Consiglio di Stato
sezione V
sentenza 5 dicembre 2014, n. 6029
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUINTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11027 del 2001, proposto dal sig. D.Tu. ed altri (…), rappresentati e difesi dall’avvocato An.Ab., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Il Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Br.Ri. ed altri (…), con domicilio eletto presso il signor Gi.Gr. in Roma, corso (…) ed altri (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, n. 4181/2000, resa tra le parti, concernente una concessione d’uso dell’area ed i conseguenti provvedimenti di autorizzazione all’installazione impianti di distribuzione carburanti, nonché la connessa concessione edilizia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, della s.p.a. Ku. e del signor Lu.Am.;
Vista la propria ordinanza n. 698 del 12 febbraio 2014, di interruzione del processo per morte di del signor Lu.Am.;
Visto l’atto di riassunzione del processo degli eredi del signor D.Tu.;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti l’avvocato Ri.Ar. ed altri (…);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il sig. D.Tu. impugnava davanti al TAR Campania – sede di Napoli (ricorso n. 875/2000 di r.g.) gli atti con i quali il Comune di Napoli concedeva in uso alla ditta Lu.Am. l’area sita in frazione Ponticelli, località masseria Molisso, via (…), censite al catasto terreni al foglio 116, p.lle 885, 220, 953 e 935, al fine di esercitarvi l’attività di gestione di un impianto di distribuzione di carburanti per conto della Ku. s.p.a. (provvedimento sindacale di concessione n. 219 del 23 luglio 1997 e successiva rettifica ed integrazione n. 264 del 31 luglio seguente; nonché la successiva delibera di giunta n. 291 del 20 febbraio 1998, con cui la ditta Lu.Am. veniva autorizzata a concentrare gli impianti precedentemente esercitati sul suolo concessogli; ed infine la concessione edilizia n. 396 del 14 giugno 1999).
Il ricorrente, in qualità di proprietario dell’area frontistante (foglio 9, part. 38, subalterni 101, 102, 103 e 104), si doleva del fatto che quella oggetto dei provvedimenti impugnati, non utilizzata nell’ambito del programma espropriativo, ai sensi della l. n. 219/1981 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 marzo 1981, n. 75, recante ulteriori interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti”), fosse stata assegnata a terzi, malgrado egli ne avesse in precedenza richiesto, con istanza in data 10 agosto 1995, “l’affidamento in fitto (o eventuale futuro acquisto)”, al fine di realizzarvi a propria cura e spese tutte le opere di pulizia e recinzione, ed avesse promosso un giudizio contro il silenzio rifiuto del Comune (ricorso iscritto al TAR Campania n. 557/1999).
2. In particolare, di tanto il sig. D.Tu. veniva a conoscenza dopo avere personalmente constatato l’avvio di lavori per la realizzazione sull’area in questione di un impianto di distribuzione di carburanti, proponendo conseguentemente davanti al medesimo TAR Campania l’impugnativa giurisdizionale nei confronti del relativo titolo ad edificare (ricorso n. 7932/1999).
Quindi, alla camera di consiglio del 19 novembre 1999, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il Comune di Napoli depositava tutti i provvedimenti inerenti all’area in questione, sopra citati, che il sig. Di Tuccio impugnava con distinto ulteriore ricorso, vale a dire quello iscritto al n. di r.g. 875/2000, definito in primo grado con la sentenza qui appellata.
3. Il TAR adito in parte respingeva ed in parte dichiarava irricevibile quest’ultima impugnativa.
Il giudice di primo grado giudicava infondate nel merito le censure svolte dal sig. D.Tu. nei confronti del provvedimento di concessione in uso dell’area, statuendo che l’esercizio sulla stessa di un impianto di distribuzione di carburanti soddisfacesse l’interesse pubblico “in misura nettamente prevalente rispetto all’uso proposto dal ricorrente”.
Per quanto invece concerne l’impugnativa nei confronti della concessione edilizia n. 396 del 14 giugno 1999 rilasciata in favore della controinteressata e “gli atti presupposti e richiamati espressamente in essa”, il TAR ne affermava la tardività, perché proposta con ricorso notificato il 5 gennaio 2000, sebbene la concessione risultasse conosciuta sin dal 4 ottobre 1999, epoca di proposizione della precedente impugnativa (vale a dire quella iscritta al TAR di Napoli al n. di r.g. 7932/1999, sopra menzionata).
4. Entrambe le statuizioni del giudice di primo grado sono state contestate dal sig. Di Tuccio nel presente appello.
5. Si sono costituiti in resistenza il Comune di Napoli e le controinteressate ditta Lu.Am. e Ku. s.p.a.
6. Con ordinanza n. 698 del 12 febbraio 2014, la Sezione ha dichiarato l’interruzione del processo, a causa del decesso del sig. Am..
