non è stato condiviso da parte della dottrina[2] perché esso trova applicazione anche per la comunione originata da successione testamentaria con eredi estranei.
B) Per altra dottrina[3] – la norma mira a favorire la concentrazione dei beni, oggetto della comunione ereditaria, nelle mani di pochi soggetti al fine di agevolare il corretto svolgimento delle operazioni divisorie ad evitare che esse avvengano tra persone diverse dagli istituiti e quindi tra persone non chiamate a succedere
Orbene è importante sottolineare già che l’alienazione deve avvenire a favore di un estraneo se, invece, avviene a favore di un coerede non è applicabile l’art. 732[4] c.c.
ALIENAZIONE DELL’ESITO DIVISIONALE
Il retratto successorio opera solo nel caso di alienazione della quota ereditaria (o di parte di essa intesa come porzione del patrimonio del defunto) e non anche nel caso di alienazione di determinati beni ereditari qualora essi siano stati assegnati all’alienante con la divisione (cd. vendita dell’esito divisionale che ricorre quando il coerede vende al terzo un bene determinato sotto condizione che gli venga assegnato nella futura divisione, o anche attraverso la figura della vendita di cosa parzialmente altrui, si tratta in entrambi i casi, di un negozio diverso dalla vendita di eredità avente natura commutativa e non aleatoria, relativamente al quale sarà ammissibile l’azione di rescissione, non sarà sempre necessaria la forma scritta, il compratore non sarà responsabile per i debiti ereditari): è evidente, infatti che per la retroattività della divisione, (art.757 c.c.) il coerede si considera come titolare di quel bene sin dall’apertura della successione e quindi manca il presupposto previsto dalla legge della permanenza della comunione ereditaria.
Recentemente la Seconda Sezione Civile, rielaborando le principali tappe della giurisprudenza sull’argomento e prendendo le distanze dalle (risalenti e limitate) pronunce in senso opposto, ha stabilito che l’alienazione, da parte di un coerede, dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni della comunione ereditaria, non fa subentrare l’acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti l’intenzione delle parti di trasferire l’intera quota spettante all’alienante.
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 737 del 19 gennaio 2012
Con un’ultima pronuncia di merito[5], infatti, è stato stabilito che quando l’alienazione non ha ad oggetto una quota dell’eredità, bensì la quota di un bene determinato (nella specie in considerazione la quota di un appartamento), i coeredi, in caso di vendita ad estranei, non possono esercitare sul bene compravenduto il diritto di prelazione.
Infatti, il diritto di prelazione o riscatto trova applicazione solo in caso di alienazione, sebbene anche parziale, della quota ereditaria intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti e tale ipotesi non ricorre nel caso in cui il coerede alieni interamente o pro quota un bene ereditario determinato.
Ancora sul punto è intervenuta la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 11 settembre 2017, n. 21050
riaffermando che il diritto di prelazione e di riscatto previsto dall’art. 732 cod. civ. a favore del coerede dell’alienante sussiste soltanto in ipotesi di alienazione, sia pure parziale, della quota ereditaria (intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti), che implica, per la sua efficacia reale, l’ingresso dell’estraneo nella comunione ereditaria che la norma citata tende ad impedire. Diversamente, in ipotesi di alienazione integrale, o pro quota, uno o più beni specificamente determinati, e si accerti che i contraenti non intesero sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria e che l’oggetto del contratto fu considerato come cosa a sé stante, l’alienazione ha effetti puramente obbligatori, rimanendo subordinata alla condizione dell’assegnazione con la divisione del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo, e pertanto non può produrre il pregiudizio che la prelazione ex art. 732 cod. civ. vuole evitare.
Nella medesima sentenza è stato anche precisato,ed è opportuno già riportarlo, che quando oggetto di trasferimento a titolo oneroso da uno o più coeredi è una quota di fondo rustico indiviso, si deve fare riferimento alla disciplina dettata dalla legge n. 590 del 1965, all’art. 8.
In coerenza con la ratio storica dello sviluppo della proprietà coltivatrice – si continua a leggere nella sentenza in commento – il legislatore ha riconosciuto il diritto di prelazione a favore degli altri comproprietari del fondo indiviso in costanza di comunione ereditaria solo nelle situazioni indicate nei commi 3 e 12. Il comma 3 riconosce la prelazione a favore degli altri componenti della ‘famiglia coltivatrice’, in presenza di specifici ulteriori requisiti. Il comma 12 (ultimo comma) riconosce la prelazione a favore dei coeredi del venditore se coltivatori diretti, i quali sono perfino preferiti ai soggetti di cui all’art. 8, primo comma, stessa legge, vale a dire a coloro i quali a vario titolo (affitto, colonia, mezzadria, compartecipazione), siano stati e risultino tuttora conduttori di quel fondo.
Risulta chiaro secondo la Cassazione, peraltro, che la limitazione all’autonomia negoziale, che è il portato della prelazione a favore del coerede, prevista sia dal comma 3 sia dall’ultimo comma dell’art. 8 citato, si giustifica avuto riguardo al rapporto tra coerede e terzo estraneo alla comunione ereditaria risultando priva di giustificazione se applicata all’interno della comunione ereditaria.
Come ribadito anche in tempi recenti dalla medesima Corte regolatrice (Cass. 07/11/2013, n. 25052; in precedenza, tra le molte, Cass, 06/12/2007, n. 25460), l’art. 8, comma 12, deve essere interpretato nel senso che:
a) il trasferimento a titolo oneroso di quota indivisa di un fondo rustico in comunione non comporta prelazione agraria a favore dei comproprietari del fondo, ove non risulti che siano oltre che coeredi del venditore anche coltivatori diretti;
b) il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall’art. 732 cod. civ., prevale sul diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo, mezzadro, colono o compartecipante, ove anche il coerede sia coltivatore diretto;
c) il diritto di prelazione tra coeredi, previsto dall’art. 732 cod. civ. per la durata della comunione ereditaria, integra un diritto personalissimo, non trasmissibile, contemplato in deroga al principio generale della libertà e autonomia negoziale e della libera circolazione dei beni al solo fine di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni in capo ai primi successori.
In conclusione e con riferimento allo specifico caso in esame, è stato affaremato che all’interno della comunione ereditaria ciascuno dei coeredi è libero di trasferire la propria quota di fondo rustico all’uno o all’altro coerede, non essendo applicabili tra i coeredi le limitazioni all’autonomia negoziale che discendono dalla prelazione riconosciuta dall’art. 8, ultimo comma, legge n. 590 del 1965 a favore del coerede coltivatore diretto.
Tuttavia,tornando al retratto successorio è, però, sempre opportuno verificare a livello interpretativo la vera intenzione dei contraenti indagando se abbiano inteso effettivamente sostituire al coerede un terzo estraneo alla comunione ereditaria avendo riguardo a tal fine alla volontà delle parti, allo scopo perseguito, all’eventuale trasmissione immediata del possesso, alla consistenza del patrimonio ereditario e al raffronto tra tale patrimonio e l’entità delle cose vendute.
Ai fini interpretativi, ad esempio secondo il Tribunale Felsineo[6], non è di ostacolo all’esercizio del retratto successorio l’indicazione di un bene singolarmente individuato nel contratto di vendita, ove, però, dalla volontà delle parti, dallo scopo perseguito, dalla consistenza del patrimonio ereditario, si ritenga che i contraenti abbiano intesto sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria. A nulla rileva, in senso contrario, l’eventuale circostanza che il terzo possa essere una società a responsabilità limitata operante nel settore immobiliare e dedita alla costruzione e vendita di alloggi.
Per la Corte di Legittimità[7] se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell’unico cespite ereditario, si presume l’alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio, salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed instrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l’entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, che, invece, la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante.
