Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 24 novembre 2014, n. 48744
Ritenuto in fatto
1. Il GdP di Termoli con la sentenza di cui in epigrafe ha dichiarato ndp a carico di P.A. in relazione al reato di cui all’articolo 590 cp per essere esso estinto per remissione di querela; ha assolto la predetta dal reato di cui all’articolo 689 cp perché il fatto non sussiste.
1.1. Il capo di imputazione recita: “quale gestore del negozio Limongi Sisa, vendeva a minori di anni 16 bevande alcoliche, provocando così per imprudenza e negligenza lesioni a D’A.R., che, bevendo gli stessi liquori, entrava in coma etilico”.
2. Ricorre per cassazione il competente procuratore generale e, con riferimento alla contravvenzione di cui all’articolo 689 cp, deduce violazione di legge atteso che la assoluzione è intervenuta perché il giudicante ha erroneamente ritenuto che la vendita di bevande alcoliche non possa essere ricondotta al concetto di somministrazione.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
2. Da un punto di vista semantico, il concetto di somministrazione e più ampio di quello di vendita e sembra addirittura comprenderlo o, quantomeno, non escluderlo, atteso che “somministrare” è sinonimo di “fornire”, “dare”, “distribuire”, “consegnare”, di talché è certamente possibile che una bevanda sia veduta e quindi somministrata in un unico, indistinto contesto temporale; anzi ciò rappresenta l’id quod plerumque accidit in un bar, atteso che si tratta di un esercizio commerciale.
2.1. Questa sezione, con la sentenza ASN 201304320-RV 254391 ha chiarito che non sussistono gli estremi della fattispecie costitutiva del reato di somministrazione di bevande alcooliche a persona in stato di manifesta ubriachezza, qualora quest’ultima abbia direttamente prelevato la bevanda dal frigobar (servendosi da sé: cosiddetto selfservice), in quanto, in tal caso, la richiesta della merce avviene attraverso un comportamento concludente ed il cliente può consumarla prima ancora di pagarla, con la conseguenza che né il titolare né il gestore del negozio prestano alcun consenso in ordine al prelievo ed al consumo della bevanda e, pertanto, essi non rivestono una posizione di garanzia nei confronti dei clienti. E ovvio, che, ricorrendo la eadem ratio, il principio va applicato anche alla ipotesi contravvenzionale ex art. 689 cp, atteso che non sono indifferenti né la condotta di colui che fruisce della bevanda, né le modalità con le quali è venuto in possesso della stessa, modalità che certamente possono dipendere da “situazioni ambientali”, essendo evidente, ad esempio, che ben diversa è l’ipotesi in cui la bevanda venga consegnata dal gestore del locale (o da un suo dipendente, cfr. ASN 201346334- RV 257563), da quella in cui sia lo stesso consumatore ad appropriarsene, prelevandola, come nel caso di cui alla ricordata sentenza, da un frigobar, ovvero dagli scaffali di un supermercato.
3. Nel caso in esame, la sentenza impugnata nulla precisa in proposito (né questa corte può autonomamente accertarlo, accedendo agli atti), pur trattandosi, come precisato, di circostanza determinante.
4. In ragione di tutto quanto premesso, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame all’ufficio del giudice di pace di Termoli, limitatamente alla contravvenzione di cui all’articolo 689 cp. Il giudice dei rinvio accerterà le circostanze sopra specificate e adotterà la conseguente decisione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla contravvenzione di cui all’articolo 689 cp, con rinvio per nuovo esame all’ufficio del giudice di pace di Termoli.
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