CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 3 novembre 2014, n. 23371

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 5-5-2004 P.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Agrigento i figli N.M. , Nu.Ma. ed N.A. esponendo:
– con atto ricevuto il 10-3-2000 dal notaio Comparato di Agrigento Nu.Ar. (deceduto nell’agosto di quell’anno), coniuge dell’attrice e padre dei convenuti, aveva ceduto in parti uguali tra di loro ai figli A. e Ma. , per il corrispettivo di L. 63.500.000 ciascuno, l’intera sua quota di partecipazione al capitale sociale della s.r.l. Alberghiera Mosè (ripartito tra N.A. , Nu.Ma. , N.A. e P.G. );
– allo stesso modo Nu.Ar. con atto ricevuto il 13-3-2000 dal notaio Comparato aveva ceduto, sempre ai figli Alfonso e Marco in parti uguali tra di loro, per il corrispettivo di lire 7.000.000 ciascuno, l’intera sua quota di partecipazione al capitale sociale della s.r.l. A. Nuara e Figli (ripartito tra i medesimi Nu.Ar. , N.A. , Nu.Ma. e P.G. );
– peraltro con scrittura privata del 10-3-2000, alla quale aveva partecipato anche il figlio N.M. , rimasto formalmente estraneo agli atti pubblici, le parti avevano dato reciprocamente atto che le cessioni delle quote sociali erano assolutamente simulate, non avendo Nu.Ar. da una parte ed N.A. e Nu.Ma. dall’altra inteso rispettivamente trasferire ed acquistare alcunché, con la conseguenza che le suddette quote erano rimaste nella disponibilità di Nu.Ar. ;
– deceduto il (omissis) Nu.Ar. , la sua successione veniva regolata secondo le disposizioni espresse nel testamento olografo redatto l’11-3-2000, accettato da tutti gli interessati che avevano provveduto con atto di divisione per notaio Comparato del 20-4-2001 a dividere i beni immobili;
nel richiamato testamento Nu.Ar. aveva disposto, tra l’altro, in favore della moglie P.G. legando alla stessa l’usufrutto di tutte le sue proprietà personali ed ogni credito di qualsiasi natura vantato dal testatore.
Tanto premesso l’attrice, rilevato che in conseguenza della pacifica natura simulata degli atti di trasferimento delle quote societarie queste erano rimaste nel patrimonio del “de cuius” e che di tale patrimonio l’esponente aveva l’usufrutto, chiedeva che, dichiarata la simulazione assoluta degli atti di cessione, venisse dichiarato il proprio diritto di usufrutto sulla quote di partecipazione al capitale sociale delle predette società, ovvero, in subordine, il diritto sulle quote stesse a titolo di erede nella misura di legge.
N.A. , costituitosi in giudizio, si rimetteva alle determinazioni del giudice; Nu.Ma. e N.M. chiedevano il rigetto delle domande attrici; N.M. chiedeva in via riconvenzionale che si affermasse – sulla base del testamento di N.A. – il diritto di proprietà piena dei tre fratelli sulle quote societarie in parti uguali tra di loro.
A sua volta la P. chiedeva che venisse dichiarato il suo diritto di proprietà ad una quota dell’eredità di Nu.Ar. nella misura di legge.
Il Tribunale adito con sentenza del 10-3-2005 accoglieva sia le domande della P. (ovvero dichiararsi la simulazione assoluta degli atti di trasferimento suddetti e dichiararsi il diritto di usufrutto dell’attrice sulle quote di partecipazione al capitale sociale) che quella riconvenzionale di N.M. (cioè dichiararsi che le quote societarie di Nu.Ar. avrebbero dovuto essere attribuite agli eredi, quindi ai tre figli in parti uguali tra di loro); rigettava invece la domanda della P. volta al riconoscimento della proprietà di una quota di eredità relitta del “de cuius” osservando che l’attrice aveva agito per conseguire il legato (disposto evidentemente in sostituzione di legittima), ed aveva pertanto perso il diritto di chiedere un supplemento nel caso in cui il valore del legato fosse risultato inferiore alla legittima.
Proposta impugnazione da parte di Nu.Ma. si costituivano in giudizio la P. e N.M. introducendo separati appelli incidentali; N.A. , pure costituitosi in giudizio, si rimetteva sostanzialmente alla decisione dei giudici.