Quest’ultimo principio è stato pienamente ripreso da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 novembre 2015, n. 23925
Nuovamente sul punto è ritornata la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 maggio 2016, n. 8692
riaffermando i seguenti principi:
I diritti di prelazione e di riscatto previsti dall’art. 732 c.c. in favore del coerede postulano che l’alienazione posta in essere da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di essa), intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e vanno pertanto esclusi quando risulti che i contraenti non abbiano inteso sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria e che l’oggetto del contratto sia stato considerato come cosa a sé stante, e non come quota del patrimonio ereditario o parametro per individuare la quota di detto patrimonio in quanto tale: in tal caso, data la mancanza nel coerede della titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul singolo bene, l’efficacia della alienazione, con effetti puramente obbligatori, resta subordinata alla condizione della assegnazione, a seguito della divisione, del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo e quindi non può sorgere il pregiudizio (intromissione di estranei nella comunione ereditaria) che la norma in questione vuole evitare (Cass. 2 agosto 1990, n. 7749; Cass. 18 marzo 2002, n. 3945; Cass. 14 giugno 2002, n. 8571; Cass. 4 aprile 2003, n. 5320; nel senso che tale principio trova applicazione anche nel caso in cui sia alienata la quota indivisa di un bene ereditario: Cass. 22 gennaio 1985, n. 246; Cass. 15 giugno 1988, n. 4092).
Se, però, l’erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell’unico cespite ereditario, si presume l’alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell’universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio (art. 732 c.c.), salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed instrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l’entità dei beni venduti) con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo che, invece, la vendita aveva ad oggetto un bene a sé stante.
Inoltre è opportuno indicare altra massima della S.C.[8] secondo la quale l’indagine del giudice di merito diretta ad accertare se la vendita abbia per oggetto la quota ereditaria (o una sua frazione) ovvero beni determinati, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, e’ incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici.
art. 732 c.c. diritto di prelazione: il coerede, che vuole alienare (c.c.1542 e seguenti) a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine(c.c.2964) di due mesi dall’ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria (c.c.1502).
Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.
Il legislatore ha qui configurato un caso di prelazione reale, cioè opponibile erga omnes, anziché l’ordinaria ipotesi di prelazione obbligatoria che ha valore, come tutti i rapporti obbligatori, solo tra le parti.
La diversità di disciplina è notevole, perché nel caso di specie i coeredi possono da un lato agire contro il coerede per il risarcimento del danno ma dall’altro sostituirsi ex tunc al terzo acquirente nell’acquisto della quota ereditaria al prezzo pagato e non l’effettivo valore di mercato (anche se rispetto a tale ultimo inciso si potrebbero dar vita a vendite simulate al fine di ottenere una maggiore plusvalenza rispetto al reale valore), mentre se si fosse trattato di prelazione obbligatoria essi avrebbero solo potuto agire contro il coerede alienante per il risarcimento del danno.
In sostanza, in virtù di una massima datata della S.C.[9], qualora un coerede abbia alienato ad un estraneo la totalità o parte della sua quota e non abbia notificato agli altri coeredi la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, ossia non li abbia posti in condizione di esercitare il diritto di riscatto loro attribuito dall’art. 732 c.c., il negozio concluso è perfettamente valido tra le parti ma i coeredi, non notiziati della alienazione, sono ammessi all’esercizio del riscatto verso il terzo acquirente e suoi aventi causa. Il diritto di riscatto è attribuito singolarmente a ciascun coerede e, pertanto, il rapporto processuale conseguente all’esercizio di tale diritto si instaura esclusivamente tra il riscattante ed il terzo acquirente e l’accoglimento della domanda importa l’acquisto della quota o parte di quota alienata esclusivamente in favore del coerede riscattante, onde non è necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi.
Caratteristiche della prelazione ereditaria
REALITA’
Si applica una prelazione legale con caratteri di REALITA’ nel senso che come nelle altre prelazioni legali[10] (prelazione agraria del colono e del confinante; prelazione commerciale; prelazione dallo Stato nella vendita di immobili di interesse storico o artistico, etc) è assistita dal DIRITTO di RISCATTO nei confronti del terzo acquirente (estraneo alla vicenda successoria) o dei suoi aventi causa.
Si differenzia dalla prelazione volontaria (o convenzionale) che attribuisce ad un soggetto il diritto di essere preferito nell’acquisto di un bene, a parità di prezzo offerto da altri soggetti: infatti, tale prelazione, in caso di inadempimento (che si realizza con la vendita al terzo senza notificare la proposta di alienazione al soggetto titolare della prelazione) dà luogo soltanto a risarcimento danni e non al diritto di riscatto verso il terzo acquirente (o suoi aventi causa).
Inapplicabilità alla comunione ordinaria
È applicabile solo nella COMUNIONE EREDITARIA e non anche nella comunione ORDINARIA in cui può avere soltanto VALENZA OBBLIGATORIA (senza il diritto di riscatto): la ratio può essere ricercata nella tutela da parte del legislatore della presunta volontà del de cuius di mantenere il suo patrimonio nella titolarità dei suoi eredi fino al momento della divisione; è preferibile[11] ritenere che l’inapplicabilità è dovuta dal fatto che la previsione codicistica limita la libera disponibilità del diritto di proprietà e non può perciò applicarsi fuori dai casi espressamente previsti.
Infatti secondo la S.C.[12], il retratto successorio, avendo la finalità di impedire l’intromissione di estranei nello stato di indivisione determinato dall’apertura della successione mortis causa, si applica soltanto alle comunioni ereditarie, atteso che l’art.732 c.c., derogando al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione fuori dei casi espressamente previsti ed in particolare alla situazione di comunione ordinaria fra alcuni condividendi creatosi a seguito della divisione per la congiunta attribuzione ad essi di un bene. D’altra parte, tenuto conto che in materia di comunione ordinaria vige il principio secondo cui, ai sensi dell’art. 1103 c.c.[13], ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota, l’art. 732 c.c. non potrebbe operare in virtù del rinvio di cui all’art. 1116 c.c., che estende alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria, essendo escluse dall’estensione le norme incompatibili con quelle tipiche della comunione ordinaria.
Le 2 fasi del retratto
A) Il diritto di prelazione– che deve essere esercitato nel termine breve di 2 mesi; il diritto di prelazione come un Diritto di credito. Il diritto di prelazione è un diritto di credito del coerede nei confronti degli altri coeredi ad un facere qualificato rappresentato dalla proposta di alienazione. La sua particolarità è che trattasi di diritto di credito assistito dal diritto di riscatto, ossia da una sorta di diritto di sequela della quota ereditaria.
B) Il diritto di riscatto– che deve essere esercitato fino a quando dura lo stato di comunione. Pur non volendo essere ripetitivo, ha la funzione di salvaguardare gli interessi dei coeredi, essendo stati lesi dalla cessione della quota da parte del coerede ad un terzo senza la preventiva comunicazione, quindi, non avendo potuto esercitare il diritto di prelazione, attribuendogli il potere di riscattare la quota dell’acquirente.
In tema è bene riportare anche una massima della S.C.[14] secondo la quale il retratto riconosce ai partecipanti ad una comunione ereditaria due distinti diritti, lo «ius prelationis» — in base al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa voglia alienare la propria quota a titolo oneroso, deve notificare agli altri la relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza accordata, sì che non può concludere con terzi il contratto traslativo prima del decorso del periodo normativamente previsto —, e lo «ius retractionis» — esercitabile dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria nel caso che sia stato violato il diritto di prelazione, per mancato compimento della predetta notifica della proposta di alienazione ovvero per essere stato ignorato l’esercizio positivo di tale diritto . Si tratta, pertanto, di diritti collegati ma distinti, aventi contenuto diverso e soggetti passivi differenti, ognuno dei quali da considerarsi «terzo» rispetto al rapporto cui non partecipa, con conseguente esclusione della qualità di litisconsorte necessario dell’alienante nei giudizi di riscatto.
