Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 9 ottobre 2014, n. 21340
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26691/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 535/2007 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 20/08/2007 e pubblicata l’8/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2014 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La domanda e’ stata proposta nei confronti dell’ing. (OMISSIS) Dirigente del Servizio Lavori pubblici del Comune, ai sensi del Decreto Legge n. 66 del 1989, articolo 23, dopo che l’azione esperita nei confronti del comune era stata respinta per mancanza di contratto scritto.
Anche altra domanda precedente, introdotta dai ricorrenti contro il (OMISSIS) assumendo che il convenuto aveva agito quale falsus procurator, era stata respinta nel 2002.
Il tribunale di Pordenone nel settembre 2004 ha respinto anche l’odierna domanda.
La Corte di appello, pur correggendo la motivazione, ha rigettato il gravame con sentenza 8 ottobre 2007.
L’odierno ricorso, articolato in due motivi, e’ stato illustrato da memoria.
L’intimato ha resistito con controricorso.
Ha poi negato che fosse stato provato che il dirigente comunale (OMISSIS) avesse preso l’iniziativa o svolto un ruolo determinante di affidamento dell’incarico.
Ha ritenuto sussistente la prova che l’incarico proveniva dalla amministrazione comunale con la collaborazione dell’Ufficio Appalti e contratti, di cui l’intimato non faceva parte. Ha considerato l’attivita’ del (OMISSIS), costituita da comunicazioni agli attori di “sollecitazioni provenienti” dalla P.A., di mero “contenuto amministrativo”.
3) Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizi di motivazione con riguardo all’esame della documentazione prodotta, costituita da diffide e intimazioni, testualmente riportate in ricorso, con le quali il dirigente avrebbe perentoriamente e ultimativamente ordinato ai professionisti di ultimare i lavori.
Deduce che il funzionario comunale avrebbe in tal modo “consentito la prestazione del privato in difetto dei presupposti necessari di legge”.
Con il secondo motivo la medesima censura e’ presentata sotto il profilo del vizio di violazione di legge, in relazione al citato articolo 23.
Le censure, da esaminare congiuntamente, sono fondate.
La disposizione di cui al Decreto Legge n. 66 del 1989, articolo 23, (convertito, con modificazioni, in Legge 24 aprile 1989, n. 144, e riprodotta nel Decreto Legislativo n. 77 del 1995, articolo 35) prevede che nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 (che richiede la sussistenza della deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta esecutiva, nonche’ dell’impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione), il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura.
Questa norma e’ stata interpretata dalla Corte di appello nel senso che per configurarne l’operativita’ sia necessario che il funzionario assuma un ruolo attivo e decisionale nell’affidamento dell’incarico di svolgere le prestazioni professionali. Questa lettura e’ contraria al senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (articolo 12 preleggi) e alla finalita’ della normativa, indiscutibilmente volta a prevenire il formarsi di debiti fuori bilancio a carico delle amministrazioni.
3.1) L’uso del verbo “consentire” descrive infatti il comportamento di chi, trovandosi privo del potere decisionale sul conferimento dell’incarico o l’acquisizione del bene, nell’esercizio delle sue funzioni permetta che avvenga l’acquisizione della prestazione o della fornitura, senza opporvisi per quanto dovuto nei limiti delle sue attribuzioni. Il disposto normativo e’ volto a far si’ che un contratto non perfezionatosi secondo legge non pervenga alla fase esecutiva.
A questo fine viene responsabilizzato l’amministratore o il funzionario che, chiamato ad operare, a cagione del suo ufficio, per la conclusione e l’attuazione del contratto, cooperi, lasci che la prestazione venga eseguita. Il legislatore vuole invece, lo si desume dalla scelta dell’espressione verbale, che il funzionario neghi il suo consenso e comunque non presti, per quanto possibile, l’opera che sarebbe suo dovere compiere se il contratto fosse stato formato a norma di legge.
Lasciar fare in luogo di ostacolare; assecondare; cooperare: sono manifestazioni di quel comportamento consenziente che il legislatore ha voluto vietare e dal quale fa scaturire conseguenze a carico del funzionario o dell’amministratore.
3.2) Ha dunque errato la Corte di appello nel descrivere il comportamento configurato dal legislatore, cioe’ il “consentire”, alla stregua di un ruolo di “iniziativa o determinante intervento”.
Ed e’ quindi fondato il ricorso nella parte in cui invoca, tra l’altro, il precedente costituito da Cass. 10640/07, secondo cui si ha l’insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione in tutti i casi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale, e quindi anche quando, approvata dal Comune la proposta di conferimento dell’incarico professionale con lo schema di disciplinare, sia mancata la stipulazione del contratto e quando in mancanza del prescritto impegno contabile, l’esecuzione di fatto del rapporto sia stata tuttavia consentita dall’amministratore o dal funzionario.
4) Fondato e’ anche il motivo di ricorso che denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, laddove nega portata “consenziente” alle missive trasmesse dal resistente ai professionisti.
Per la Corte di appello trattavasi di attivita’ meramente di “contenuto amministrativo”, di semplice trasmissione delle determinazioni della P.A. ai suoi fornitori.
La sentenza, nelle sue brevissime proposizioni, non spiega pero’ come sia possibile attribuire questo contenuto, puramente esecutivo, quasi alla stregua di adempimento coatto, in presenza di comunicazioni come quelle dettagliate in ricorso.
4.1) In particolare si segnalano, per il tenore del tutto opposto (e quindi bisognoso di ben piu’ penetranti spiegazioni): a) quella del 19 marzo 1992, in cui, dopo aver comunicato l’approvazione dell’affidamento dell’incarico, il resistente invitava i ricorrenti a “provvedere con urgenza a dare corso al disciplinare di incarico”.
b) i telegrammi del 1 aprile 1992, del 6 aprile 1992 e del 4 giugno 1992 in cui, senza alcun riferimento a mandato di alcun altro soggetto sopraordinato, il dirigente di settore (OMISSIS) “ordinava” a ciascuno dei due professionisti “l’immediata consegna” degli elaborati.
Il tutto, si badi, come sottolinea il ricorso, con la presumibile consapevolezza, posto il ruolo dirigenziale, dell’incompletezza della fattispecie contrattuale, nonche’ in presenza di noti “problemi connessi al finanziamento dell’opera” (ricorso pag. 15, riferito a lettera (OMISSIS) del 17 aprile 1992 riprodotta a pag. 12).
Questi scritti sono apparentemente segno di esplicazione del ruolo dirigenziale in piena sintonia con. l’ente comunale e i suoi amministratori.
Vi e’ dunque insufficiente spiegazione (pur astrattamente possibile, previa un’analisi di atti e comportamenti del funzionario che dimostrino una qualche forma di dissenso dall’operato dell’ente) di come si possa ritenere che espressioni quali quelle descritte possano essere intese in modo diverso da quel “consentire”, che e’ stato delineato dal legislatore. Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Trieste per nuovo esame dell’appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio. La Corte si atterra’ al seguente principio di diritto: “In tema di spese dei Comuni (e, piu’ in generale, degli enti locali) ai fini dell’interpretazione del disposto dal Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, comma 4, (convertito, con modificazioni, in Legge 24 aprile 1989, n. 144), che stabilisce l’insorgenza del rapporto obbligatorio, quanto al corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, va escluso che l’attivita’ di consentire la prestazione debba consistere in un ruolo di iniziativa o di determinante intervento del funzionario, essendo sufficiente che questi ometta di manifestare il proprio dissenso e presti invece la sua opera come se fosse in presenza di una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale”.
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