La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 21-10-2008, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, ha eliminato da detta sentenza la statuizione con la quale si dichiarava il diritto di usufrutto della P. sulle quote di partecipazione di Nu.Ar. al capitale sociale delle s.r.l. Alberghiera Mosè e A. Nuara e Figli.
Il giudice di appello ha premesso che il testamento redatto da Nu.Ar. era del seguente tenore: “Disposizione di ultima volontà.
l’anno duemila il giorno undici del mese di marzo nel pieno possesso della mia facoltà fisiche e mentali dispongo come appresso delle mie sostanze – Revoco ogni mia precedente disposizione Istituisco eredi universali i miei tre figli A. , M. e Ma. . Lego a mia moglie P.G. l’usufrutto di tutte le mie proprietà personali ed ogni credito di qualsiasi natura da me vantato a qualunque titolo. Lego ai miei figli Alfonso e Marco la quota di mia proprietà di tutti i miei beni personali andrà parti uguali pro indiviso a tutti i miei eredi. Voglio che tutti i beni, la quota societaria e la nuda proprietà siano soggetti al diritto di prelazione a favore dei fratelli in caso di vendita o di trasferimento a qualunque titolo da parte degli eredi.
Nu.Ar. n. 15 gennaio 1926”.
La Corte territoriale, nell’interpretare la suddetta scheda testamentaria, richiamato il principio ermeneutico secondo il quale le clausole dell’atto devono essere interpretate le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto stesso, non adeguatamente applicato dal giudice di primo grado, ha attribuito rilevanza decisiva al fatto che il testatore aveva legato alla moglie l’usufrutto delle sue “proprietà personali”, aggettivo quest’ultimo subito dopo ripetuto dal testatore, che aveva disposto che la quota di sua proprietà di tutti suoi “beni personali” fosse attribuita in parti uguali “pro indiviso” a tutti gli eredi; inoltre il Tribunale aveva trascurato la successiva disposizione, altamente significativa, che aveva assoggettato al diritto di prelazione in favore dei tre fratelli nominati eredi universali “in caso di vendita o di trasferimento a qualunque titolo da parte degli eredi”, “tutti i beni, la quota societaria e la nuda proprietà”; ha aggiunto che la distinzione tra “quota societaria” e “nuda proprietà”, effettuata con riferimento soltanto ai fratelli nominati eredi universali, induceva a ritenere che, quando il testatore si era riferito alle sue proprietà “personali”, lasciandone l’usufrutto alla moglie, avesse inteso riferirsi essenzialmente ai beni immobili; d’altra parte, essendo evidente l’intenzione di Nu.Ar. che i beni restassero in famiglia, si spiegava la previsione del diritto di prelazione, in caso di vendita della “quota societaria” (come della “nuda proprietà”) da parte degli eredi, in favore degli altri fratelli; mentre una analoga preoccupazione non era stata espressa in ordine alla legataria P.G. che, se avesse conseguito l’usufrutto delle quote societarie, avrebbe potuto liberamente disporne, consentendo ad estranei alla famiglia di incidere sull’andamento delle società; pertanto doveva essere affermato che ogni diritto sulle quote societarie appartenenti ad Nu.Ar. spettava agli eredi Nu.Ma. , N.A. e N.M. .
La sentenza impugnata ha poi disatteso l’appello incidentale della P. con il quale era stato invocato il diritto ad una quota ereditaria di Nu.Ar. , deducendo che il legato attribuitole era in conto e non già in sostituzione di legittima; al riguardo ha rilevato che il “de cuius” con il suddetto testamento aveva disposto dell’intero suo patrimonio, cosicché presupporre che la P. potesse reclamare la sua quota di eredità avrebbe significato incidere sulle disposizioni adottate dal testatore; ed era indiscutibile che la prima volontà di quest’ultimo fosse quella del rispetto delle sue disposizioni, così da escludere che queste potessero essere contestate da un legittimario insoddisfatto; inoltre doveva pure tenersi conto che la clausola testamentaria che prevedeva il diritto di prelazione – in caso di vendita o di trasferimento dei beni a qualunque titolo – riguardava soltanto i fratelli in quanto solo costoro erano eredi; ciò confermava che il testatore aveva voluto devolvere l’eredità soltanto ai figli, tacitando la moglie con il legato di usufrutto.
