Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 23 febbraio 2015, n. 7912
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 21 novembre 2013 dal giudice del tribunale di Avellino;
udita nella pubblica udienza del 27 gennaio 2015 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto come reato con trasmissione atti alla ASL di Avellino.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 21 novembre 2013 dal giudice del tribunale di Avellino;
udita nella pubblica udienza del 27 gennaio 2015 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto come reato con trasmissione atti alla ASL di Avellino.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe, il giudice del tribunale di Avellino dichiaro’ (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 659 cod. pen. perche’, quale titolare dell’esercizio commerciale ” (OMISSIS) S.r.l.” con sede in (OMISSIS), mediante emissioni sonore, provenienti dai gruppi di raffreddamento asserviti alla predetta attivita’ (bar, sala giochi), disturbava le occupazioni ed il riposo delle persone, e la condanno’ alla pena di euro 200,00 di ammenda.
Osservo’ il giudice che il tecnico dell’Arpac aveva accertato che in orario notturno il rumore misurato nell’abitazione del denunciante a finestre aperte si innalzava da 37 dB a 43 dB per effetto dell’immissione sonora provocata dai motori dei condizionatori. Tale incremento si poneva in contrasto con i dettati del D.P.C.M. 14 novembre 2007, articolo 4, il quale fissa i valori limiti differenziali di immissione di 5 dB in orario diurno e di 3 dB in orario notturno. Inoltre, le rilevazioni fonometriche non soltanto evidenziavano un differenziale superiore a quello normativamente previsto fra rumore ambientale e rumore residuo (pari a 6 dB), ma anche livelli significativi di rumorosita’ prossimi al limite assoluto. Il valore di 43 dB calcolato dai tecnici dell’Arpac non era molto lontano dal limite notturno di 45 dB previsto per le zone residenziali (2 ), di 50 dB previsto per le aree di tipo misto (3 ) e di 55 dB per quelle ad intensa attivita’ umana (4 ). Nella specie l’immobile in questione era inquadrabile nell’area 3 , o al piu’ nell’area 4 .
L’imputata, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione del d.p.c.m. 14.11.1997 in relazione all’articolo 659 c.p.. Lamenta che il giudice ha ritenuto sussistente il reato di cui all’articolo 659 c.p., solo perche’ era stato superato il limite differenziale mentre i valori di immissione erano inferiori, e non di poco, ai limiti massimi. Ora, se il valore di immissione non supera il limite massimo fissato dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, non vi e’ violazione della norma. Ricorda inoltre che secondo la giurisprudenza il solo superamento dei limiti massimi o differenziali nell’esercizio di mestieri rumorosi integra l’illecito amministrativo di cui alla Legge n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2.
2) mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione. Lamenta che il giudice si e’ basato solo sulla consulenza tecnica, senza valutare le numerose doglianze difensive circa la corretta applicazione della normativa sull’inquinamento acustico. Il giudice poi da atto che i valori fonometrici riscontrati sono ben al di sotto dei limiti massimi, ma definisce comunque i macchinari come “idonei a recare potenzialmente disturbo”, anzi afferma con assoluta certezza che “non possono nutrirsi dubbi” circa la loro, capacita’ di molestia della quiete e riposo, senza pero’ spiegare come condizionatori d’aria, che producono una “quantita’ di rumore” al di sotto del massimo consentito possano disturbare la quiete e il riposo altrui. La motivazione e’ manifestamente illogica anche nella parte in cui ritiene che il valore numerico (43) misurato a seguito dei rilievi fonometrici, essendo “prossimo” a quelli massimi stabiliti per le classi abitative di fascia inferiore rispetto a quelle ove si trovava l’esercizio commerciale scenario degli eventi (45), possa essere elemento a supporto del giudizio di colpevolezza. E’ invero manifestamente illogico affermare che il valore rilevato benche’ solo prossimo a quello massimo consentito in una classe abitativa diversa da quella ove si trova l’esercizio commerciale dell’imputata, possa essere posto a supporto di un giudizio di colpevolezza.
