Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 4 marzo 2015, n. 9388
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 14/11/2014, II Tribunale di Salerno, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di P.S., indagato per il reato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, confermava l’ordinanza del Gip di Salerno, emessa in data 28/10/2014, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere.
2. II Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato sulla denuncia della persona offesa (Esposito Armando procuratore generale della ESA costruzioni), sulle dichiarazioni di alcuni dipendenti dell’impresa,
sulle individuazioni fotografiche e sulle indagini di pg. Respingendo le obiezioni della difesa, il Tribunale escludeva l’ipotesi della desistenza, considerando compiuta l’azione diretta ad estorcere denaro all’impresa. Quanto alle esigenze cautelare, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato e reputava la custodia cautelare in carcere unica misura adeguata, tenendo conto che P.S. aveva dei precedenti per evasione.
3. Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo dei suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. In proposito eccepisce che nella specie il tentativo non si è realizzato e l’azione è rimasta incompiuta per la desistenza degli agenti. Eccepisce, pertanto, che la fattispecie in esame non integra gli estremi dei delitto tentato.
Considerato in diritto
1. II ricorso è infondato.
2. La vicenda in esame pone due questioni di diritto che devono essere approfondite:
a) l’idoneità degli atti, diretti in modo non equivoco a commettere il reato di cui all’art. 629 cod. pen.
b) la configurabilità della desistenza con riferimento al mancato proseguimento dell’azione da parte dei concorrenti nel reato.
3. In punto di diritto, quanto alla configurabilità del tentativo, va ribadito il principio di diritto, secondo cui “l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto” (da ultimo, tra le tante, Sez. 1^, n. 27918/2010 Rv. 248305; Sez. 2^, n.n. 44148/2014, Rv. 260855 ).
4. Tanto premesso, resta il problema di individuare le modalità attraverso le quali possa intervenire la desistenza. Sul punto questa Corte, Sez.VI, con la sentenza n.40678/2011 ha osservato che: «l’individuazione del momento entro il quale può ancora intervenire la desistenza ha trovato soluzioni ermeneutiche differenti, di cui sono esempio la distinzione tra “tentativo incompiuto” e “tentativo compiuto”, con diverse ricostruzioni a seconda che l’azione tipica si caratterizzi per il compimento di un unico atto o di una pluralità di atti, con l’ulteriore evidenziazione dei tra loro autonomi connotati oggettivi e soggettivi della desistenza. Autorevole dottrina ha indicato il criterio della “continuità temporale” e del “dominio diretto” dell’azione intrapresa, quale idoneo a individuare il momento ultimo in cui la desistenza è ancora configurabile, a prescindere dalla eventuale pluralità di atti che possono essere posti in essere: la differenza tra desistenza volontaria e recesso attivo andrebbe quindi colta nel fatto che la prima è un abbandono dell’azione, quando ancora l’agente ne domina in modo diretto e immediato il divenire, mentre il secondo è caratterizzato da un intervento postumo, quando tale dominio è ormai cessato.
Giacché in realtà ciò che rileva sarebbe la sostanziale continuità temporale con il permanente dominio dell’azione in atto opposta ad una discontinuità, o distacco o rottura temporale – rispetto all’azione prima intrapresa – che determinerebbe la perdita di tale dominio diretto dell’azione, in definitiva idonea a produrre i propri effetti quali determinatisi a quel momento. In definitiva, ciò che rileva per configurare la desistenza volontaria nei casi in cui già la parte di condotta compiuta presenterebbe i requisiti per la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto tentato è che – in termini di sostanziale continuità temporale – l’autore inverta con modalità inequivoche la situazione, di cui ha ancora la piena disponibilità, il pieno dominio, sicché quella situazione già concretizzatasi e penalmente rilevante non sia, per sè, inevitabilmente suscettibile di muovere autonomamente verso la piena consumazione del delitto> >.
5. Nel caso di specie, i giudici di merito si sono espressi sulla reale adeguatezza causale del comportamento tenuto dall’indagato (in concorso con il concorrente P. Antonio), considerate le circostanze esistenti al momento della condotta e il contesto in cui la stessa veniva a realizzarsi, ritenendo sussistenti i requisiti dell’idoneità ed univocità degli atti, ma hanno escluso la desistenza volontaria sul presupposto che l’azione, diretta ad estorcere denaro alla ditta edile ESA costruzioni, si fosse già compiuta, non essendosi più spazio per la desistenza volontaria e non essendosi realizzato l’evento soltanto per cause indipendenti dalla volontà degli agenti.
6. Orbene tale conclusione appare coerente con la ricostruzione dei fatti come operata dallo stesso Tribunale. I fatti presi in considerazione si sono verificati in data 17, 18 e 21 maggio 2010. II 17 maggio due giovani si sono avvicinati alle transenne ed hanno chiesto notizie sulla provenienza territoriale dell’impresa esecutrice dei lavori. II 18 maggio due persone (identificate in P. Antonio e P.S.) sono entrate nell’ufficio del responsabile di cantiere ed hanno profferito delle espressioni allusive e larvatamente minacciose “siamo i compagni di Salerno, rivolgetevi a quelli di Nocera, perchè loro sanno dove devono venire”. II 21 maggio P. Antonio è stato visto aggirarsi nei pressi del cantiere. 7. Orbene, non v’è dubbio che le condotte esaminate, tenendo presente il contesto in cui si sono realizzate, assumano il carattere di atti idonei, diretti in modo non equivoco, mediante minaccia a costringere l’impresa a pagare un pizzo ai malavitosi locali. Tuttavia, tale evento non si è verificato perchè l’imprenditore, anziché mettersi in contatto con i “compagni di Nocera” ha sporto denuncia alla polizia giudiziaria, facendo fallire il tentativo di estorsione. Ciò ha comportato la perdita del dominio diretto dell’azione da parte dei soggetti che avevano realizzato l’originaria intimidazione, rendendo irrilevante da un punto di vista causale la eventuale desistenza, in quanto il tentativo non si è compiuto per l’intervento di altre cause indipendenti dalla volontà dell’agente.
8. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
9. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 co 1 ter Disp. Att. Cod. proc. pen.
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