Avverso tale sentenza la P. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi cui Nu.Ma. e N.M. hanno resistito con separati controricorsi; N.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve rilevarsi che, contrariamente a quanto eccepito dai controricorrenti, entrambi i motivi di ricorso sono corredati da quesiti di diritto ex art. 366 “bis” c.p.c. (applicabile alla fattispecie “ratione temporis”) in ordine ai quali è agevole comprendere dalla sola lettura quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione della ricorrente, la regola da applicare; analogamente nei suddetti motivi è riscontrabile una indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, nonché le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione stessa la renda inidonea a giustificare la decisione.
Tanto premesso, si osserva che con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 587-1362-1363-1365 e 1369 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che il legato di usufrutto disposto in favore dell’esponente comprendesse solo te proprietà immobiliari ed i crediti relitti dal testatore, ma non anche le partecipazioni societarie di cui quest’ultimo era titolare e che avrebbe inteso lasciare in proprietà piena ai tre figli in parti uguali tra loro.
La P. sostiene che la Corte territoriale ha violato le norme sopra riportate nell’affermare che, al fine dell’interpretazione della volontà testamentaria di Nu.Ar. , quale espressa con la clausola istitutiva di eredi e con quella attributiva del legato, peraltro di facile ed inequivocabile lettura, avesse valenza altamente significativa l’incongrua distinzione tra “tutti i beni”, “la nuda proprietà” e “la quota societaria” operata dal “de cuius” in un passaggio meramente marginale del documento, attributivo di un diritto (quello relativo alla prelazione) già riconosciuto dalla legge, certamente estraneo al negozio testamentario in senso stretto, integrante una previsione ascrivibile alla categoria delle disposizioni complementari accessorie all’istituzione di erede o al legato; per altro verso era evidente il vizio di motivazione che in cui è incorso il giudice di appello in quanto, avendo attribuito rilievo decisivo alla distinzione tra “la nuda proprietà” e “la quota societaria”, ha trascurato l’altra categoria indicata nella clausola, ovvero “tutti i beni”; se invero egli avesse esaminato l’intera clausola, avrebbe rilevato l’incongruità di simili espressioni, non ravvisandosi altri “beni” relitti diversi dalla “nuda proprietà” e dalla “quota societaria” da assoggettare al diritto di prelazione dei fratelli; la suddetta clausola era poi stata travisata nel suo contenuto, posto che il diritto di prelazione era stato disposto dal testatore non già in favore degli “eredi”, come ritenuto dalla Corte territoriale, ma in favore dei soli “fratelli”.
La ricorrente quindi afferma che il giudice di appello avrebbe dovuto interpretare la clausola attributiva della disposizione a titolo particolare (“Lego a mia moglie P.G. l’usufrutto di tutte le mie proprietà personali ed ogni credito di qualsiasi natura da me vantato a qualunque titolo”) secondo il primario criterio della letteralità e della ricerca della effettiva volontà del disponente, ed anche in maniera sistematica, alla luce dell’altra clausola istitutiva degli eredi (“Istituisco eredi universali i miei tre figli A. , M. e Ma. “), così da riconoscere all’esponente il diritto di usufrutto sulle quote societarie relitte dal coniuge; viceversa la Corte territoriale, in aperta violazione dei menzionati criteri ermeneutici, ha attribuito alle espressioni utilizzate dal testatore un significato diverso da quello oggettivo, e perfino diverso da quello che, data la sua età, la mentalità e la cultura, poteva avere loro attribuito il testatore; invero sotto il profilo del significato oggettivo le quote societarie – tanto che le si voglia considerare quali “beni immateriali” quanto invece quali “diritti di credito” – rientrano nella predetta disposizione a titolo particolare, avendo il testatore chiaramente inteso riferirsi all’intero suo patrimonio; alle stesse conclusioni si giungeva attribuendo alle espressioni usate il significato che ad esse poteva aver presumibilmente attribuito il testatore, il quale aveva probabilmente inteso le quote di partecipazioni alle società di famiglia quali sue “proprietà personali”.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, dopo aver richiamato la disposizione con la quale il testatore aveva legato alla moglie P.G. “l’usufrutto di tutte le mie proprietà personali ed ogni credito di qualsiasi natura da me vantato a qualunque titolo”, ha fatto altresì riferimento, in puntuale applicazione del criterio ermeneutico dell’art. 1363 c.c. riguardante l’interpretazione complessiva delle clausole, alla successiva disposizione del seguente tenore: “Voglio che tutti i beni, la quota societaria e la nuda proprietà siano soggetti al diritto di prelazione a favore di fratelli in caso di vendita o di trasferimento a qualunque titolo da parte degli eredi”, posto che l’espressa previsione di un diritto di prelazione in favore dei fratelli – che invero erano stati istituiti eredi universali -avente ad oggetto “la quota societaria”, rendeva chiara la volontà del legislatore di lasciare ai tre figli le quote delle sue società, e quindi portava inevitabilmente ad escludere che l’oggetto dell’usufrutto disposto in favore della P. avesse potuto essere costituito dalle suddette quote sociali, cosicché il riferimento del “de cuius” all’usufrutto “di tutte le mie proprietà personali” era limitato ai beni immobili; a tale ultimo riguardo la sentenza impugnata ha aggiunto più innanzi che comunque non si trattava di un usufrutto economicamente trascurabile, trattandosi di una diecina di appartamenti e di altrettanti magazzini.