Osservo’ il giudice che il tecnico dell’Arpac aveva accertato che in orario notturno il rumore misurato nell’abitazione del denunciante a finestre aperte si innalzava da 37 dB a 43 dB per effetto dell’immissione sonora provocata dai motori dei condizionatori. Tale incremento si poneva in contrasto con i dettati del D.P.C.M. 14 novembre 2007, articolo 4, il quale fissa i valori limiti differenziali di immissione di 5 dB in orario diurno e di 3 dB in orario notturno. Inoltre, le rilevazioni fonometriche non soltanto evidenziavano un differenziale superiore a quello normativamente previsto fra rumore ambientale e rumore residuo (pari a 6 dB), ma anche livelli significativi di rumorosita’ prossimi al limite assoluto. Il valore di 43 dB calcolato dai tecnici dell’Arpac non era molto lontano dal limite notturno di 45 dB previsto per le zone residenziali (2 ), di 50 dB previsto per le aree di tipo misto (3 ) e di 55 dB per quelle ad intensa attivita’ umana (4 ). Nella specie l’immobile in questione era inquadrabile nell’area 3 , o al piu’ nell’area 4 .
L’imputata, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione del d.p.c.m. 14.11.1997 in relazione all’articolo 659 c.p.. Lamenta che il giudice ha ritenuto sussistente il reato di cui all’articolo 659 c.p., solo perche’ era stato superato il limite differenziale mentre i valori di immissione erano inferiori, e non di poco, ai limiti massimi. Ora, se il valore di immissione non supera il limite massimo fissato dal D.P.C.M. 14 novembre 1997, non vi e’ violazione della norma. Ricorda inoltre che secondo la giurisprudenza il solo superamento dei limiti massimi o differenziali nell’esercizio di mestieri rumorosi integra l’illecito amministrativo di cui alla Legge n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2.
2) mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione. Lamenta che il giudice si e’ basato solo sulla consulenza tecnica, senza valutare le numerose doglianze difensive circa la corretta applicazione della normativa sull’inquinamento acustico. Il giudice poi da atto che i valori fonometrici riscontrati sono ben al di sotto dei limiti massimi, ma definisce comunque i macchinari come “idonei a recare potenzialmente disturbo”, anzi afferma con assoluta certezza che “non possono nutrirsi dubbi” circa la loro, capacita’ di molestia della quiete e riposo, senza pero’ spiegare come condizionatori d’aria, che producono una “quantita’ di rumore” al di sotto del massimo consentito possano disturbare la quiete e il riposo altrui. La motivazione e’ manifestamente illogica anche nella parte in cui ritiene che il valore numerico (43) misurato a seguito dei rilievi fonometrici, essendo “prossimo” a quelli massimi stabiliti per le classi abitative di fascia inferiore rispetto a quelle ove si trovava l’esercizio commerciale scenario degli eventi (45), possa essere elemento a supporto del giudizio di colpevolezza. E’ invero manifestamente illogico affermare che il valore rilevato benche’ solo prossimo a quello massimo consentito in una classe abitativa diversa da quella ove si trova l’esercizio commerciale dell’imputata, possa essere posto a supporto di un giudizio di colpevolezza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e’ fondato per le ragioni che seguono.
Non e’ chiaro quale reato sia stato contestato all’imputata: se quello di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, o quello di cui al comma 2. E nemmeno e’ chiaro per quale reato la stessa sia stata condannata. Se si tiene conto del capo di imputazione (dove si contesta di avere disturbato le occupazioni e il riposo delle persone) dovrebbe ritenersi che sia stato contestato il reato di cui al primo comma dell’articolo 659. Se invece si tiene conto della motivazione della sentenza impugnata (fondata esclusivamente sul superamento o meno dei limiti di emissione nell’esercizio della sala giochi) potrebbe ritenersi che il giudice abbia ritenuto integrato il reato di cui all’articolo 659, comma 2, se non invece l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2.