7. Con “ricorso in riassunzione” ex art. 80 cod. proc. amm. notificato in data 18 aprile 2014 agli eredi del defunto alle altre parti in causa, gli eredi D.Tu. (a sua volta deceduto nelle more del presente appello) hanno proseguito il giudizio, trattenuto in decisione all’udienza del 12 novembre 2014.
DIRITTO
1. L’appello è fondato nei termini che seguono.
In fatto, è innanzitutto incontestato, ed inoltre risulta provato documentale nel corso del giudizio, che l’istanza di assegnazione dell’area in contestazione – proposta dal controinteressato sig. Lu.Am., titolare della ditta esercente attività di distribuzione di carburanti – è successiva a quella proposta dall’odierno appellante, essendo stata acquisita al protocollo del Comune di Napoli il 14 gennaio 1997.
E’ del pari incontroverso che l’amministrazione comunale ha provveduto su quest’ultima senza tenere in considerazione la precedente istanza dell’odierno appellante.
2. Il TAR ha quindi richiamato un orientamento giurisprudenziale, allora vigente, secondo cui in caso di concorrenti istanze di assegnazione in concessione di beni pubblici è obbligo dell’amministrazione valutare comparativamente quale tra queste sia quella che maggiormente risponda al pubblico interesse, dichiarando di condividerlo.
Ciò nondimeno, il giudice di primo grado ha disatteso le censure formulate dal sig. D.Tu., statuendo che “non può sussistere alcun dubbio che l’utilizzazione del suolo in contestazione, per la dislocazione di un impianto di distribuzione di carburanti, soddisfi l’interesse pubblico in misura nettamente prevalente rispetto all’uso proposto dal ricorrente che si era limitato a dichiarare la propria disponibilità per la realizzazione di opere di pulizia e di recinzione”; e concludendo quindi nel senso che “in considerazione dell’assoluta incomparabilità delle istanze, l’amministrazione non era tenuta ad esplicitare le ragioni del diniego che erano di immediata comprensione”.
3. Una simile ratio decidendi non può essere tuttavia condivisa e sono dunque fondate le censure contenute nel primo motivo d’appello.
Attraverso di essa, il giudice di primo grado si è infatti sostituito al Comune resistente, effettuando in luogo di questo le valutazioni invece riservate alla sfera di amministrazione e cioè la comparazione di contrapposte istanze per l’utilizzo di un’area pubblica.
Il TAR ha dunque esorbitato dai limiti di un giudizio di legittimità quale quello promosso dal sig. D.Tu., con il risultato di desumere in sede giurisdizionale una motivazione ed una istruttoria, prodromici alla concessione d’uso dell’area in contestazione, del tutto carenti sotto il profilo della valutazione comparativa delle due istanze di assegnazione in godimento dell’area.
A questo specifico riguardo, deve sottolinearsi che l’amministrazione – e solo essa – è tenuta ad effettuare un simile giudizio, in ragione dei principi di imparzialità, trasparenza e di ‘riserva dell’amministrazione’ che informano il suo agire autoritativo.
Ciò è stato affermato, da ultimo, dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza del 25 febbraio 2013, n. 5, la quale ha rilevato che anche la concessione di beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico da parte di privati deve avvenire previo esperimento di procedure ad evidenza pubblica.
4. Non possono inoltre essere condivise le deduzioni difensive del Comune di Napoli e della Ku., secondo cui l’odierno appellante sarebbe titolare di un “interesse di fatto”, per avere presentato un’istanza di assegnazione dell’area priva di specificazione del relativo utilizzo.
L’assunto è in primo luogo inficiato da una inadeguata ricostruzione del tenore dell’istanza presentata nell’agosto del 1995 dal sig. D.Tu., nel quale questi si dichiara, quale proprietario frontistante, disponibile ad effettuare a propria cura e spese i necessari lavori di sistemazione e recinzione dell’area, non utilizzata dal soggetto risultato a suo tempo concessionario dell’espropriazione ex l. n. 219/1981 ed in seguito a ciò divenuta luogo di abbandono incontrollato di rifiuti.
5. In secondo luogo, le difese dell’amministrazione e della controinteressata non hanno tenuto conto dei principi enunciati dalla pacifica giurisprudenza, secondo cui la proprietà di un’area vicina e la manifestazione dell’interesse ad un determinato sfruttamento sono sufficienti a fondare un ‘interesse differenziato’ a che anche una propria domanda venga esaminata dall’autorità competente, al fine di verificare se l’utilizzo rappresentato da un altro soggetto privato istante sia congruente con le finalità di pubblico interesse che l’autorità titolare dell’area intende soddisfare, una volta venuta meno l’originaria destinazione della stessa alle opere di pubblica utilità per le quali era stata inserita in un programma espropriativo.