Inammissibilità del riscatto parziale
La dottrina e la giurisprudenza escludono il riscatto parziale, perché altrimenti mancherebbe la parità di condizioni fra il terzo acquirente e il riscattante, il quale s’inserisce nello stesso contesto del contratto di alienazione, per il fenomeno di surrogazione.
Per la Cassazione[15] poichè l’esercizio del retratto successorio comporta la sostituzione all’acquirente del coerede che lo abbia esercitato, non è consentito a costui il riscatto parziale non essendo permesso a quest’ultimo di modificare il contenuto della compravendita, né di ledere il diritto dell’acquirente del bene riscattato, con il porlo nella condizione di conservare la proprietà di una parte del bene stesso, ancorchè a tale residuo egli non abbia interesse.
La sentenza del ‘57’
A tal uopo risulta opportuno – a parere di chi scrive – riportare la massima della sentenza del 57’ della Corte di Legittimità[16] la quale è stata di sicuro una pietra miliare ai fini interpretativi dell’istituto del retratto successorio alla quale poi si sono – per la maggior parte – allineate le successive sentenze dalla medesima Corte.
A mente della sentenza menzionata, la notificazione prescritta dall’art. 732 c.c. si concreta, in sostanza, in una proposta di alienazione della quota (o di parte della quota) a determinate condizioni che sono quelle che il terzo è disposto ad accettare per subentrare al coerede alienante nella comunione ereditaria; e poiché la funzione attribuita dalla legge a tale comunicazione consiste esclusivamente nel mettere il coerede in grado di esercitare, se lo ritenga opportuno, il diritto di prelazione che gli compete, e non già nel dare adito ad una fase di trattative, ne consegue che il destinatario non ha che la scelta fra l’accettazione della proposta ed il suo rifiuto. Il diritto di prelazione attribuito ai coeredi ha luogo soltanto in caso di alienazione della quota ereditaria o di parte di questa e non quando sia stato alienato un bene determinato. Il solo fatto che l’alienazione abbia avuto per oggetto una cosa singolarmente individuata non è peraltro di ostacolo all’esercizio del retratto successorio, purché risulti che i contraenti abbiano avuto l’intenzione di sostituire il terzo al coerede nella comunione ereditaria e, conseguentemente, abbiano considerato la cosa in funzione di entità rappresentativa della quota o di parte di questa, e cioè come misura della partecipazione dell’acquirente alla comunione ereditaria. Lo stabilire se la cosa che figura come oggetto del contratto sia stata considerata dalle parti in assoluto, quale bene a sé stante, oppure in quanto espressione di un rapporto (quota) con il patrimonio ereditario, visto nel suo complesso di rapporti attivi e passivi, costituisce un apprezzamento di fatto sull’effettiva volontà delle parti, insindacabile in cassazione, quando l’indagine sia immune da vizi logici e giuridici. Ai fini della predetta indagine il giudice si deve valere di tutti gli elementi di giudizio che la fattispecie concreta presenta, considerando quelli che sono gli indici più sintomatici in materia che vanno desunti dal tenore dell’atto, dal comportamento complessivo delle parti, dallo scopo pratico da loro perseguito e dalla consistenza del patrimonio ereditario. L’elemento costituito dal valore e dall’importanza del bene oggetto dell’alienazione, anche se considerato in rapporto alla consistenza del complesso ereditario, non ha carattere decisivo, perché mentre da un lato può avvenire che al di sotto della apparente alienazione di una cosa determinata di valore modesto si abbia una vera e propria alienazione di quota ereditaria o di parte di questa, dall’altro lato può viceversa accadere che si alieni un cespite ereditario di grande valore senza che si voglia con ciò disporre della quota.
2) LA PROPOSTA DI ALIENAZIONE (o denuntiatio) obbligo a carico del coerede alienante
La proposta di alienazione deve contenere tutti gli elementi necessari per consentire al titolare della prelazione di valutare la convenienza di accettarla o meno (indicazione sia del prezzo pattuito col terzo, sia delle generalità del terzo, etc.).
Per la S.C.[17] l’art.732 c.c., che fa obbligo di notificare al coerede la proposta di alienzione della quota ereditaria, al fine di consentirgli di esercitare il diritto di prelazione, prevede che l’accettazione di essa da parte del suo destinatario determini, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà, il formarsi dell’accordo negoziale e, quindi la conclusione del contratto di compravendita; detta proposta, pertanto, deve assumere gli estremi di una vera e propria proposta contrattuale, così come delineata dall’art. 1326 c.c., e, nel caso in cui la quota ereditaria comprenda beni immobili, deve, per poter produrre i suoi effetti, essere fatta per iscritto.
Principio espresso anche da ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 26 novembre 2012, n. 20884
Quindi, in generale, deve rivestire a pena di nullità la forma scritta allorché l’oggetto della suddetta quota sia costituito in tutto o in parte da beni immobili.
In realtà secondo un’altra interpretazione della Corte di Cassazione[18] il diritto di prelazione nei rapporti fra coeredi per la durata dello stato di comunione ereditaria, e riconducibile allo schema normativo della proposta irrevocabile di cui all’art. 1329 [19]c.c., in quanto la proposta di alienazione che il coerede, che intenda alienare a terzi la propria quota indivisa dei beni ereditari, deve notificare agli altri coeredi è irrevocabile per il periodo legale di due mesi, durante il quale i coeredi destinatari della proposta medesima hanno il diritto di accettarla.
I coeredi destinatari possono accettare o rifiutare, ma non possono pretendere di dare inizio ad una fase di trattative, dato che la funzione della notifica consiste solo nel metterli in grado di esercitare, attraverso l’accettazione, il diritto di prelazione che loro compete.
In breve: o prendere o lasciare.
Normalmente, anche ai fini di evitare eccezioni di lacunosità della proposta, si notifica al coerede il contratto preliminare di vendita sottoscritto col terzo, con l’avvertenza che la prelazione va esercitata, pena la decadenza dal diritto, entro due mesi dalla notifica.
Non è pleonastico riportare una pronuncia della Corte di Legittimità[20] secondo la quale il patto di prelazione relativo alla vendita d’immobile non impegna il promittente a concludere il contratto, ma solo a preferire caeteris paribus il promissario se si deciderà a compierlo. Ne consegue che, in caso di inadempimento del promittente, il patto di prelazione ne comporta unicamente la responsabilità per danni non essendo suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in quanto il bene oggetto della pattuita prelazione non può essere né trasferito al promissario dal disponente che lo ha oramai alienato, né restituito dal terzo acquirente che non è soggetto al riscatto, previsto soltanto per le prelazioni reali.
In dottrina è discusso se la proposta di alienazione debba essere fatta in forma scritta.
È preferibile la tesi positiva
1) sia perché l’alienazione di quota s’inserisce nello schema della vendita di eredità, la quale richiede l’atto scritto a pena di nullità,
2) sia perché il legislatore parla di notifica che non può essere fatta verbalmente e
3) sia perché sul piano pratico l’esigenza di certezza può essere appagata solo dalla forma scritta.
Un altro problema sorto in dottrina è quello della valenza della proposta di alienazione:
A) secondo la dottrina prevalente la comunicazione ai coeredi della proposta contrattuale ricevuta dal terzo implica:
1 – volontà del coerede di voler effettivamente alienare;
2 – interpello del coerede circa l’accettazione o meno della proposta contrattuale: dopo la notifica il coerede entro due mesi deve decidere se accettare o meno la proposta (art.732 c.c.).