Va quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “L’elemento che differenzia le due autonome fattispecie configurate rispettivamente dall’articolo 659 c.p., comma 1 e 2, e’ rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacche’ ove esso provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell’autorita’, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillita’. Qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio della attivita’ lavorativa, ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilita’ ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (Fattispecie nella quale la S. C. ha ritenuto applicabile l’articolo 659 c.p., comma 1, in quanto le emissioni rumorose non erano state provocate dalla attivita’ di una discoteca, bensi’ dal relativo impianto di condizionamento)” (Sez. 1 , 17.12.1998, n. 4820 del 1999, Mannelli, Rv. 213395).
La giurisprudenza piu’ recente ha peraltro precisato che “L’inquinamento acustico conseguente all’esercizio di mestieri rumorosi, che si concretizza nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, integra l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (legge quadro sull’inquinamento acustico) e non la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (articolo 659 c.p., comma 2)” (Sez. 1 , 13.11.2012, n. 48309, Carrozzo, Rv. 254088); e che “In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilita’ di emissioni sonore derivanti dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi non configura l’ipotesi di reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 2, ma l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (legge quadro sull’inquinamento acustico), in applicazione del principio di specialita’ contenuto nella Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9” (Sez. 3 , 31.1.2014, n. 13015, Vazzana. Rv. 258702). Ancor piu’ recentemente si e’ precisato che “In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone nell’ambito di una attivita’ legittimamente autorizzata, e’ configurabile: A) l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia; B) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, ove il fatto costituivo dell’illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalita’ o ne costituisca un uso smodato; C) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 2, qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorita’, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustica” (Sez. 3 , 18.9.2014, n. 42026, Claudino, Rv. 260658).
Nel caso in esame, pertanto, il giudice avrebbe innanzitutto dovuto accertare se il denunciato inquinamento acustico proveniva o meno dell’esercizio di un mestiere rumoroso. Dalla sentenza impugnata risulta che si trattava di una sala giochi amministrata dall’imputata e che i rumori provenivano dai condizionatori d’aria che servivano il locale e che erano stati installati all’esterno, al di sotto del balcone dell’abitazione, posta al secondo piano del palazzo, di un condomino che se ne era lamentato ed aveva fatto la denuncia. Doveva percio’ accertarsi se i condizionatori erano uno strumento indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ autorizzata, o se erano indipendenti da tale esercizio. Si tratta di un accertamento di fatto che spetta al giudice del merito e che non puo’ essere compiuto in questa sede di legittimita’, anche per la mancanza di qualsiasi elemento di valutazione. Qui puo’ solo ricordarsi che, sia pure nella giurisprudenza non proprio recente, sono rinvenibili alcune massime riferite a casi in cui i rumori provenienti dall’impianto di condizionamento sono stati ritenuti, in quelle specifiche situazioni concrete, estranei all’esercizio dell’attivita’ autorizzata (cfr. Sez. 1 , 21.12.2006, n. 7962 del 2007, Valentini, Rv. 236356, in relazione ad un laboratorio di sartoria; Sez. 1 , 17.12.1998, n. 4820 del 1999, Mannelli, Rv. 213395, in relazione ad una discoteca). Si tratta comunque di una valutazione di merito che va compiuta in riferimento al singolo caso concreto.
Se dovesse essere accertato che nella specie l’impianto di condizionamento era strumentalmente necessario per l’esercizio dell’attivita’ autorizzata (sicche’ tale attivita’ era da qualificarsi come rumorosa) e che erano stati superati i limiti assoluti o differenziali fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, allora sara’ configurabile l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (cosi’ come ritenuto dal Procuratore generale nella sua requisitoria).
Se invece dovesse essere accertato che nella specie si trattava di rumori non emessi nell’ambito dell’esercizio di una attivita’ autorizzata rumorosa, allora potrebbe essere configurabile il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, sempre che ne sussistano gli elementi costitutivi e che di cio’ sia data congrua ed adeguata motivazione. La sentenza impugnata e’ invece totalmente priva di qualsiasi motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato.
