In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, è fondamentale che esso si prospetti idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equità

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 febbraio 2015, n. 3592.

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, è fondamentale che esso si prospetti idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equità, e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato, al fine di garantire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 24 febbraio 2015, n. 3592

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente

Dott. PETTI Giovanni B. – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23407/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS);

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente all’incidentale –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3210/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/11/2010, R.G.N. 933/2007 + 1429/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24/11/2010 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento dei gravami interposti dai sigg. (OMISSIS), in via principale, e dal sig. (OMISSIS), in via incidentale, e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Como 23/10/2006, ha rideterminato in diminuzione l’ammontare che il (OMISSIS) e il sig. (OMISSIS) sono stati dal giudice di prime cure condannati a pagare al (OMISSIS) a titolo di risarcimento dei danni dal medesimo subiti in conseguenza di dichiarazioni lesive della reputazione del medesimo contenute nella risposta “ad un’interrogazione comunale” da parte del primo, Sindaco del Comune di (OMISSIS), nonche’ in una comunicazione affissa da parte del secondo nella bacheca del (OMISSIS) di (OMISSIS) del cui Servizio speciale di controllo era direttore.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resistono con separati controricorsi il (OMISSIS) e il (OMISSIS), i quali spiegano entrambi ricorso incidentale sulla base, rispettivamente, di unico motivo e di 12 motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 2 motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione dell’articolo 2059 c.c., articolo 185 c.p., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ “carenza e manifesta illogicita’” della motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia omesso qualsiasi motivazione ed indicazione in ordine alla effettuata riliquidazione del danno in via equitativa.

Con l’11 motivo il ricorrente in via incidentale (OMISSIS) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1226, 2056 e 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 12 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 91 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia regolato le spese del giudizio di primo e di secondo grado senza tenere conto dell’esito complessivo del giudizio.

Si duole che, “considerando eccessiva la liquidazione del danno in euro 60.000 da parte del primo giudice”, la corte di merito tale importo abbia apoditticamente ridotto”in via equitativa ad euro 30.000″.

Il 2 motivo del ricorso in via principale e l’11 motivo del suindicato ricorso incidentale, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

Va anzitutto osservato che all’esito della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso (v. Cass., 18/9/2009, n. 20120. In particolare, per l’affermazione che l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilita’ di cui all’articolo 844 c.c., comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorita’ dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceita’ del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 c.c., e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 c.c., v. Cass., 9/5/2012, n. 7048) nella giurisprudenza di legittimita’ si afferma costantemente che il danno, anche in caso di lesione di valori della persona, non puo’ considerarsi in re ipsa, risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno bensi’ quale pena privata per un comportamento lesivo, ma va provato dal danneggiato secondo la regola generale ex articolo 2697 c.c. (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361. V. anche Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., 21/6/2011, n. 13614; Cass., 13/5/2011, n. 10527).

Con particolare riferimento al danno da lesione della reputazione, si e’ da questa Corte al riguardo precisato che il danno risarcibile e’ il mero danno-conseguenza, il quale va allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (v. Cass., 24/9/2013, n. 21865. V. anche Cass., 11/10/2013, n. 23194), la prova potendo essere data anche a mezzo di presunzioni semplici (v. Cass., 18/11/2014, n. 24474).

L’allegazione a tal fine necessaria deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioe’ circostanziata, e non gia’ purchessia formulata, non potendo invero risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico (cfr. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 25 settembre 2012, n. 16255).

Va per altro verso ribadito che la non patrimonialita’ – per non avere il bene persona un prezzo – del diritto leso, che va tenuta distinta dalla natura patrimoniale o non patrimoniale del danno, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, del danno non patrimoniale il ristoro pecuniario non puo’ mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa (V. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972, cit.; Cass., 31/5/2003, n. 8828. E gia’ Cass., 5/4/1963, n. 872. Cfr. altresi’ Cass., 10/6/1987, n. 5063; Cass., 1/4/1980, n. 2112; Cass., 11/7/1977, n. 3106).

Valutazione equitativa che e’ diretta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa” (in ordine al significato che nel caso assume l’equita’ v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).

Subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico) (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478. E gia’ Cass., 19/6/1962, n. 1536) e alla circostanza dell’impossibilita’ o estrema difficolta’ (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613. E gia’ Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel suo preciso ammontare, attenendo pertanto alla quantificazione e non gia’ all’ individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’articolo 2697 c.c.: v. Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, n. 23425), la valutazione equitativa deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravita’ della lesione.