Orbene tale interpretazione della scheda testamentaria si risolve in un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente; ed invero il richiamo del giudice di appello al principio interpretativo secondo cui le clausole vanno interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto stesso (secondo il disposto dell’art. 1363 c.c. previsto in sede di interpretazione del contratto, ma pacificamente applicabile, in quanto compatibile, anche in materia testamentaria) è giustificato, nel suo convincimento, dal rilievo che, in presenza di una disposizione di carattere generale relativa al riconoscimento dell’usufrutto in favore della P. di “tutte le mie proprietà personali ed ogni credito di qualsiasi natura da me vantato a qualunque titolo”, la successiva disposizione riguardante il riconoscimento del diritto di prelazione in “favore dei fratelli” con specifico riferimento anche alla “quota societaria”, tenuta distinta dalla “nuda proprietà”, induceva logicamente alla conclusione, per la sua specificità, in ordine alla esclusione, dall’ambito dell’oggetto dell’usufrutto, delle quote societarie; a tale riguardo la sentenza impugnata ha logicamente evidenziato la diversità, nella impostazione impressa dal testatore alle sue disposizioni, della “quota societaria” della quale potevano disporre i tre fratelli, ovvero i figli del “de cuius”, rispetto alla “nuda proprietà” pure attribuita ai medesimi; invero tale netta distinzione induceva evidentemente ad escludere che Nu.Ar. avesse inteso prevedere il diritto di prelazione soltanto della nuda proprietà delle quote societarie, posto che solo in tale ipotesi avrebbe potuto legittimamente ritenersi che l’attribuzione del diritto di usufrutto in favore della P. riguardasse anche dette quote.
In proposito l’assunto della ricorrente, secondo cui la disposizione relativa al diritto di prelazione dovrebbe essere considerata sostanzialmente “tamquam non esset”, data la sua natura complementare alla istituzione di erede o di legato, e considerato che essa prevedeva un diritto già riconosciuto dalla legge, non può essere condiviso; sotto un primo profilo, infatti, l’interpretazione coordinata tra la disposizione attributiva dell’usufrutto e quella attributiva del diritto di prelazione in favore dei fratelli è del tutto conforme all’art. 1363 c.c. ed appare legittimata dalla indubbia equivocità della generica previstone, come oggetto dell’usufrutto, dell’espressione “proprietà personali ed ogni credito”, a fronte dello specifico riferimento ad un diritto di prelazione in favore dei tre figli anche sulle quote societarie; per altro verso tale diritto non può essere configurato come una semplice e quindi inutile ripetizione dell’art. 732 c.c. avente ad oggetto il diritto di prelazione in favore dei coeredi in caso di alienazione, da parte di una altro coerede, di una quota ereditaria (o di parte di essa), laddove nel testamento in questione non vi è una previsione, almeno espressa, di un diritto di prelazione riguardante le quote ereditarie piuttosto che, invece, i beni facenti parte dell’asse ereditario; in ogni caso, al di là di tale considerazione, ed anche dell’eventuale superfluità dell’espressione “tutti i beni” pure compresa nell’ambito dell’oggetto di tale diritto di prelazione, il convincimento in proposito maturato dalla Corte territoriale è basato sul rilievo decisivo che tale clausola attributiva del diritto di prelazione sulle quote societarie (oltre che sulla “nuda proprietà”), nell’ipotesi di vendita di esse da parte degli eredi (ovvero i figli del testatore A. , M. e Ma. ), in favore dei fratelli, esclude, per l’inequivocabile tenore letterale della stessa, che l’usufrutto di dette quote possa essere stato attribuito in legato alla P. ; orbene tale fondamentale “ratio decidendi”, per quanto finora argomentato, non appare scalfita dai profili di censura sollevati dalla ricorrente.
