Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 21 ottobre 2014, n. 43811

 

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del tribunale della liberta’ di NAPOLI in data 30/01/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto annullarsi l’impugnata ordinanza senza rinvio;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30/01/2014, depositata in data 12/02/2014, il tribunale del riesame di NAPOLI rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di (OMISSIS), confermando l’ordinanza emessa dal GIP presso il medesimo tribunale in data 28/10/2013; giova premettere, per migliore intelligibilita’ della decisione, che con decreto 5/06/2013, il GIP del tribunale di NAPOLI disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di vari indagati, tra cui il (OMISSIS), quale legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) s.r.l., in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, per aver omesso di versare entro il 27 dicembre 2011, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale 2010, pari ad euro 76.800,00.
2. Ha proposto ricorso il (OMISSIS) a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la predetta ordinanza e deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione ed erronea applicazione degli articoli 321 e 322 ter c.p.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per non aver il tribunale del riesame tenuto conto del fatto che l’intervenuta sanatoria della posizione tributaria ed il versamento dell’imposta evasa farebbero venir meno la funzione sanzionatoria della confisca; nel caso in esame, il debito tributario della societa’ sarebbe stato assolto da un terzo soggetto (la (OMISSIS) S.p.A.) che non avrebbe nemmeno avuto alcuna possibilita’ di rivalsa sulla societa’ amministrata dall’indagato, ne’ sul medesimo, in virtu’ di una compensazione con pregressi crediti vantati da quest’ultima.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera c), per violazione dell’articolo 322 ter c.p.p., con riferimento al rapporto tra l’obbligato, l’autore del reato ed il terzo garante.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver il tribunale del riesame operato confusione tra i diversi soggetti coinvolti nel procedimento; orbene, osserva sul punto la difesa del ricorrente, l’illecito profitto dei reati tributari non e’ mai appannaggio dell’amministratore della societa’, sicche’ non rileva – come invece sembrerebbe emergere dall’impugnata ordinanza – ne’ da dove provenga la provvista per il pagamento ne’ se vi sia stato o meno un decremento del patrimonio personale dell’amministratore indagato.
Diversamente, si aggiunge in ricorso, l’adempimento del debito verso l’Erario fa venir meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca, sicche’ la restituzione del profitto derivante dal reato, elimina in radice lo stesso oggetto su cui dovrebbe incidere la confisca. La circostanza che la misura cautelare/sanzionatoria colpisca la persona dell’amministratore non sarebbe quindi collegata all’illecito arricchimento di quest’ultimo, ma unicamente all’illecito arricchimento della societa’ stessa e le ragioni della cautela verrebbero meno con l’avvenuto pagamento; nel caso del (OMISSIS), questo non avrebbe fruito personalmente degli indebiti vantaggi conseguenti all’omesso versamento IVA da parte della societa’ da lui amministrata, ne’ tantomeno la stessa (OMISSIS) s.r.l. conserverebbe tale illecito profitto, avendo pagato il debito tributario, con conseguente decremento definitivo del suo patrimonio.
Infine, si sottolinea nel ricorso, del tutto inconferente appare il richiamo agli altri sequestri operati in danno di altre societa’ del Gruppo (OMISSIS), con particolare riferimento ai provvedimenti riguardanti altre societa’ ( (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) s.r.l.) con cui al medesimo indagato sono stati sequestrati tutti i beni personali in quanto ritenuto amministratore di fatto di tali societa’; la circostanza che tali societa’ non abbiano provveduto al pagamento dei debiti erariali costituisce un dato di fatto del tutto estraneo al presente procedimento, non comprendendosi in che modo esso possa sminuire di significato l’avvenuto pagamento dell’imposta dovuta dalla (OMISSIS) s.r.l..
In definitiva, quindi, la ricostruzione operata dall’ordinanza impugnata porterebbe all’illogica conclusione secondo cui al pagamento dei debiti tributari della societa’ debba provvedere solo l’amministratore con il proprio patrimonio personale; diversamente il pagamento dell’imposta da parte della societa’ debitrice grazie all’intervento dalla (OMISSIS) S.p.A., con il relativo decremento patrimoniale in capo alla prima, rappresenterebbe condizione necessaria e sufficiente alla revoca del disposto sequestro a carico del (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ fondato per le ragioni di cui si dira’ oltre.
4. Deve, anzitutto, essere ricordato in questa sede che la Corte costituzionale, con sentenza 7-8 aprile 2014, n. 80 (Gazz. Uff. 16 aprile 2014, n. 17 – Prima serie speciale), ha dichiarato, l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al (OMISSIS), punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38.