Secondo la giurisprudenza, invero, per integrare il reato di cui all’articolo 659, comma 1, e’ necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa (Sez. 3 , 13.5.2014, n. 23529, Ioniez, Rv. 259194), o agli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione (Sez. I, 14.10.2013, n. 45616, Rv. 257345), occorrendo invece che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l’edificio, in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneita’ a turbare la pubblica quiete. Difatti, “La rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillita’ pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore e’ la pubblica quiete, sicche’ i rumori devono avere una tale diffusivita’ che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare” (ex plurimis, Sez. 1 , 29.11.2011, n. 47298, lori, Rv. 251406).
La sentenza impugnata si e’ invece limitata ad accertare il superamento dei valori differenziali di immissione, peraltro in modo incongruo perche’ parla di valori “non molto lontani” dal limite notturno riferito, a quanto sembra, a zone residenziali diverse da quella in esame. La sentenza impugnata, poi, si limita esclusivamente a dire che “in merito all’idoneita’ di quei macchinari a recare potenzialmente disturbo a una pluralita’ di persone non possono nutrirsi dubbi”. Si tratta di affermazione apodittica e congetturale, non essendo spiegato sulla base di quali concreti elementi sia possibile ritenere che il rumore aveva una tale diffusivita’ che l’evento di disturbo fosse potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone. Del resto, dalla sentenza impugnata risulta che si sia lamentato solo un tale sig. (OMISSIS), abitante nell’appartamento sovrastante, mentre non risulta che i rumori fossero stati percepiti anche da altri abitanti nel palazzo o che costoro fossero stati sentiti.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata per mancanza di motivazione, con rinvio al tribunale di Avellino.
Non e’ chiaro quale reato sia stato contestato all’imputata: se quello di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, o quello di cui al comma 2. E nemmeno e’ chiaro per quale reato la stessa sia stata condannata. Se si tiene conto del capo di imputazione (dove si contesta di avere disturbato le occupazioni e il riposo delle persone) dovrebbe ritenersi che sia stato contestato il reato di cui al primo comma dell’articolo 659. Se invece si tiene conto della motivazione della sentenza impugnata (fondata esclusivamente sul superamento o meno dei limiti di emissione nell’esercizio della sala giochi) potrebbe ritenersi che il giudice abbia ritenuto integrato il reato di cui all’articolo 659, comma 2, se non invece l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2.
Va quindi ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “L’elemento che differenzia le due autonome fattispecie configurate rispettivamente dall’articolo 659 c.p., comma 1 e 2, e’ rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacche’ ove esso provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell’autorita’, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillita’. Qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio della attivita’ lavorativa, ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilita’ ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (Fattispecie nella quale la S. C. ha ritenuto applicabile l’articolo 659 c.p., comma 1, in quanto le emissioni rumorose non erano state provocate dalla attivita’ di una discoteca, bensi’ dal relativo impianto di condizionamento)” (Sez. 1 , 17.12.1998, n. 4820 del 1999, Mannelli, Rv. 213395).
La giurisprudenza piu’ recente ha peraltro precisato che “L’inquinamento acustico conseguente all’esercizio di mestieri rumorosi, che si concretizza nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, integra l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (legge quadro sull’inquinamento acustico) e non la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (articolo 659 c.p., comma 2)” (Sez. 1 , 13.11.2012, n. 48309, Carrozzo, Rv. 254088); e che “In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilita’ di emissioni sonore derivanti dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi non configura l’ipotesi di reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 2, ma l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (legge quadro sull’inquinamento acustico), in applicazione del principio di specialita’ contenuto nella Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9” (Sez. 3 , 31.1.2014, n. 13015, Vazzana. Rv. 258702). Ancor piu’ recentemente si e’ precisato che “In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone nell’ambito di una attivita’ legittimamente autorizzata, e’ configurabile: A) l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia; B) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, ove il fatto costituivo dell’illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalita’ o ne costituisca un uso smodato; C) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 2, qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorita’, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustica” (Sez. 3 , 18.9.2014, n. 42026, Claudino, Rv. 260658).