6. Del pari, poiché l’aspirazione ad un utilizzo privato del bene risultava noto al Comune, attraverso l’istanza del sig. D.Tu. poc’anzi menzionata, non avrebbe dovuto l’Amministrazione concedere l’area in questione a terzi, senza prima consentire all’odierno appellante di interloquire in sede procedimentale, attraverso l’invio della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, e dunque quale soggetto, facilmente individuabile, potenzialmente pregiudicato, nell’interesse pretensivo rappresentato, dal rilascio della concessione dell’uso dell’area ad altri.
7. Pertanto, sono fondati i primi due motivi d’appello.
8. Il terzo motivo non può invece essere accolto, perché il titolo concessorio dell’uso dell’area rilasciato in favore della controinteressata ditta Lu.Am. è soggetto a rinnovo periodico (triennale), per cui nessuna perpetuità paventata dall’odierno appellante è configurabile.
9. E’ invece fondato il quarto motivo d’appello, essendo in parte errata la statuizione di irricevibilità emessa dal TAR.
Il giudice di primo grado ha infatti correttamente ritenuto tardiva la presente impugnativa nei confronti della concessione edilizia n. 396 del 1999, avendone collocato la conoscenza in capo al sig. d.Tu. all’epoca di proposizione del ricorso contro lo stesso provvedimento iscritto al n. di r.g. 7932/1999 (definito con decreto di perenzione n. 24702 del 7 novembre 2012), e cioè al 4 ottobre 1999, laddove il ricorso di primo grado di cui al presente giudizio è stato notificato il 5 gennaio 2000.
Ha invece errato il TAR ad estendere tale dichiarazione ai relativi atti presupposti, tra cui il provvedimento di concessione di uso dell’area, di cui alla delibera di giunta n. 291 del 20 febbraio 1998.
Infatti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, per quest’ultimo provvedimento, i cui atti non sono mai stati comunicati all’odierno appellante, non risulta in alcun modo provato che questi ne abbia avuto conoscenza in epoca antecedente alla camera di consiglio del 10 novembre 1999, fissata nell’ambito del ricorso n. di r.g. 7932/1999 poc’anzi citato.
10. Nondimeno, l’invalidità del presupposto provvedimento di concessione dell’area, come sopra accertata, determina la trasmissione in via derivata di tale vizio alla concessione edilizia e con effetto viziante, stante il rapporto di consequenzialità del titolo ad edificare rispetto a quello concessorio dell’area. Sul punto occorre infatti evidenziare, anche in risposta alle deduzioni difensive della Ku., che pretende di attribuire alla concessione edilizia valenza di provvedimento presupposto rispetto alla concessione d’uso dell’area, che solo dopo avere ottenuto il godimento di quest’ultima la ditta Ammaturo controinteressata ha potuto conseguire il titolo ad edificare, ex art. 4 l. n. 10/1977 (“Norme in materia di edificabilità dei suoli”).
A conferma di ciò va notato che nel preambolo di quest’ultimo provvedimento si opera un richiamo alla concessione di cui al decreto sindacale n. 219 del 23 luglio 1997 e alla successiva rettifica n. 264 del 31 luglio seguente.
11. Deve peraltro darsi atto che la controinteressata società Ku. sostiene che la perenzione del ricorso n. 7932/1999 contro la concessione edilizia n. 396 del 14 giugno 1999, “”cristallizza” irreparabilmente” la dichiarazione di irricevibilità dell’impugnativa nei confronti del medesimo provvedimento pronunciata nel presente giudizio dal giudice di primo grado.
L’assunto non può tuttavia essere condiviso, perché la statuizione del giudice di primo grado è stata ritualmente impugnata dal sig. D.Tu. nel presente appello, proposto in epoca di gran lunga antecedente al decreto di perenzione, cosicché lo stesso appellante (al quale sono subentrati i suoi eredi) può giovarsi dell’effetto viziante dell’annullamento del presupposto provvedimento di concessione dell’uso dell’area, tempestivamente impugnato nel presente giudizio.
12. In conclusione, in accoglimento dell’appello, la sentenza del TAR Napoli con esso impugnata deve essere riformata, dovendo essere accolto il ricorso di primo grado del sig. Di Tuccio, con annullamento di tutti gli atti impugnati, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta – definitivamente pronunciando sull’appello n. 11027 del 2001, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso proposto dal sig. d.Tu. (r.g. n. 875/2000), annullando gli atti con esso impugnati.
Condanna le parti appellate Comune di Napoli, Ku. s.p.a. e gli eredi di Lu.Am. le spese del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidate in Euro 10.000,00, oltre agli accessori di legge.
Dispone che le parti appellate, sempre in solido tra loro, rimborsino alla parte appellante il contributo unificato complessivamente versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Carlo Saltelli – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Depositata in Segreteria il 5 dicembre 2014.
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