La Corte Costituzionale, chiamata a valutare la compatibilita’ dell’assetto previgente alla luce del principio di uguaglianza, ha ricondotto non i livelli piu’ alti attinenti agli illeciti di dichiarazione infedele e di dichiarazione omessa verso il margine di cinquantamila euro fissato per la figura delittuosa delineata nell’articolo 10 ter, in collegamento con l’articolo 10 bis, bensi’, proprio quest’ultima soglia, ai valori scriminanti superiori e, in particolare, a quello di euro 103.291,38 (duecento milioni di lire), cristallizzato nella dimensione testuale dell’articolo 4, come anteriore alla mini-riforma del 2011. Con l’incostituzionalita’ parziale dell’articolo 10 ter, dunque, si e’ creata un’ampia area di impunita’ in tema di omesso versamento Iva, tale da impedire l’irrogazione della pena per i mancati pagamenti per importi compresi tra euro 50.000,00 (il limite di cui alla disposizione) ed euro 103.291,38 (riscontrabile nell’originaria versione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, e preso a riferimento poiche’ valore piu’ alto di quello fissato nell’articolo 5 del medesimo decreto).
Pertanto, se la decisione di condanna non e’ ancora divenuta res iudicata, si determina la salvezza per quei mancati pagamenti, per importi superiori a euro 50.000,00 ma non oltre euro 103.291,38, concernenti i periodi d’imposta 2005 (per la cui attrazione al reato ex articolo 10 ter, pur tra i dubbi avanzati da certa dottrina, basti rammentare Cass. pen., SS.UU., sent. n. 37424 del 12 settembre 2013), 2006, 2007, 2008 e 2009, ma non anche il 2010 che, considerando la scadenza riferibile al 27 dicembre 2011 (cfr. articolo 6, comma 2, della Legge n. 405/1990, nonche’ la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 4 agosto 2006), rientra gia’ nel nuovo regime agganciabile alla riforma del 2011 e, quindi, alla dimensione testuale (e ormai armonizzata) della soglia di euro cinquantamila.
Ne discende, pertanto, che, nel caso in esame, la predetta sentenza della Corte costituzionale non esplica i propri effetti, atteso che si tratta di fatti successivi al 17 settembre 2011 (omesso versamento IVA relativo all’anno 2010, con conseguente individuazione del termine per il pagamento in data 27 dicembre 2011) per un importo di euro 76.800,00, superiore quindi alla soglia avente rilevanza penale di euro 50.000,00.
5. Puo’ quindi procedersi all’esame dei motivi di ricorso che, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza mossi, possono essere esaminati congiuntamente.
Gli stessi appaiono fondati.
Ed invero, il tribunale del riesame di NAPOLI, decidendo in sede di appello cautelare, ha ritenuto irrilevante, ai fini della richiesta revoca del sequestro per equivalente, la circostanza del pagamento del debito tributario della societa’ (OMISSIS) s.r.l. da parte del terzo (la (OMISSIS) S.p.A.), sulla base dei seguenti rilievi:
a) la produzione documentale della difesa (consistente in una nota, priva di data, a firma dell’amministratore delegato della predetta S.p.A., in cui questi dichiara di aver provveduto il 30/08/2013 al pagamento del debito IVA della (OMISSIS) 3 s.r.l., con modello F24 per un importo pari all’imposta evasa, specificandosi che tale pagamento e’ riferibile a crediti di natura commerciale e va considerato in parziale deconto del maggior credito vantato dalla societa’ debitrice verso l’Erario) non consentirebbe di ritenere provata la riconducibilita’ all’indagato del versamento della somma dovuta all’Erario da parte della societa’ debitrice;
b) non sarebbe possibile vincere dagli atti la reale esistenza di rapporti commerciali tra le due societa’, come la natura e l’entita’ di asserite posizioni creditorie della (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della (OMISSIS) S.p.A.;
c) il venir meno del vincolo cautelare verrebbe meno esclusivamente a seguito del versamento integrale dell’imposta evasa, costituente l’illecito profitto, ad opera dell’obbligato/autore del reato o del terzo garante, soddisfatto dalla rivalsa;
d) non sarebbe provata l’effettiva diminuzione del patrimonio personale dell’indagato, corrispondente all’illecito profitto;
e) infine, alla luce dell’attivita’ investigativa svolta e in considerazione del sequestro preventivo emesso il 5/07/2013 delle partecipazioni societarie facenti capo al (OMISSIS), la restituzione all’indagato delle quote sociali della (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) s.r.l. (oggetto di sequestro preventivo nel presente procedimento per una valore complessivo di euro 77.900,00), finirebbe per eludere le esigenze preventive poste a fondamento dei sequestri preventivi per equivalente disposti dal GIP nel separato procedimento.