B) secondo altra parte della dottrina[21], bisognerebbe far distinzione fra l’ipotesi della vera e propria notifica della proposta (caso sub 1) e l’ipotesi di una semplice denuntiatio (Capozzi parla di proposta di alienazione (caso sub 1) – quando si tratta di una volontà di alienare – mentre di denuntiatio (caso sub 2) – comunicazione da parte del coerede del suo presupposto di alienare) che sarebbe la comunicazione ai coeredi del proposito di alienare la propria quota ad un terzo ad un certo prezzo: qualora i coeredi esercitino la prelazione, il contratto non è concluso perché la denuntiatio non avrebbe la valenza di vera e propria proposta contrattuale, ma solo quella di una sorta di indagine (un sondaggio) circa la volontà dei coeredi di acquistare o meno; pertanto il proponente potrebbe rifiutarsi di vendere ai coeredi.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza della Cassazione ritengono che il diritto di prelazione ex 732 c.c. spetti soltanto ai primi chiamati all’eredità (cd. eredi storici): non spetterebbe pertanto agli eredi o agli aventi causa dagli eredi storici (esempio ai donatari di una quota ereditaria).
Inoltre secondo una sentenza della Corte di legittimità[22] è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 732 c.c., prospettata in riferimento agli artt. 29, 30 e 31 Cost., nella parte in cui consente al coerede di esperire il retratto successorio anche nei confronti dell’erede del coerede. La finalità del diritto di prelazione e di retratto, infatti, è quella di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, facilitando la formazione delle porzioni ed impedendo che nei rapporti tra coeredi si inseriscano estranei, tali dovendosi ritenere quelli che non sono compartecipi della comunione ereditaria; è pertanto da escludere che l’art. 732 c.c. abbia tra le sue finalità quella di tutelare la famiglia come intesa dai citati parametri costituzionali.
Parimenti, va rilevato che la prelazione spetti solo relativamente all’alienazione onerosa (la legge dice ”a parità di prezzo”) e non rispetto alla donazione[23], ad una permuta[24] (qualora non sia fungibile) o ad una transazione (negli ultimi due casi per l’infungibilità – in quanto la prestazione non può essere eseguita da ogni soggetto – della prestazione corrispettiva).
Va rilevata una recente tendenza in materia di cessioni di quota di Srl e Spa a prevedere la prelazione anche in caso di donazioni di quote (prelazione atipica finalizzata a scoraggiare donazioni simulate che dissimulano vere e proprie vendite).
La Corte di Cassazione[25] ha, anche, specificato che le previsioni in merito al diritto di prelazione e al retratto successorio, nel caso di acquisto di quota indivisa di eredità, non sono applicabili al coniuge in regime di comunione legale, atteso che in capo a questo si determina unicamente un acquisto ex lege della quota indivisa di eredità. Per esercitare il retratto successorio, infatti, è necessario che il coerede alieni “volontariamente” la propria quota a soggetti estranei.
Inoltre[26] qualora poi l’acquisto da parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale di una quota ereditaria in violazione del diritto di prelazione spettante ai coeredi si estende “ipso iure” all’altro coniuge e, conseguentemente, l’azione di riscatto esercitata dai coeredi, comportando il trasferimento “ex nunc” della quota dal ritrattato al retraente, deve essere proposta nei confronti di entrambi i coniugi, sussistendo tra questi litisconsorzio necessario ex art. 102, c.p.c.
Per quanto riguarda, invece, il fallimento, l’organo fallimentare può consentire ai coeredi di esercitare la prelazione solo se lo ritiene utile per la procedura e non resti sacrificato l’interesse alla rapidità e concentrazione delle operazioni liquidatorie, rilevando, poi, che la preclusione non arreca alcun pregiudizio al coerede indiviso non essendo pregiudicato il suo diritto di recuperare la quota mediante l’esercizio del riscatto.
E’ consolidato orientamento della Corte di Cassazione[27] – ripetutamente, espresso in tema di prelazione urbana[28] – che lo ius prelationis non trovi applicazione quando gli atti di alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del proprietario. Anche la prelazione ereditaria – che il legislatore riconosce al coerede con l’intento di impedire l’ingresso di un estraneo nella comunione ereditaria – presuppone la volontarietà dell’alienazione come si evince dalla formula adottata dal legislatore (“il coerede che vuole alienare la sua quota o parte di essa”) dello stesso tenore di quella dell’art. 38 l. 392/78 (“il locatore che intende trasferire a titolo oneroso l’immobile locato”).
In virtù di una massima della Corte di Piazza Cavour[29], in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, il diritto di prelazione spettante al conduttore a norma dell’art. 38 della legge 27 luglio 1978 n. 392 non trova applicazione nel caso previsto dall’art. 732 c.c. e, quindi, anche qualora il coerede alieni la sua quota a persona estranea alla comunione ereditaria, stante il tenore letterale dell’art. 38 citato e tenuto conto dell’esigenza di garantire al comproprietario di altra quota ereditaria la possibilità di esercitare – nei confronti del terzo acquirente – il retratto successorio, diritto, quest’ultimo, che può essere esercitato dal quotista “finché dura lo stato di comunione ereditaria, mentre il conduttore può esercitare il diritto di riscatto entro il termine di sei mesi.
Per la S.C.[30], inoltre, nel caso in cui sia venduta la quota – o una sua frazione aritmetica – di un fondo tuttora indiviso, facente parte di una comunione ereditaria, il diritto di prelazione del coerede prevale sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante, previsto dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965, sia che l’asse ereditario sia costituito soltanto da quel fondo sia che l’asse consista di altri cespiti; prevale, invece, il diritto di prelazione previsto dal citato art. 8 qualora oggetto del trasferimento sia un fondo o una quota di esso considerati nella loro determinata individualità, secondo l’incensurabile apprezzamento del giudice di merito, il quale ritenga, cioè, che con l’atto di cessione non si è operata la sostituzione del terzo acquirente al venditore nella quota o frazione di quota ereditaria a questi spettante; nel secondo caso, peraltro, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 8, il coerede coltivatore diretto, “a preferenza” degli altri coeredi non coltivatori diretti, può esercitare il diritto di prelazione “a precedenza” rispetto a quello spettante all’affittuario, mezzadro, colono, compartecipante, quale coltivatore insediato nel fondo.
Mentre, sempre per la medesima Corte[31], nel caso in cui sia oggetto di trasferimento a titolo oneroso una quota di fondo rustico, condotto in affitto da un coltivatore diretto che, contemporaneamente, sia anche coerede con l’alienante di quel fondo, il diritto di prelazione previsto in suo favore dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 concorre, senza escluderlo, con il diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c.; ne consegue che il titolare ben può esercitare in giudizio i due diritti di prelazione, l’uno in via principale e l’altro in via subordinata, senza che la proposizione dell’uno implichi rinuncia all’altro.
In materia di ordinamento dei masi chiusi[32], la possibilità per il comproprietario che lavora il maso di esercitare il diritto di prelazione, secondo quanto previsto dal comma primo dell’art. 30/c del d.P.G.P. n. 32 del 1978 nell’ipotesi di comproprietà del maso chiuso per la vendita di singole quote e di assegnazione in via di divisione – e, dunque, in caso sia di comunione ordinaria, che di comunione ereditaria – non può essere estesa alla diversa fattispecie disciplinata dal quarto comma dello stesso art. 30/c, il quale, nell’ipotesi in cui nessuno dei comproprietari abbia i requisiti previsti o l’avente diritto non intenda esercitare il diritto di prelazione, richiama l’art. 732 c.c. e, quindi, l’esistenza di una comunione ereditaria ovvero di un rapporto tra coeredi che giustifichi, anche in assenza del requisito da parte di costoro della lavorazione del maso, un regime di favore per la persistenza e l’eventuale concentrazione della proprietà del maso nell’ambito dei successori del “de cuius“, così da tutelare in tali limiti il principio della connessione dell’azienda agricola costituita in maso con l’originaria compagine familiare che ne è alla base.