Nel caso in esame, pertanto, il giudice avrebbe innanzitutto dovuto accertare se il denunciato inquinamento acustico proveniva o meno dell’esercizio di un mestiere rumoroso. Dalla sentenza impugnata risulta che si trattava di una sala giochi amministrata dall’imputata e che i rumori provenivano dai condizionatori d’aria che servivano il locale e che erano stati installati all’esterno, al di sotto del balcone dell’abitazione, posta al secondo piano del palazzo, di un condomino che se ne era lamentato ed aveva fatto la denuncia. Doveva percio’ accertarsi se i condizionatori erano uno strumento indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ autorizzata, o se erano indipendenti da tale esercizio. Si tratta di un accertamento di fatto che spetta al giudice del merito e che non puo’ essere compiuto in questa sede di legittimita’, anche per la mancanza di qualsiasi elemento di valutazione. Qui puo’ solo ricordarsi che, sia pure nella giurisprudenza non proprio recente, sono rinvenibili alcune massime riferite a casi in cui i rumori provenienti dall’impianto di condizionamento sono stati ritenuti, in quelle specifiche situazioni concrete, estranei all’esercizio dell’attivita’ autorizzata (cfr. Sez. 1 , 21.12.2006, n. 7962 del 2007, Valentini, Rv. 236356, in relazione ad un laboratorio di sartoria; Sez. 1 , 17.12.1998, n. 4820 del 1999, Mannelli, Rv. 213395, in relazione ad una discoteca). Si tratta comunque di una valutazione di merito che va compiuta in riferimento al singolo caso concreto.
Se dovesse essere accertato che nella specie l’impianto di condizionamento era strumentalmente necessario per l’esercizio dell’attivita’ autorizzata (sicche’ tale attivita’ era da qualificarsi come rumorosa) e che erano stati superati i limiti assoluti o differenziali fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, allora sara’ configurabile l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma 2, (cosi’ come ritenuto dal Procuratore generale nella sua requisitoria).
Se invece dovesse essere accertato che nella specie si trattava di rumori non emessi nell’ambito dell’esercizio di una attivita’ autorizzata rumorosa, allora potrebbe essere configurabile il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, sempre che ne sussistano gli elementi costitutivi e che di cio’ sia data congrua ed adeguata motivazione. La sentenza impugnata e’ invece totalmente priva di qualsiasi motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato.
Secondo la giurisprudenza, invero, per integrare il reato di cui all’articolo 659, comma 1, e’ necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa (Sez. 3 , 13.5.2014, n. 23529, Ioniez, Rv. 259194), o agli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione (Sez. I, 14.10.2013, n. 45616, Rv. 257345), occorrendo invece che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l’edificio, in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneita’ a turbare la pubblica quiete. Difatti, “La rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillita’ pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore e’ la pubblica quiete, sicche’ i rumori devono avere una tale diffusivita’ che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare” (ex plurimis, Sez. 1 , 29.11.2011, n. 47298, lori, Rv. 251406).
La sentenza impugnata si e’ invece limitata ad accertare il superamento dei valori differenziali di immissione, peraltro in modo incongruo perche’ parla di valori “non molto lontani” dal limite notturno riferito, a quanto sembra, a zone residenziali diverse da quella in esame. La sentenza impugnata, poi, si limita esclusivamente a dire che “in merito all’idoneita’ di quei macchinari a recare potenzialmente disturbo a una pluralita’ di persone non possono nutrirsi dubbi”. Si tratta di affermazione apodittica e congetturale, non essendo spiegato sulla base di quali concreti elementi sia possibile ritenere che il rumore aveva una tale diffusivita’ che l’evento di disturbo fosse potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone. Del resto, dalla sentenza impugnata risulta che si sia lamentato solo un tale sig. (OMISSIS), abitante nell’appartamento sovrastante, mentre non risulta che i rumori fossero stati percepiti anche da altri abitanti nel palazzo o che costoro fossero stati sentiti.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata per mancanza di motivazione, con rinvio al tribunale di Avellino.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Avellino
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