Come avvertito anche in dottrina, l’esigenza di una tendenziale uniformita’ della valutazione di base della lesione non puo’ invero precludere la considerazione di aspetti personalistici, che rendono necessariamente individuale e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 31/5/2003, n. 8828).

Il danno non patrimoniale non puo’ in ogni caso essere liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all’effettiva natura o entita’ del danno (v. Cass., 12/5/2006, n. 11039; Cass., 11/1/2007, n. 392; Cass., 11/1/2007, n. 394), ma deve essere congruo.

Per essere congruo, il ristoro deve tendere, in considerazione della particolarita’ del caso concreto e della reale entita’ del danno, alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 29/3/2007, n. 7740. Nel senso che il risarcimento deve essere senz’altro “integrale” v. peraltro Cass., 17/4/2013, n. 9231).

Alla stessa stregua di quanto si verifica relativamente al danno patrimoniale il quale com’e’ noto si scandisce in danno emergente e lucro cessante, e ciascuna di queste “categorie” o “sottocategorie” e’ a sua volta compendiata da una pluralita’ di voci o aspetti o sintagmi, quali ad esempio il mancato conseguimento del bene dovuto o la perdita di beni integranti il proprio patrimonio, il c.d. fermo tecnico, le spese (di querela per l’avvocato difensore, per il C.T., funerarie, ecc.) (danno emergente); o la perdita della clientela, la irrealizzazione di rapporti contrattuali con terzi, il discredito professionale, la perdita di prestazioni alimentari o lavorative, la perdita della capacita’ lavorativa specifica (lucro cessante), aspetti o voci che ovviamente non ricorrono tutti sempre e comunque in ogni ipotesi di illecito o di inadempimento, e il cui ristoro dipende dalla verifica della loro sussistenza, con conseguente differente entita’ del quantum da liquidarsi al danneggiato/creditore nel singolo caso concreto, attesa la diversita’ ontologica degli aspetti (o voci) di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale e’ necessario che essi, in quanto sussistenti e provati, vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro (v., da ultimo, Cass., 23/4/2013, n. 9770; Cass., 17/4/2013, n. 9231; Cass., 7/6/2011, n. 12273; Cass., 9/5/2011, n. 10108).

Al di la’ di affermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex articolo 2059 c.c., precluderebbe la possibilita’ di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (v. Cass., 12/2/2013, n. 3290; Cass., 14/5/2013, n. 11514), viene poi generalmente (in anche in tali decisioni) a darsi comunque rilievo alla circostanza che nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale il giudice abbia invero tenuto conto di tutte le peculiari modalita’ di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto, facendo luogo alla c.d. personalizzazione della liquidazione (cfr., da ultimo, Cass., 23/9/2013, n. 21716).

Emerge evidente come rimanga a tale stregua invero sostanzialmente osservato il principio dell’integralita’ del ristoro, sotto il suindicato profilo della necessaria considerazione di tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realta’ differenza tra la determinazione dell’ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma dei vari “addendi”, e l’imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci (v. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Nella giurisprudenza di legittimita’ si e’ per altro verso sottolineato che il principio della integralita’ del ristoro subito da quest’ultimo non si pone invero in termini antitetici ma trova per converso correlazione con il principio in base al quale il danneggiante e’ tenuto al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito a lui causalmente ascrivibile, l’esigenza della cui tutela impone invero di evitarsi anche duplicazioni risarcitorie (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 14/9/2010, n. 19517), che si configurano (solo) allorquando lo stesso aspetto (o voce) viene computato due o piu’ volte, sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni, laddove non sussistono in presenza della liquidazione dei molteplici e diversi aspetti negativi causalmente derivanti dal fatto illecito e incidenti sulla persona del danneggiato.

E’ invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

A tale stregua e’ allora esclusa la possibilita’ di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto, giacche’ non essendo in tal caso consentito discostarsene, risulta garantita la prevedibilita’ delle decisioni ma assicurata invero una uguaglianza meramente formale, e non gia’ sostanziale (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Del pari inidonea e’ una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, e quindi, in assenza di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiati a parita’ di lesioni, sostanzialmente al suo mero arbitrio (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Se una siffatta valutazione vale a teoricamente assicurare un’adeguata personalizzazione del risarcimento, non altrettanto puo’ infatti dirsi circa la parita’ di trattamento e la prevedibilita’ della decisione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408, ove si sottolinea come la circostanza che lesioni della stessa entita’, patite da persone della stessa eta’ e con conseguenze identiche, siano liquidate in modo fortemente difforme non possa ritenersi una mera circostanza di fatto ma integra una vera e propria “violazione della regola di equita’”).