È stato proposto in giurisprudenza il quesito se anche la datio in solutum rientri nel concetto di alienazione previsto dal retratto successorio, se cioè, spetti al coerede il diritto di essere preferito anche qualora l’altro coerede, dia come prestazione il luogo di adempimento, la quota ereditaria.
Alla tesi positiva della Cassazione[33] è stato obiettato[34] che nel caso in esame, manca la parità di condizioni fra terzo acquirente e coerede, che è alla base di ogni tipo di prelazione.
Si discute se si applichi la previsione della prelazione reale nel caso di vendita della quota ideale ereditaria (es. 1/5) vantata da uno dei coeredi su un singolo bene immobile ereditario facente parte di una MASSA COMUNE EREDITARIA che comprende vari beni mobili e immobili) a favore di un soggetto estraneo:
– secondo alcuni Autori la prelazione spetta comunque ai coeredi (così anche nella pratica);
– secondo la giurisprudenza costante la prelazione spetterebbe solo nel caso di alienazione della quota di eredità (e non nel caso della quota su singoli beni).
3) Accettazione del coerede
È questo il mezzo attraverso il quale il coerede esercita il suo diritto di prelazione.
Non è altro che l’accettazione di una proposta contrattuale alla quale si applicheranno tutte le norme relative a questo istituto e, in particolare, l’art. 1335 c.c., per cui, quando essa giungerà all’indirizzo del coerede proponente, il negozio di alienazione sarà perfezionato.
art. 1335 c.c. presunzione di conoscenza: la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
La presunzione di conoscenza si applica per tutte le dichiarazioni recettizie, che si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Per il sistema tradizionale: principio della cognizione: la conoscenza conseguente si presume iuris tantum e la prova contraria deve essere data dal destinatario e deve prescindere dalla sua colpa. [a differenza del sistema della spedizione (il contratto si perfeziona al momento in cui il proponente spedisce la dichiarazione) troppo favorevole al proponente – ed al sistema della ricezione (il contratto è concluso al momento in cui la dichiarazione del proponente perviene all’accettante) sfavorevole per il proponente].
Ma la possibilità di conoscere non può essere valutata in termini soggettivi con riguardo alla condizione del destinatario.
Inoltre se la conoscenza è legata alla ricezione nella sfera personale, il destinatario può approfittare della presunzione per ritenere concluso un contratto vantaggioso a prescindere dall’effettiva conoscenza che egli abbia avuto della proposta.
Per un autore[35] – teoria adottata dal nostro codice: principio della conoscibilità: in verità la dichiarazione è efficace quando entra in termini oggettivi nella sfera di conoscibilità del destinatario, quando, cioè, egli è posto in condizione di conoscerla.
Un’attenta dottrina[36] ha posto in evidenza che sia la recezione personale e sia quella oggettiva non hanno senso quando i contraenti sono presenti.
In effetti la regola posta dall’art. 1335 vale solo per le c.d. dichiarazioni incorporate, cioè racchiuse in un documento, e solo se le dichiarazioni sono scambiate tra persone lontane.
L’accettazione deve pervenire nel termine di decadenza di 2 mesi dalla notificazione della proposta e, qualora si tratti di più coeredi, dall’ultima delle notificazioni.
Per una sentenza della S.C.[37] la dichiarazione recettizia di riscatto produce i suoi effetti reali nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario senza necessità di un atto di retrocessione ed anche se non sia stato contestualmente pagato il prezzo (e le eventuali spese), la cui obbligazione, non essendo in funzione casuale al retratto, (al quale è inapplicabile la decadenza prevista dall’art. 1503 c.c., che si riferisce al riscatto convenzionale), può anche essere eseguita in un momento successivo a quello in cui viene resa la dichiarazione di riscatto.
4) Effetti della mancata denuntiatio
L’alienazione a terzi della quota ereditaria, senza la preventiva notifica della proposta di alienazione NON E’ NULLA (per illiceità della causa – l’alienazione, perciò, è valida e produce i suoi effetti nei confronti sia dell’alienante che dell’acquirente, fino a quando gli altri condividenti non esercitano il riscatto) ma dà luogo al nascere nei coeredi del diritto di riscatto (una sorta di riparazione alla lesione del diritto di prelazione).
Effetti – determina una sorta di surrogazione soggettiva, perché il retrante prende il posto di colui che ha acquistato la quota ereditaria dal coerede.
Per di più[38] l’accoglimento della domanda di retratto successorio, che, con effetto retroattivo, toglie causa alle attribuzioni patrimoniali del contratto, comporta, per effetto naturale del suo carattere restitutorio, che il retrattato ha diritto ad ottenere, anche se non li ha richiesti, gli interessi legali (art. 1282 c.c.) sul prezzo – debito di valuta – che il retraente deve corrispondergli; pertanto non è domanda nuova quella formulata dal retrattato, per la prima volta in appello (art. 345 c.p.c.), per la corresponsione di tali interessi.
Il diritto di riscatto è un diritto potestativo del coerede che si può esercitare:
1) a mezzo di una vera e propria azione giudiziaria di riscattonella quale vengono accertati i presupposti del diritto al riscatto e che si conclude con la sentenza di riscatto (che ha valenza di accertamento del diritto del retraente).
A tal’uopo secondo la S.C.[39] il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell’acquirente di quota ereditaria a favore dei coeredi, viene ad esistenza solo con la manifestazione di volontà, che può essere espressa pure con l’atto introduttivo del giudizio, sempre che tale manifestazione di volontà sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sua sottoscrizione di tale atto od il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell’atto o in calce allo stesso.
2) A mezzo di un negozio unilaterale recettizio contenente l’esercizio del diritto di riscatto e la surrogazione personale del retraente al terzo acquirente;
3) A mezzo di un negozio plurilaterale in cui intervengono il terzo acquirente e il coerede-retraente: in tale negozio il retraente formalizzerà la sua dichiarazione di riscatto della quota ereditaria (atto unilaterale che non dà luogo a nuovo trasferimento, implicando solo una surrogazione personale), consegnerà al terzo acquirente sia il prezzo sia le spese notarili, fiscali, etc. connesse all’atto di vendita (in analogia con l’art. 1502 c.c. che disciplina l’ipotesi del tutto diversa del riscatto convenzionale). Tale atto ha il pregio di evitare qualunque forma di impugnativa da parte del terzo-acquirente del negozio di riscatto (ad esempio per mancanza di presupposti, difetti di notifica della proposta, incompletezza della proposta, etc.).
Le condizioni per esercitare il riscatto:
A) persistenza della comunione ereditaria
La permanenza dello stato di comunione cessa solo con l’effettiva attribuzione dei beni ai vari condividenti e non è sufficiente, nonostante qualche opinione contraria, il semplice obbligo di concludere una divisione (si pensi al contratto preliminare) ovvero ad una divisione soltanto di fatto (frazionamento, apposizione di termini).
Per la S.C.[40] in tema di retratto successorio, lo stato di comunione ereditaria cessa soltanto con la divisione tramite la trasformazione dei diritti dei singoli partecipanti su quote ideali dell’eredità in diritti di proprietà individuali su singoli beni. Pertanto, lo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di uno solo dei coeredi – perchè abbia ceduto, la propria quota – non ne modifica la natura e non fa venir meno il diritto di prelazione a favore dei coeredi giacchè, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 732 c.c., soltanto quando siano state compiute le operazioni divisionali dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell’asse ereditario indiviso al momento dell’apertura della successione.
