Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 2 marzo 2015, n. 1029
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9562 del 2009, proposto da:
Pa.Ma., rappresentato e difeso dagli avv. Um.Se. e Ma.Di., con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, Via (…);
contro
Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA SEZIONE I TER n. 01014/2009
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Ma.Di. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il signor Ma. aveva presentato domanda di partecipazione al concorso per l’arruolamento di n.780 allievi agenti della Polizia di Stato bandito con Decreto del Ministero dell’Interno, in data 8.11.1996, pubblicato nella G.U. n. 101 del 20.12.1996.
Con successivo provvedimento, notificato il 25.2.1999, il signor Ma. veniva riconosciuto non idoneo al servizio di Polizia per accertato difetto dei requisiti attitudinali di cui all’art. 4 del DPR n. 904 del 1983.
Tale atto di non idoneità veniva impugnato con ricorso al Tar Lazio, sezione di Roma che, con sentenza n. 8669 del 2000 assunta nella pubblica udienza del 15 giugno 2000 e pubblicata mediante deposito in segreteria il successivo 26 ottobre 2000, annullava il giudizio di inidoneità facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Per il Tar il giudizio espresso risultava “non sorretto da una idonea motivazione, in stridente contrasto con i principi del buon andamento della P.A.”.
Con provvedimento n. 333-D/23030 del 18.3.2002 veniva comunicato al signor Ma. che con decreto del Capo della Polizia del 17.1.2001 era stata disposta la sua nomina ad agente in prova della Polizia di Stato a decorrere agli effetti giuridici dal 21.3.2000 (data corrispondente alla conclusione del corso) ed economici dal 1.2.2001.
Con nota del 7 luglio 2003 il Ministero dell’Interno comunicava all’interessato che, in relazione al suo atto di diffida del 28.5.2003 con il quale aveva chiesto all’Amministrazione la retribuzione per il periodo marzo 2000/febbraio 2001 “non si può che confermare il contenuto della ministeriale del 18.3.2002”.
Il ricorrente impugnava quindi:
-l’atto di cui sopra prot. 333 D 23030 datato 7 luglio 2003 con cui si rigettava l’istanza avanzata in data 16.12.2002 di corresponsione di stipendi arretrati e/o di risarcimento dei danni subiti a causa dell’adozione da parte dell’amministrazione del provvedimento di esclusione al 150° Corso allievi agenti di Polizia di Stato, deliberato con DM 8 novembre 1996;
-l’atto prot. n. 333-D/23030 datato 18 marzo 2002 di nomina del ricorrente nei ruoli della Polizia di Stato e dei vari DDMM in esso richiamati, nella parte in cui indicano, per la decorrenza degli effetti economici dell’inquadramento, la data dell’1.2.2001 anziché quella del 21.3.2000.
Chiedeva inoltre:
– la declaratoria del diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo marzo 2000-febbraio 2001 oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, con conseguente condanna dell’amministrazione alla liquidazione della somma di cui risulterà debitrice;
– la condanna della stessa amministrazione al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del comportamento illegittimo tenuto nel non permettergli di espletare la propria attività lavorativa.
Deduceva i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per ingiustizia manifesta;
2) Eccesso di potere per ingiustizia manifesta e contraddittorietà.
Si costituiva il Ministero dell’Interno sostenendo la infondatezza del ricorso.
Il Tar respingeva il ricorso.
I giudici di prima istanza richiamavano la sentenza dell’Adunanza Plenaria n.10/1991 secondo la quale la restitutio in integrum agli effetti economici, oltre che a quelli giuridici, spetta al pubblico dipendente solo nel caso di sentenza che riconosca l’illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in corso e non anche nel caso di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto stesso.
Pertanto, le considerazioni svolte dal ricorrente riguardanti la richiesta di retribuzione di un servizio mai espletato in relazione ad un rapporto d’impiego mai costituito per fatto imputabile all’amministrazione non avrebbero potuto superare l’ostacolo derivante dalla mancanza di un rapporto in corso, tra dipendente e amministrazione, per la costituzione del quale è sempre necessaria la verifica da parte della amministrazione della sussistenza di tutti i presupposti.
Quanto al motivo con il quale si chiedeva l’accertamento del diritto al ristoro del danno subito ai sensi dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 in conseguenza dei provvedimenti erronei ed ingiusti dell’Amministrazione, il Tar, dopo avere trattenuto la giurisdizione, rilevava che, in generale, ai sensi dell’art. 2043 c.c., occorreva individuare la ricorrenza di tre condizioni:
a) esistenza di un nesso eziologico tra provvedimento illegittimo ed evento dannoso;
b) sussistenza di una condotta dolosa o colposa imputabile all’amministrazione;
c) ricorrenza di un danno risarcibile.
Per il Tar non ricorreva sia il punto b), elemento soggettivo, che il punto c) elemento oggettivo.
Dagli atti di causa risultava infatti che non poteva riscontrarsi in capo alla PA, dolo o colpa grave, né tale elemento soggettivo risultava accertato nel giudicato del Tar conseguente alla sentenza n.8669/2000, perché esso si era limitato ad annullare il giudizio di inidoneità per difetto di motivazione.
Inoltre, non sussisteva un profilo di violazione del giudicato, né di ritardo nell’adozione degli atti, avendo l’Amministrazione dato pronta esecuzione, sia all’ordinanza cautelare n.1875/1999, mediante l’ammissione con riserva al corso di formazione, sia alla sentenza n.8669/2000, pubblicata il 26.10.2000, nominando il ricorrente agente in prova previo accertamento del possesso dei requisiti attitudinali.
Il giudicato, infatti, faceva salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione e non conteneva alcuna statuizione relativa alla nomina dell’interessato, per cui la mancata prestazione del servizio non poteva ritenersi dovuta a fatto addebitabile all’Amministrazione, ma all’esistenza di un contenzioso sul possesso o meno dei requisiti attitudinali.