I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta ed adozione e’ rimessa alla prudente discrezionalita’ del giudice, devono essere dunque idonei a consentire la c.d. personalizzazione del danno (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/6/2006, n. 13546), al fine di addivenirsi ad una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettivita’ del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversita’ proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v. Cass., 13/5/2011, n. 10528; Cass., 28/11/2008, n. 28423; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/7/2006, n. 15760).

In tema di liquidazione del danno, e di quello non patrimoniale in particolare, l’equita’ si e’ da questa Corte intesa nel significato di “adeguatezza” e di “proporzione”, assolvendo alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale”, con eliminazione delle “disparita’ di trattamento” e delle “ingiustizie” (cosi’ Cass., 7/6/2011, n. 12408).

I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioe’ adeguata e proporzionata (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, a tale stregua pertanto del pari aliena da duplicazioni risarcitorie (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 6/4/2011, n. 7844), in ossequio al principio per il quale il danneggiante e il debitore sono tenuti al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento ad essi causalmente ascrivibile (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 6/4/2011, n. 7844).

Ne consegue che la liquidazione di un ammontare che si prospetti non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso (v. Cass., 31/8/2011, n. 17879) e pertanto sotto tale profilo non integrale, il sistema di quantificazione verrebbe per cio’ stesso a palesarsi inidoneo a consentire al giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equita’, legittimando i dubbi in ordine alla sua legittimita’.

Com’e’ noto, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da sinistro stradale valida soluzione si e’ ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresi’ Cass., 13/5/2011, n. 10527).

Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, sono uno strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all’articolo 1226 c.c. (v. Cass., 19/5/1999, n. 4852).

Tale sistema costituisce peraltro solo una modalita’ di calcolo tra le molteplici utilizzabili (per l’adozione, quanto al danno morale da reato, del criterio della odiosita’ della condotta lesiva, e quanto al c.d. danno esistenziale, del criterio al clima di intimidazione creato nell’ambiente lavorativo dal comportamento del datore di lavoro e al peggioramento delle relazioni interne al nucleo familiare in conseguenza di esso, v. Cass., 19/5/2010, n. 12318).

Fondamentale e’ in ogni caso che, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, esso si prospetti idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equita’, e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v., da ultimo, Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; Cass., 6/5/2009, n. 10401), al fine di garantire il controllo di relativa logicita’, coerenza e congruita’.

Orbene, dopo aver ritenuto incongruo “il riferimento generico fatto dal Tribunale alla liquidazione del danno all’immagine professionale decisa in altri casi, senza pero’ precisarne, sia pur sinteticamente, le relative fattispecie ed eventuali analogie”, e nel valutare “eccessiva la liquidazione del danno all’immagine, all’onore ed alla reputazione del (OMISSIS) operata dal Giudice di prime cure, che appare rapportata maggiormente (ed erroneamente) ai criteri seguiti nei casi di diffamazione a mezzo stampa”, laddove si e’ limitata ad affermare di conseguentemente procedere alla relativa rideterminazione “in via equitativa” del danno non patrimoniale liquidato dal giudice di prime cure e l’ha apoditticamente indicato “in euro 30.000,00”, la corte del merito ha invero disatteso i suindicati principi.

All’accoglimento dell’11 motivo del ricorso incidentale consegue l’assorbimento del 12 motivo.

Con il 1 motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione degli articoli 51, 595 c.p., articolo 21 Cost., articolo 10 CEDU, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia “errato nel valutare come offensive le frasi profferite dal (OMISSIS)”.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale (OMISSIS) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 81, 99 e 100 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta di non essere legittimato passivamente al giudizio, giacche’ le frasi per cui e’ causa sono state formulate in risposta ad interrogazione di Consigliere comunale fornita nella sua veste istituzionale di Sindaco.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 2697 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 444 e 445 c.p.p., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito l’abbia condannato per non essere stata raggiunta “la piena prova della inesistenza del furto ad opera di un controllore comunale”, laddove la prova al riguardo doveva essere fornita dalla controparte denunciante.