In maniera più chiara è stato affermato[41] che la comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, la divisione deve aver luogo in conformità alle norme sulla divisione ereditaria. Infatti, solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell’asse ereditario indiviso al momento dell’apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità del retratto successorio che postula la persistenza dello stato di comunione dell’eredità.
B) alienazione onerosa
Ad una tesi restrittiva (che comprende solo il contratto di compravendita) ed una tesi estensiva (che comprende ogni atto a titolo oneroso) si preferisce, come già analizzato in precedenza, una tesi intermedia la quale si riferisce ad ogni negozio nel quale la posizione dell’acquirente si perfettamente fungibile, in quanto la prestazione può essere eseguita da ogni soggetto.
C) alienazione di quota ereditaria
D) alienazione ad un estraneo
Difatti per una sentenza di merito[42] in materia di diritto di prelazione, deve ritenersi che ciascun partecipante alla comunione ereditaria possa disporre liberamente del suo diritto potendo cedere agli altri coeredi la proprietà o il godimento del bene nei limiti della sua quota, difatti, l’art. 732 c.c., avendo come finalità quella di impedire l’intromissione di estranei nello stato di indivisione ereditaria, è applicabile solo laddove il coerede intenda trasferire la sua quota ad un terzo estraneo alla comunione ereditaria.
Inoltre per una pronuncia di merito[43] la qualità di estraneo si riferisce all’eredità della quale fa parte la quota, che forma oggetto del riscatto, con la conseguenza che deve reputarsi estraneo non soltanto chi non sia legato da vincoli di parentela ai coeredi del de cuius, ma anche chi, pur essendo parente, non partecipa all’eredità di cui fa parte ut quota ceduta.
Massima ripresa da una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale in tema di divisione ereditaria, la qualità di “estraneo” non si riferisce alla famiglia dell’autore dell’eredità nel senso che non può considerarsi tale, ai fini dell’esperibilità, nei suoi confronti, del retratto successorio, il figlio “ex filio del de cuius,” sicché è estraneo non solo chi non sia legato da di parentela con i coeredi del de cuius, ma anche chi non partecipa all’eredità di cui fa parte la quota ceduta.
Mentre, anche come da ultima pronuncia della Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1987
in tema di successione per rappresentazione, il discendente rappresentante che subentri nel luogo e nel grado dell’ascendente rappresentato che non possa o non voglia accettare l’eredità succede direttamente al de cuius, con la conseguenza che la detta eredità è a lui devoluta nella identica misura che sarebbe spettata al rappresentato. Pertanto, in caso di successione per rappresentazione, il discendente rappresentante, essendo successore iure proprio nell’eredità e possedendo la qualità di coerede ai sensi dell’art. 732 c.c., non può essere considerato un soggetto estraneo alla comunione nei cui confronti sia possibile esercitare il diritto di riscatto previsto da tale ultima disposizione (c.d. ius retractionis)
E) Contratto Valido
Il diritto di riscatto del coerede non interpellato, perché possa esercitare il diritto di prelazione sulla quota ereditaria, può essere fatto valere se l’alienazione è valida ed efficace, ma non quando essa viene, ad esempio, risolta[44].
Sempre per la medesima Corte[45] il negozio, con il quale il coerede, che abbia alienato la propria quota ereditaria, ed il terzo acquirente della quota medesima dichiarino la nullità o la originaria inefficacia del negozio traslativo fra di loro intervenuto, può essere idoneo a reintegrare ex tunc e con effetti reali detto coerede nella comunione ereditaria, e, quindi, a determinare il sopravvenuto difetto delle condizioni dell’azione di riscatto di quella quota, che sia stata in precedenza esperita da altro coerede a norma dell’art. 732 c.c., solo quando risulti che il negozio medesimo abbia portata ricognitiva di una causa di nullità od originaria inefficacia dell’indicato contratto traslativo, stabilita tassativamente dalla legge, in quanto, in caso contrario, esso opera esclusivamente fra le parti contraenti, e non è opponibile a soggetti diversi, quale il coerede che agisca in retratto successorio.
Ancora, da altra massima[46] si evince che dopo che il contratto di alienazione della quota ereditaria, in esito a giudizio promosso dai creditori del coerede cedente nei confronti di questi e del cessionario, sia stato dichiarato nullo per simulazione assoluta, con sentenza passata in giudicato, deve escludersi che la suddetta quota possa restare acquisita dagli altri coeredi, per effetto di esercizio del retratto successorio, a norma dell’art. 732 c.c., in epoca successiva all’indicata sentenza, in considerazione del fatto che tale pronuncia, negando la sussistenza di un trasferimento fra coerede cedente e cessionario, implica il venir meno del presupposto del diritto di riscatto di cui alla citata norma, e che, inoltre, il coerede retraente, esercitando un diritto direttamente conferito dalla legge, il quale implica una sostituzione con effetti ex tunc nella posizione del retrattato, non è qualificabile come avente causa di quest’ultimo, e, quindi, non può invocare l’inopponibilità della simulazione prevista dall’art. 1415 primo comma, c.c., nei confronti di chi abbia in buona fede acquistato dal titolare apparente.
Infine[47], il negozio con il quale il coerede, che abbia alienato la propria quota ereditaria ed il terzo acquirente della quota dichiarino la nullità o l’originaria inefficacia del negozio tra loro intervenuto, può essere idoneo a reintegrare ex tunc e con effetti reali detto coerede nella comunione ereditaria e, quindi, a determinare il sopravvenuto difetto della condizione dell’azione di riscatto di quella quota, che sia stata in precedenza esperita da altro coerede a norma dell’art. 732 c.c., solo quando risulti che il negozio medesimo abbia portata ricognitiva di una causa di nullità od originaria inefficacia dell’indicato contratto traslativo stabilito tassativamente dalla legge, in quanto, in caso contrario, essa opera esclusivamente tra le parti contraenti e non è opponibile a soggetti diversi, quale il coerede che agisca in retratto successorio.
5) RINUNCIA e INTRASMISSIBILITA’
Il diritto di prelazione può essere oggetto di rinunzia; quanto alla forma, la dottrina e la giurisprudenza della Cassazione affermano che la rinunzia è scevra di formalismo e può essere espressa o tacita.
E’ discusso in dottrina e in giurisprudenza se si possa rinunziare alla prelazione in ogni momento o soltanto dopo la notifica della proposta di alienazione.
a) secondo la dottrina tradizionale non è ammissibile la rinunzia ad un diritto futuro, perché il titolare non è in grado di valutare il contenuto economico della sua rinunzia; il diritto di prelazione diventa ATTUALE solo con la notifica della proposta (e con l’indicazione del prezzo) e quindi solo in quel momento il titolare può rinunziare;
b) secondo parte della dottrina[48] ed una sentenza di Cassazione[49] la rinunzia può avvenire in ogni momento, trattandosi soltanto di dismettere la titolarità attiva di una posizione giuridica.
Rinunzia al riscatto – se poi il coerede ha alienato ad un estraneo la propria quota senza osservare le prescrizioni dell’art. 732 c.c., gli altri coeredi potranno rinunziare, con conseguente conferma del negozio stipulato in violazione della prelazione, al diritto di riscatto che ad essi spetta.
È stato poi osservato che non sempre la rinuncia al riscatto comporta rinuncia alla prelazione, giacché in astratto il coerede può rinunciare al primo ma non alla seconda, con la conseguenza che, nel caso di violazione della prelazione, pur non potendo ottenere il riscatto della quota, egli potrà ottenere il risarcimento del danno.