2. – Nell’atto di appello il signor Maccagno deduce l’errore del primo giudice concentrando in specie le proprie doglianze sul secondo capo della sentenza, relativo alla reiezione della domanda risarcitoria.
Sostiene l’appellante di avere ricevuto un danno per i seguenti motivi:
– per giudizio errato della Commissione di idoneità che ha portato alla illegittima esclusione;
– per il rinvio al domicilio del ricorrente al termine del corso;
– per assunzione adottata a due anni dal completamento del corso di formazione e dalla sentenza, retrodatata agli effetti giuridici ma non agli effetti economici.
L’appellante ricorda che all’accertamento psicofisico il medesimo veniva ritenuto carente sotto il profilo del livello evolutivo, controllo emotivo, adattabilità e che, con una prima ordinanza del Tar, nel 1999, il giudizio veniva sospeso e il ricorrente ammesso al corso di formazione, ma ciò avveniva solo nel settembre 1999, mentre il precedente corso cui avrebbe partecipato se non ci fosse stato il giudizio negativo risaliva al giugno 1999.
Il Maccagno superava brillantemente il corso e dunque avrebbe potuto prestare giuramento nel 2000 ed essere arruolato subito, ma fu impedito perché ammesso con riserva essendo all’epoca non definito il contenzioso davanti al Tar.
Infine, con la sentenza n.8869/2000, il Tar accoglieva il ricorso ma solo dopo due anni, in data 18 marzo 2002, l’amministrazione assumeva il ricorrente nominandolo agente in prova, retrodatando la nomina agli effetti giuridici al 21 marzo 2000 ed economici al 1° febbraio 2001.
Il danno lamentato era dunque riconducibile alla ritardata assunzione in ruolo con conseguente mancata percezione di stipendi; tale danno sarebbe ingiusto ex art. 2043 c.c. mentre il primo giudice, pure avendo ricostruito in astratto correttamente la fattispecie normativa, poi in concreto avrebbe finito immotivatamente per negare il danno e comunque per giustificare l’operato della amministrazione.
3. L’appello non merita accoglimento.
Osserva la Sezione che in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, spetta all’interessato, ai fini giuridici, il riconoscimento della medesima decorrenza attribuita a quanti siano stati nella medesima procedura nominati tempestivamente, ma ai fini economici non può riconoscersi il diritto alla corresponsione delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’assunzione. Ciò in quanto detto diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio.
Con l’effetto che, come correttamente statuito dal primo giudice, deve essere escluso il diritto alle spettanze economiche facendo leva sul necessario parallelismo fra la decorrenza ai fini giuridici dell’assunzione e la decorrenza ai fini economici.
Come peraltro anche rilevato nella sentenza appellata può spettare comunque, relativamente a detto periodo, in presenza dei presupposti di legge di cui all’art. 2043 c.c., il risarcimento del danno ingiusto patito in conseguenza delle illegittimità risalenti agli atti o ai comportamenti dell’amministrazione.
Sotto tale aspetto occorre osservare che la sentenza del Tar n.8869/2000 aveva affermato l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione appellata la quale aveva espresso in origine un giudizio di inidoneità del ricorrente erroneo che, successivamente, ha dovuto rettificare.
Tuttavia l’ingiustizia del danno non può considerarsi sussistente in re ipsa, quale conseguenza della illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa dovendo il giudice procedere ad accertare che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento); che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della pubblica amministrazione anche sotto il profilo oggettivo del dolo o della colpa (Cons. Stato, V, 2 maggio 2013, n. 2388).
Alla stregua di tali parametri la Sezione ritiene che non sussista nel caso di specie un danno ingiusto meritevole di ristoro atteso che la sentenza del Tar n.8669/2000 non riconosceva ex se al ricorrente il bene della vita al quale aspirava e cioè la idoneità al servizio di Polizia per sussistenza di tutti i requisiti attitudinali di cui all’art. 4 del d.P.R. 23.12.1983 n.904, ma si limitava ad annullare il giudizio di inidoneità del ricorrente per difetto di idonea motivazione con necessità implicita di una nuova valutazione della idoneità del ricorrente da parte della commissione. Pertanto, a seguito della pronunzia del giudice, la posizione del ricorrente continuava ad essere incerta, in astratto potendo lo stesso risultare inidoneo a seguito di un rinnovato giudizio della commissione formulato su presupposti diversi in ossequio alle statuizioni del Tar. Per questo, la sentenza di cui sopra, faceva salvi gli ulteriori provvedimenti della amministrazione non contenendo alcuna statuizione relativa alla nomina dell’interessato.
Risulta quindi evidente che la mancata nomina non è derivata in maniera automatica dall’annullamento del provvedimento mancando il nesso causale tra l’atto illegittimo e cioè il giudizio di inidoneità carente di motivazione, la mancata nomina, il mancato svolgimento dell’attività lavorativa ed infine la mancata percezione delle retribuzioni. D’altro canto nemmeno sussiste un danno derivante dal comportamento negligente della amministrazione nel dare esecuzione alla sentenza n.8669/2000 se si tiene conto del fatto che la sentenza è stata pubblicata il 26 ottobre 2000 e la decorrenza economica della nomina è dal 1° febbraio 2001, a distanza di pochi mesi dalla pubblicazione.
L’appello conclusivamente non merita accoglimento e la sentenza del Tar deve essere integralmente confermata.
Le spese ed onorari del grado in relazione alla peculiarità del petitum e la scarsa attività difensiva della amministrazione possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Deodato – Presidente FF
Vittorio Stelo – Consigliere
Roberto Capuzzi – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Depositata in Segreteria il 2 marzo 2015
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