Lamenta che la verita’ del fatto-furto sia stata dalla corte di merito erroneamente desunta dalla sentenza di patteggiamento emessa a chiusura di procedimento nei confronti del sig. (OMISSIS) nel quale le odierne parti di giudizio non hanno assunto veste alcuna, senza procedere ad autonomo accertamento al riguardo.

Con il 4 e il 7 motivo denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia preso in considerazione alcune emergenze probatorie, come il “verbale di trasmissione della Polizia Municipale di (OMISSIS) alla Procura della Repubblica di Como presentata dal sig. (OMISSIS) nei confronti del Sig. (OMISSIS) in data 26.11.1999 (doc. n. 3)” e il “verbale di assunzione di informazioni rese dal sig. (OMISSIS) in data 23.12.1999 (doc. f, pagg. 2 e 4)”.

Lamenta non essersi considerato che il (OMISSIS), nella sua “qualita’ di Direttore del Servizio Controlli e quindi responsabile apicale della sicurezza, ha sempre negato che il furto della fiche fosse avvenuto (doc. g lettera (OMISSIS) 13.12.99)”.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 595 c.p., Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 43, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la “lettera personale indirizzata al consigliere comunale (OMISSIS), nella quale il furto della fiche era qualificato come falso” e’ stata erroneamente ritenuta “destinata alla pubblicazione od alla diffusione”, laddove le “informazioni – che il Sindaco non puo’ negare – non sono destinate per loro natura alla pubblicazione ne’ sono a disposizione di tutti i consiglieri, cosi’ come infondatamente affermato dalla Corte d’Appello”.

Con il 6 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 595 c.p., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente fatto discendere la sua “responsabilita’ dal fatto che … fosse consapevole della offensivita’ della propria affermazione anziche’ … dalla consapevolezza di negare un fatto vero e dal fatto di aver colposamente omesso accertamenti congrui, essendo pertanto convinto della falsita’ del furto, ma per sua colpa”, sicche’ “in tal modo la responsabilita’ del (OMISSIS) viene fondata sulla colpa e non sul dolo, cosi’ come richiede invece la norma posta dall’articolo 595 c.p.”.

Con l’8 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 345 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la corte di merito non ha ammesso, considerandoli “nuovi”, “documenti che invece erano gia’ prodotti in causa (doc. c-d-e-h) ” e “ha ritenuto inutilizzabile il doc g prodotto unitamente all’atto di citazione d’appello”.

Con il 9 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 599 c.p., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia ritenuto sussistente l’esimente della provocazione.

Con il 10 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’articolo 51 c.p., Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 43, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente escluso “l’esimente di cui all’articolo 51 c.p. … pur riconoscendo come fatto pacifico che il Dott. (OMISSIS) ha reso la dichiarazione oggetto del giudizio nella sua veste di Sindaco”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’articolo 360 c.p.c. – e’ proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).

Risponde altresi’ a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimita’ che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificita’, della completezza, e della riferibilita’ alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., da ultimo, Cass., 2/4/2014, n. 7692).

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a se’ stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, per soddisfare la prescrizione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ tuttavia indispensabile che il ricorso offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonche’ delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessita’ di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioe’ indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dai predetti ricorrenti.

Va anzitutto osservato che i motivi risultano formulati in violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i medesimi fanno rispettivamente riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla “comunicazione a sua firma” affissa “nella bacheca del (OMISSIS)” e “inviata per conoscenza al Sindaco del Comune”, ove “veniva fatta espressa menzione di una denuncia del giornalista (OMISSIS) e del giornale (OMISSIS) in relazione ad un articolo del (OMISSIS) dal titolo Il giallo della superficie recte: superfiche)”, il ricorrente in via principale (OMISSIS); all'”atto di citazione del 10.09.2000″, alla sua “comparsa di costituzione e risposta” nel giudizio di primo grado, alla “svolta prova testimoniale”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello, al “procedimento … pendente avanti la medesima Corte di Appello di Milano tra (OMISSIS) e (OMISSIS)”, alla “denuncia-querela poi effettivamente inoltrata”, all'”interrogazione comunale”, il ricorrente in via incidentale (OMISSIS) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimita’ (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).

A tale stregua essi non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura dei soli rispettivi ricorsi, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nei medesimi, alle cui lacune non e’ possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimita’ accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimita’ in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va per altro verso ribadito che il vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

Ne’ il vizio di motivazione puo’ essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (cfr. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di legittimita’.