6. Sul punto gli argomenti del giudice del riesame non convincono. Anzitutto, in quanto il principio di diritto cui si richiamano i giudici campani non appare applicabile alla fattispecie in esame. Ed infatti, se e’ ben vero, da un lato, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all’ammontare dell’imposta evasa, puo’ essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria (Sez. 3, n. 46726 del 12/07/2012 – dep. 03/12/2012, Lanzalone, Rv. 253851) e che, ancora, dall’altro lato, il mantenimento della misura ablativa e’ giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente (momento superato il quale non ha piu’ ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo), e’ altrettanto vero che – come risulta nel caso in esame – il terzo che ha provveduto al pagamento del debito tributario (la (OMISSIS) S.p.A.) ha rilasciato una dichiarazione liberatoria (non rilevando la circostanza che la stessa sia o meno priva di data, attesa la produzione del modello F24 attestante il pagamento della somma corrispondente al debito tributario in data 30/08/2013), in cui si precisava che detto pagamento veniva effettuato per conto della (OMISSIS) 3 s.r.l., e computato in parziale deconto del maggior credito vantato da quest’ultima societa’, con cio’ escludendosi in radice la stessa possibilita’ di esperire azione di rivalsa nei confronti di quest’ultima, atteso che la stessa risultava ancora creditrice di ulteriori maggiori importi. Nel caso di specie, pertanto, e’ documentalmente provato che vi e’ stato un decremento patrimoniale per la (OMISSIS) s.r.l. pari al pagamento disposto dalla (OMISSIS) S.p.A., sicche’ il pagamento della somma dovuta all’Erario da parte di quest’ultima societa’ elimina l’indebito vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa della s.r.l., trattandosi di pagamento del debito tributario che, sebbene non avvenuto da parte dell’obbligato principale, non giustificherebbe il mantenimento del sequestro non permanendo in capo all’indagato, debitore verso l’Erario, alcun vantaggio economico (indebito arricchimento) conseguito dall’azione delittuosa, proprio perche’ con il pagamento, il terzo, dichiaratosi debitore verso l’indagato (rectius, verso la societa’ debitrice), non ha semplicemente versato la somma all’indagato/creditore, ma ha anche saldato il debito che quest’ultimo aveva nei confronti dell’Erario. Il pagamento, in altri termini, e’ stato si eseguito dal terzo, ma all’indagato non e’ residuato alcun illecito vantaggio economico, in quanto questi avrebbe dovuto percepire quella somma dal suo debitore (la (OMISSIS) S.p.A.), ma a seguito del conseguente pagamento da quest’ultimo all’Erario ha definito il debito nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, senza che si sia verificato alcun ingiustificato arricchimento.
Quanto, infine, all’incidenza dei fatti emersi nel separato procedimento con riferimento alla presente vicenda cautelare (il riferimento al decreto di sequestro preventivo del luglio 2013), la stessa non assume rilievo con riferimento all’effetto solutorio conseguito all’adempimento integrale del debito tributario da parte della (OMISSIS) s.r.l., sicche’ le argomentazioni espresse nell’ordinanza impugnata esplicano piu’ un effetto suggestivo che reale con riferimento alla questione prospettata in sede di appello cautelare dalla difesa del ricorrente (del resto, si noti, il sequestro delle quote delle societa’ (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) S.p.A., disposte nel presente procedimento, e’ antecedente al sequestro del luglio 2013, sicche’ l’argomento sostenuto dal tribunale del riesame in sede di appello cautelare – che si riferisce alla salvaguardia di esigenze cautelari relative a diverso procedimento – incorre in un evidente errore di diritto, atteso che, data la finalita’ ablativa-sanzionatoria, il sequestro per equivalente non richiede specifiche esigenze cautelari, essendo sufficiente soltanto il fumus criminis e la corrispondenza tra il valore dei beni oggetto del sequestro e il profitto o il prezzo dell’ipotizzato reato tributario: v., da ultimo: sez. III, sentenza n. 19034/13, depositata il 2 maggio 2013, non massimata).
7. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto, con conseguente annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza al tribunale di Napoli che rivalutera’ l’istanza di dissequestro delle quote delle predette societa’ alla luce di quanto deciso da questa Corte, anche per quanto concerne la prova dell’effettivo pagamento (rilascio della quietanza da parte del creditore erariale).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di NAPOLI.

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