Con il secondo motivo la P. , deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 551-552 e 1362 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato l’appello incidentale proposto dall’esponente e per aver ritenuto che l’attribuzione a titolo particolare disposta dal testatore in favore della moglie integrasse un legato in sostituzione di legittima, e le precludesse pertanto di reclamare la quota di eredità ad essa riservata dalla legge.
La ricorrente sotto un primo profilo rileva che la Corte territoriale non si è conformata al principio consolidato affermato dalla giurisprudenza e dalla dottrina secondo cui, per potersi configurare un legato in sostituzione di legittima anziché in conto di legittima, occorre una manifestazione certa ed univoca del testatore nel senso che determinati beni debbano essere attribuiti al legittimario, e che tale attribuzione, se accettata, esaurisca le ragioni ereditarie del medesimo; infatti nella specie difettava una chiara ed inequivocabile volontà in tal senso.
Inoltre la P. evidenzia un vizio dell'”iter” argomentativo della sentenza impugnata, che ha maturato il proprio convincimento sulla base della circostanza che il testatore aveva disposto dell’intero suo patrimonio; in realtà tale espressione, lungi dal confortare la tesi sostenuta dal giudice di appello, costituiva invece il presupposto che legittimava l’esponente ad agire in riduzione in quanto, come era evidente nella specie, risultavano lesi i suoi diritti di legittimaria.
Infine la ricorrente rileva che la clausola attributiva del diritto di prelazione ereditaria, se interpretata in base al senso letterale delle parole usate e alla presumibile intenzione del testatore, avrebbe dovuto essere letta nel senso di circoscrivere ai soli fratelli, tra gli eredi, il suddetto diritto; ciò confermava che, secondo il testatore, il titolo di erede spettava anche alla moglie, pur beneficiaria di disposizione a titolo particolare.
La censura è infondata.
Come già più sopra evidenziato, la Corte territoriale, al fine di ritenere che alla P. fosse stato attribuito un legato in sostituzione, e non in conto di legittima, ha considerato decisivo il rilievo che Nu.Ar. tramite il suddetto testamento aveva disposto di tutto il suo patrimonio, cosicché non vi erano altri beni sui quali potesse aprirsi la successione legittima; ed invero tale incontestata situazione di fatto è sintomatica della volontà del testatore di soddisfare la P. con l’attribuzione in suo favore dell’usufrutto delle sue “proprietà personali e di ogni credito” senza chiamarla alla eredità; a tale ultimo proposito occorre richiamare l’ulteriore disposizione testamentaria con la quale erano stati istituiti eredi universali soltanto i tre figli del “de cuius”, circostanza che spiega la ragione per la quale, come osservato dalla sentenza impugnata, la clausola testamentaria che prevedeva il diritto di prelazione, in caso di vendita o di trasferimento dei beni a qualsiasi titolo da parte degli eredi, riguardava soltanto i “fratelli”.
Sulla base di tali elementi il convincimento espresso dalla sentenza impugnata è immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente, essendo conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che risulti l’intenzione del testatore di soddisfare il legittimario con l’attribuzione di beni determinati senza chiamarlo all’eredità (Cass. 9-9-2011 n. 18583; Cass. 16-1-2014 n. 824); è stato pure affermato che tale intenzione non richiede formule sacramentali, ma può desumersi dal complessivo contenuto dell’atto, in forza di un apprezzamento compiuto dal giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (Cass. 29-7-2005 n. 16083; Cass. 10-6-2011 n. 12854), come appunto nella fattispecie.
li ricorso deve quindi essere rigettato; ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alle natura della controversia ed ai rapporti di stretta parentela sussistente tra le parti, per compensare interamente tra di esse le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

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