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimita’ non gia’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la mera facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Ne’ ricorre d’altro canto vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioe’ la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non puo’ infatti imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacche’ ne’ l’una ne’ l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensi’ di quelle ritenute di per se’ sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Quanto al 1 motivo del ricorso incidentale (OMISSIS), va ulteriormente osservato che risulta dal detto ricorrente nuovamente prospettato quanto gia’ lamentato in sede di gravame di merito, senza inammissibilmente darsi invero carico di censurare la ratio decidendi dalla corte di merito al riguardo adottata, in particolare la’ dove, nel rigettare la censura, ha affermato che il (OMISSIS) “e’ da ritenersi personalmente responsabile delle dichiarazioni diffamatorie effettuate, le quali non sono scriminate ma semmai aggravate dalla veste istituzionale – Sindaco di (OMISSIS) – in cui sono state rese …; qualora poi, in via di mera ipotesi, si ritenesse responsabile civilmente delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) anche il Comune di (OMISSIS), cio’ non farebbe venir meno la legittimazione passiva dell’appellante, versandosi in un’ipotesi di (eventuale) responsabilita’ aggiuntiva e concorrente dell’Ente comunale, e neppure sussisterebbe la necessita’ di chiamare in causa anche quest’ultimo Ente, trattandosi di obbligazione solidale”.

Inammissibile e’ altresi’ il 10 motivo, del pari per mancata censura della ratio decidendi secondo cui “infondata appare … l’asserzione dell’appellante che la risposta del Dott. (OMISSIS) era stata determinata dal tenore offensivo dell’articolo del (OMISSIS)”, giacche’ “per quanto gia’ esposto in precedenza, il giornalista aveva rispettato i requisiti della verita’ e rilevanza pubblica della notizia nonche’ della continenza del linguaggio utilizzato”.

In ordine al 6 motivo, va ulteriormente osservato che, come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, in tema di risarcimento del danno la lesione della reputazione personale (e/o professionale, commerciale, lavorativa) del soggetto puo’ essere integrata anche da condotta meramente colposa, integrante pericolo di danno (cfr. Cass., 10/5/2001, n. 6570).

Emerge dunque evidente come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realta’ nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro rispettive aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’articolo 360 c.p.c., in realta’ sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Con unico motivo il ricorrente in via incidentale (OMISSIS) denunzia “carenza, erroneita’, illogicita’” della motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso e’ inammissibile.

Manca invero del tutto l’esposizione del fatto e della storia del procedimento cui ancorare le ragioni di censura, risultando a tale stregua non osservato il principio in base al quale il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilita’ del ricorso per cassazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto cio’ avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessita’ di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (v. Cass., 28/2/2006, n. 4403; Cass., 19/4/2004, n. 7392).

Un tanto anche e in particolare avuto riguardo al suindicato requisito – richiesto a pena di inammissibilita’- ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato nei termini piu’ sopra indicati con riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito es., alle “argomentazioni svolte dal (OMISSIS) in merito alla presunta violazione di norme in materia di liberta’ d’opinione e diritto di critica”, al “comunicato affisso in bacheca”, alla “raccomandata r.r. 30 maggio 2000 inviata al Sindaco di (OMISSIS)”.

Senza sottacersi che laddove si duole avere la corte di merito asseritamente in modo erroneo disposto “l’integrale compensazione delle spese di causa tra l’appellante (OMISSIS) e l’appellato (OMISSIS)”, mentre “l’appello e’ stato proposto esclusivamente in via principale dal convenuto (OMISSIS)”, essendosi il ” (OMISSIS)… limitato a richiedere la conferma della sentenza di primo grado impugnata non formulando alcuna domanda in via incidentale”, il ricorrente, in luogo del denunziato vizio di motivazione, in realta’ inammissibilmente prospetta un vizio di violazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Alla fondatezza del 2 motivo del ricorso principale e dell’11 motivo del ricorso incidentale (OMISSIS), assorbito il 12 motivo di quest’ultimo e rigettati tutti gli altri motivi nonche’ dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del (OMISSIS), consegue l’accoglimento dei medesimi nei suesposti limiti, e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano perche’ in diversa composizione proceda a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 2 motivo del ricorso principale (OMISSIS), rigettato il 1 ; accoglie l’11 motivo del ricorso incidentale (OMISSIS), assorbito il 12 motivo e rigettati gli altri; dichiara inammissibile il ricorso incidentale del (OMISSIS). Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

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