Secondo ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 4 agosto 2016, n. 16314
in tema di successione ereditaria, il coerede può rinunciare al diritto di prelazione per l’acquisto della quota non solamente al momento in cui gli viene presentata la proposta di vendita (c.d. denuntiatio), ma anche in maniera preventiva. Non occorre cioè, affinché la rinuncia alla prelazione ereditaria sia valida, che il coerede sia destinatario di una proposta di alienazione specifica. Di conseguenza, chi abbia espresso una rinuncia alla prelazione ereditaria in corrispondenza di una proposta generica di alienazione proveniente da altro coerede non può addurre la inefficacia della rinuncia a causa della genericità della proposta ricevuta
Il diritto di riscatto non è invece trasmissibile a terzi né inter vivos né mortis causa essendo un diritto personalissimo[50] connesso alla qualità di coerede-storico.
1) In primo luogo, appunto, perché il diritto regolato dall’art. 732 c.c. integra un diritto personalissimo che, derogando al principio generale dell’autonomia negoziale, non può estendersi al di là dell’ipotesi espressamente prevista, vale a dire della sua applicazione al nucleo originario costituito da coloro che fanno parte di quella comunione della cui quota si tratta;
2) In secondo luogo perché gli eredi del coerede hanno un titolo di acquisto (successione mortis causa dal titolare della prelazione) diverso da quello considerato dall’art. 732 c.c. (successione mortis causa dal titolare del patrimonio di cui fa parte la quota in via di alienazione o alienata).
In definitiva, per le cose dette, sono coeredi ai sensi dell’art. 732 c.c., solo coloro che succedono direttamente al de cuius.
Pertanto la prevalente dottrina e la giurisprudenza ritengono che sia coerede ai sensi dell’art. 732 c.c., anche il comunista per rappresentazione o sostituzione ordinaria.
Per la Corte Territoriale Partenopea[51] in tema di successione mortis causa, posto che il retratto di cui all’art. 732 c.c. ha carattere eccezionale in quanto istituto in deroga al principio della libertà di disporre (attribuendo a ciascun coerede la possibilità di evitare l’inserimento di estranei nella comunione ereditaria), esso non può essere applicato in via analogica, al di fuori, quindi, delle strette possibilità previste dalla norma. Si tratta quindi di un diritto personalissimo che può essere esercitato solo ed esclusivamente dai coeredi e, in quanto tale, intrasmissibile, tanto attivamente che passivamente nei confronti degli eredi del coerede.
Dubbi sorgono, invece, circa l’applicazione del retratto successorio nel caso di trasmissione del diritto di accettare.
In proposito taluno segue la teoria estensiva considerando che il trasmissario, accettando l’eredità del trasmittente diventa automaticamente delato dell’originario de cuius (e se accetta, diventa peraltro coerede ai sensi dell’art. 732 c.c.).
Altri, invece, seguendo la tesi restrittiva in quanto ritengono che, nel caso di trasmissione ai sensi dell’art. 479, il trasmissario deve necessariamente accettare l’eredità del trasmittente e, pertanto, ricorre un doppio passaggio (trasmissario – trasmittente; trasmittente – originario de cuius), che esclude l’applicazione dell’art. 732 c.c.
Secondo ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 novembre 2015, n. 24151
atteso il carattere personale e intrasmissibile del diritto di prelazione previsto dall’art. 732 cod. civ. nell’ambito della disciplina della divisione ereditaria, il soggetto che succede al coerede retraente può proseguire il giudizio già introdotto dal o nei confronti del retraente, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., al fine di accertare l’avvenuto riscatto. La ratio dell’istituto previsto dall’art. 732 cod. civ., e della limitazione alla libertà negoziale che da esso discende, risiede nell’esigenza di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, facilitando la formazione delle porzioni ed impedendo che nei rapporti tra coeredi si inseriscano estranei, tali dovendosi ritenere quelli che non sono compartecipi della comunione ereditaria in qualità di eredi del de cuius.
Infine, per recente Cassazione
Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1654.
l’alienazione di quota effettuata non dal coerede, compartecipe della comunione ereditaria, bensì dal suo successore a titolo universale, non è passibile di retratto successorio, giacché tale istituto costituisce una deroga alla libera disponibilità della quota in costanza di comunione e, pertanto, la relativa previsione va intesa in senso letterale, non potendo il diritto in questione essere esercitato da o verso soggetti diversi dai primi coeredi.
6) PRESCRIZIONE DEL DIRITTO DI RISCATTO
I coeredi in mancanza della notifica della proposta di alienazione, hanno diritto di riscattare la quota < finché dura lo stato di comunione > (art. 732 c.c.).
Ciò non significa, come ha affermato anche la giurisprudenza della Cassazione[52], che fino alla divisione i coeredi possano sempre riscattare perché, come ogni altro diritto, anche quello di riscatto è soggetto alla prescrizione ordinaria di 10 anni (art. 2946 c.c.), che comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, cioè dall’alienazione della quota.
NOTE
[1] Bonilini 1996, 424. Non va dimenticato, tuttavia, che prelazione ereditaria e retratto, a differenza dell’ antico retratto gentilizio, sono oggi destinati ad essere efficaci anche nel caso in cui la comunione veda, quali compartecipi, soggetti non legati da vincoli familiari, ed in quello in cui l’ acquirente di quota, estraneo alla comunione, sia legato da vincolo familiare con il coerede-alienante. Più appropriata, pertanto, è l’ osservazione per cui l’ art. 732 c.c. concepisce il gruppo dei coeredi come una comunità, non necessariamente a base familiare, e, disponendo la prelazione pel caso di alienazione di quota, tutela l’ interesse, tipico di ogni gruppo, ad impedire l’ ingresso di un estraneo nella comunità.
Minoli 1943, 232. In realtà i precedenti storici dell’ istituto accolto nel nostro codice e la dichiarata ratio delle norme che lo regolano depongono senz’ altro in favore della tesi che quanto si intende evitare attraverso il retratto successorio non sia l’ alienazione della quota al terzo, alienazione, la quale, in realtà, rimane sempre valida a norma di tutte le legislazioni che ammettono l’ istituto, ma piuttosto la partecipazione del terzo al processo i divisione. E’ l’ écartement du partage del terzo, lo scopo di tutto l’ istituto, e tale risultato si vuol ottenere per far si che il difficile processo di divisione si svolga in quell’ ambiente di familiare cordialità che è quasi indispensabile perché possa sollecitamente ed economicamente giungere a termine.
[2] D’Orazi Flavoni – Forchielli – Angeloni
[3] D’Orazi Flavoni – Forchielli – Angeloni – Gazzoni – Capozzi
[4] Corte di Cassazione, sentenza del 5 febbraio 1974, n. 309; Non è soggetta a retratto l’alienazione di quota posta in essere dal successore a titolo universale del coerede, in quanto deve ritenersi soggetta a retratto la sola alienazione (a titolo oneroso) che il coerede faccia della quota di comunione che gli spetta (e cioè che egli ha acquistato) quale coerede del de cuius.
[5] Tribunale di Palermo Sezione II civile, sentenza 05 aprile 2011, n. 1618
[6] Tribunale di Bologna Sezione I civile, sentenza 09 febbraio2010, n. 268
[7] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 28 ottobre 2010, n. 22086; in senso conforme, vedi, Corte di Cassazione Sezione II civile, Sentenza 23 aprile 2010, n. 9744. I diritti di prelazione e di riscatto previsti dall’art. 732 cod. civ. in favore del coerede postulano che l’alienazione compiuta da un altro coerede riguardi la quota ereditaria (o parte di essa) intesa come porzione ideale dell'”universum ius defuncti“, e vanno perciò esclusi quando, attraverso un’adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, risulti che i contraenti non hanno inteso sostituire il terzo all’erede nella comunione ereditaria e che l’oggetto del contratto è stato considerato come cosa a sé stante e non come quota del patrimonio ereditario; Cassazione civile, Sez. II, sentenza 9 aprile 1997, n. 3049. In argomento, vedi anche, Cassazione civile, Sez. II, sentenza 14 giugno 2002, n. 8571 e Cassazione civile, Sez. II, sentenza 7 dicembre 1999, n. 13704.
[8] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 04 gennaio 2011, n. 97 ; in tal senso, Cass. Civile, sentt. n. 246 del 1985, n. 5458 del 1979.
[9] Corte di Cassazione, sentenza n. 12 ottobre 1968, n. 3241.
[10] Per un maggiore approfondimento delle altre prelazioni legali aprire il seguente collegamento – La formazione progressiva del contratto
[11] Capozzi
[12] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 23 febbraio 2007, n. 4224
[13] Per un mggior approfondimento dell’istituto aprire il seguente collegamento – La comunione
[14] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 15482 del 6 dicembre 2001.
[15] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 maggio 1993, n. 5374
[16] Corte di Cassazione, sentenza 10 maggio 1957, n. 1632.
[17] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 novembre 2006, n. 25041
[18] Corte di Cassazione, sentenza 25 ottobre 1975, n. 3557.
[19] Per un maggior approfondimento dell’argomento aprire il seguente collegamento – La proposta irrevocabile o ferma
[20] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 20 giugno 1986, n. 4116
[21] Capozzi
[22] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 12 marzo 2010, n. 6142
[23]Corte d’Appello di Firenze Sezione I civile, sentenza 17 settembre 2007, n. 1230 Il coerede non può ottenere, ai sensi dell’art. 732 c.c., il riscatto della quota di proprietà indivisa di una porzione di un immobile laddove detta quota sia stata trasferita per mezzo di atto di donazione. Infatti, può ritenersi soggetta a retratto successorio la sola alienazione a titolo oneroso che il coerede faccia della quota di comunione che ha acquistato in qualità di erede del de cuius. Più precisamente, non può essere esercitato il riscatto tanto laddove l’atto non sia a titolo oneroso, quanto laddove l’atto stesso sia posto in essere non dall’originario coerede, bensì dall’erede del medesimo.
[24] Per un approfondimento dell’istituto aprire il seguente collegamento – Il contratto di permuta
[25] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 08 marzo 2005, n. 9231
[26] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 14 maggio 2003, n. 7404
[27] Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 07 luglio 1999, n. 7056
[28] Corte di Cassazione, sentenze 12225/96, 339/94, 2900/90, 3298/84, 295/81.
[29] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 09 giugno 2010, n. 13838
[30] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 23 febbraio 2009, n. 4345
[31] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 24 febbraio 2010, n. 4497
[32] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 28 maggio 2008, n. 14000. Nella specie, la S.C., enunciando l’anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva negato ad un comproprietario di maso chiuso, che lo aveva acquistato per donazione e nel quale egli non lavorava, il diritto di prelazione ai sensi dell’art. 732 c.c. nei confronti del coniuge di altro comproprietario cui quest’ultimo aveva venduto la propria quota indivisa dal maso stesso
[33] Corte di Cassazione, sentenza 4 luglio 1959, n. 2076
[34] Capozzi
[35] Giampiccolo
[36] Sacco
[37] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 28 aprile 1992, n. 5066; conforme Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 16 agosto 1990, n. 8304; Per l’operatività della dichiarazione recettizia di riscatto ai sensi dell’art. 732 c.c., è sufficiente che questa pervenga al destinatario, mentre, non essendo l’obbligazione di pagamento del prezzo e delle eventuali spese della vendita in funzione causale al retratto, l’offerta reale (o il pagamento) delle somme di denaro dovute al retrattato può essere anche eseguita in un momento successivo a quello in cui viene resa la dichiarazione di riscatto.
[38] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 09 aprile 1997, n. 3049
[39] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 23 aprile 2010, n. 9744. In senso conforme anche Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 febbraio 2010, n. 3470. Il diritto potestativo di riscatto nei confronti dell’acquirente di quota ereditaria, previsto dall’art. 732 c.c., può essere esercitato in giudizio anche dal difensore, poiché il conferimento del mandato alle liti lo abilita ad esprimere la volontà negoziale in nome dei suoi rappresentati; Cassazione civile, sentt. n. 8728 del 1998, n. 4963 del 1987; mentre, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, Cass., sent. n. 2387 del 1998 non si pone in contrasto con tale orientamento, avendo ritenuto non idonea una procura speciale che non era stata apposta a margine dell’atto con il quale il diritto di riscatto era esercitato, una comparsa di risposta, ma della citazione, che non conteneva alcun riferimento al riscatto
[40] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 12 ottobre 2007, n. 21491. Inoltre, per la stessa Cassazione, Sezione II civile, sentenza 23 febbraio 2007, n. 4224 lo scioglimento della comunione si verifica allorché, essendo state compiute le operazioni dirette ad eliminare la maggior parte degli elementi di ciascuna delle componenti dell’asse ereditario, sia cessato lo stato di indivisione determinato dall’apertura della successione: la comunione che ancora residui sugli immobili ereditari si trasforma in ordinaria con conseguente inapplicabilità dell’art. 732 c.c., relativo al retratto successorio.
[41] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 09 gennaio 2007, n. 215
[42] Tribunale di Bari Sezione I civile, sentenza 11 marzo 2010, n. 862
[43] Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi civile, sentenza 10 gennaio 2007
[44] Corte di Cassazione, sentenza 2 agosto 1952, n. 2489.
[45] Corte di Cassazione, sentenza 24 marzo 1978, n. 1442.
[46] Corte di Cassazione, sentenza 16 marzo 1984, n. 1809.
[47] Corte di Cassazione, sentenza 12 maggio 1999, n. 4703.
[48] Forchielli – D’Orazi, Capozzi
[49] Corte di Cassazione, sentenza 14 maggio 1999, n. 310. Il coerede può rinunciare al diritto di prelazione prima che gli venga notificata la specifica proposta di alienazione della quota con le relative condizioni e cioè prima della “denuntiatio” perchè egli ha tale diritto fin dall’acquisto della qualità di erede; vera rinunzia è quella concernente un generico progetto di alienazione, mentre quella successiva alla notifica è mancato esercizio del diritto di prelazione.
[50] Corte di Cassazione, 13 luglio 1983, n. 4777; Il diritto di prelazione tra coeredi, previsto dall’art. 732 c.c. per la durata della comunione ereditaria, integra un diritto personalissimo, contemplato in deroga al principio generale della libertà e dell’autonomia negoziale e della libera circolazione dei beni al solo fine di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni ereditari in capo ai primi successori, e, pertanto, non è trasmissibile, né attivamente né passivamente, a favore o nei confronti dei successori a titolo universale del coerede.
[51] Corte d’Appello di Napoli Sezione III civile, sentenza 28 maggio 2009, n. 1827
[52] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 23 gennaio 1988, n. 519. Considerata la finalità della normativa dell’art. 732 c.c., di favorire il mantenimento della comunione ereditaria, la disposizione relativa alla facoltà di agire per il retratto in mancanza della prescritta notificazione ai coeredi della proposta di alienazione ad un estraneo pone la permanenza della comunione come presupposto per l’esercizio del diritto di riscatto, ma non sottrae alla prescrizione, che e’ istituto di carattere generale, tale diritto, il quale, pertanto, si estingue con il decorso di dieci anni dal momento in cui poteva essere fatto valere (e cioè da quello della conclusione del contratto di trasferimento della quota all’estraneo) ancorchè permanga lo stato di comunione. Conforme Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 23 luglio 1986, n. 4695 ; in assenza di una specifica previsione normativa la prescrizione dell’azione di riscatto ex art. 732 c.c. si compie in applicazione della norma generale dell’art. 2946 c. c. con il decorso del termine decennale dalla conclusione del contratto di trasferimento della quota.