Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 3 ottobre 2014, n. 20918
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso RGN n. 1063 del 2009 proposto da:
(OMISSIS) s.a.s. (gia’ (OMISSIS) s.a.s.), rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elett. dom. in (OMISSIS), come da procura a margine dell’atto e successiva dichiarazione di cambio del domicilio;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t. e Agenzia delle Entrate – Ufficio di Ravenna, rappr. e dif. dall’Avvocatura Generale dello Stato, elett. dom. nei relativi uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente, la prima –
Ministero dell’Economia e delle Finanze;
– intimato –
per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Reg. Emilia Romagna 19.11.2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 26 giugno 2014 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro;
uditi l’avvocato (OMISSIS) e l’avvocato dello Stato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
La C.T.R. ritenne di condividere l’entita’ della sanzione, pari al 200% del costo del lavoro per il periodo compreso tra l’inizio dell’attivita’, di natura stagionale ed il giorno della effettuata constatazione di irregolarita’, avendo omesso il datore di lavoro, com’era onere invece a suo carico, di fornire la prova contraria di un diverso dies a quo dell’instaurazione di detti rapporti, cosi’ operando la relativa presunzione a favore dell’Ufficio.
Il ricorso e’ affidato a sei motivi, cui resiste Agenzia delle Entrate con controricorso.
Con il secondo motivo, viene denunciato il vizio di motivazione, avendo la C.T.R. erroneamente negato l’adduzione da parte del datore di lavoro di elementi idonei a scardinare la presunzione a favore dell’Ufficio.
Con il terzo motivo, viene dedotto il vizio di insufficienza di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, essendosi la C.T.R. limitata ad una stringata enunciazione delle ragioni di accoglimento dell’appello dell’Ufficio trascurando ogni esame critico delle ragioni del ricorrente in punto di decorrenza iniziale del preteso periodo di lavoro irregolare e dunque violando il diritto di difesa.
Con il quarto motivo, viene dedotto il vizio di insufficienza di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, essendosi la C.T.R. richiamata ad un giudizio di non spiegato superamento dell’onere della prova da parte del contribuente circa l’accertamento e di irrogazione della sanzione altrettanto non motivata, senza indicare i fatti a sostegno della decisione.
Con il quinto motivo, si denuncia la violazione del Decreto Legge n. 12 del 2002, articolo 3, comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, avendo errato la C.T.R. nel ritenere applicabile il regime sanzionatorio predetto anche ad un datore di lavoro che non si trovava nella condizione prevista dalla norma, la quale doveva riferirsi solo alla possibilita’ di sanatoria del lavoro sommerso, com’era nel caso essendo stati riscontrati due lavoratori non occupati alla data del 30.11.2002, termine per la dichiarazione di emersione dei dipendenti irregolari.
Con il sesto motivo, si enuncia la violazione di legge, ai sensi del Decreto Legge n. 12 del 2002, articolo 3, comma 3, in punto di quantificazione della sanzione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, stante l’incoerenza della sua commisurazione dall’inizio dell’anno (sia pur convenzionalmente posteriore al 1 gennaio) e non dal diverso effettivo inizio della stagione balneare o comunque dal dies a quo addotto e provato dal contribuente per l’effettivo impiego, in ogni caso risultando un contrasto con la piu’ favorevole sanzione edittale prevista in prosieguo dal legislatore in sede di riforma della norma stessa.
1. Dichiarata preliminarmente l’inammissibilita’ del ricorso per come proposto anche contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva in favore di Agenzia delle Entrate, il primo motivo di ricorso, oltre che peccare di genericita’ in relazione alla sua parte descrittiva (omettendo di individuare elementi essenziali attinenti alle circostanze pretermesse dalle C.T. di merito al fine di negare la giurisdizione tributaria), appare inammissibile, tale essendo la sorte della contestazione del difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimita’, “stante il giudicato implicito formatosi sulla pronuncia di merito, ove la questione non sia stata sollevata nei gradi anteriori di giudico” (Cass. 22097/2013). E’ vero infatti che quando il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, nemmeno e’ consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito (Cass. 6966/2013). Ne’ e’ di ostacolo all’affermazione di detto principio l’esito della pronuncia della C.T.P., conformemente al principio per cui nel processo tributario, qualora il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento e’ tenuta a proporre appello sul punto, trattandosi di parte vittoriosa, eventualmente in via incidentale condizionata del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ex articolo 54, pur senza ricorrere a formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall’appellato in sede di costituzione risulti chiaramente la volonta’ di ottenere la riforma della decisione (Cass. 2752/2012). Tale prova non risulta nemmeno allegata.
2. I motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili, facendo difetto per essi un adeguato momento di sintesi, poiche’ in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’articolo 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, cosi’ da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilita’ del ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il requisito di specificita’ del motivo ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ma assume l’autonoma funzione volta alla immediata rilevabilita’ del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente (Cass. 5858/2013, 28242/2013).
3. Il quinto motivo e’ infondato. La sanzione amministrativa di cui al Decreto Legge n. 12 del 2002, articolo 3, comma 3, nel testo ratione temporis vigente, era prescritta da una disposizione secondo cui “Ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, e’ altresi’ punito con la sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”, operando la norma in modo relativamente autonomo rispetto alla legislazione premiale di cui alla Legge n. 383 del 2001, volta a favorire, a date condizioni, la regolarizzazione dei rapporti di lavoro, com’e’ confermato dalla strutturazione a regime che, al cit. articolo 3, commi 4 e 5, si configurava sia per l’organo preposto alla constatazione della violazione sia per quello competente alla irrogazione della sanzione. Il presupposto di quest’ultima – a prescindere dalla commisurazione della sua entita’ – operava dunque in senso oggettivo, verso qualunque datore di lavoro che, a seguito di ispezione, fosse stato rinvenuto non dotato di scritture o altra documentazione obbligatoria da cui risultasse l’impiego degli addetti scoperti.
4. Il sesto motivo e’ infondato. Trova invero riscontro l’indirizzo per cui “in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non si applica il principio di retroattivita’ della legge piu’ favorevole, previsto dal Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 3, soltanto per le infrazioni valutarie e tributarie, e cio’ tenuto conto della peculiarita’ sostanziale che caratterini le rispettive materie. Nella specie, la S.C. ha ritenuto non applicabile, alle sanzioni amministrative in materia di omessa registrazione nelle scritture contabili dei lavoratori dipendenti, previste dal Decreto Legge 22 febbraio 2002, n. 12, articolo 3, comma 3, conv. in Legge 23 aprile 2002, n. 73, la modifica apportata a detta norma dal Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 36-bis, comma 7, conv. in Legge 8 aprile 2006, n. 248 e piu’ favorevole al contribuente” (Cass. s.u. 356/2010, Cass. 7689/2013). La stessa disciplina piu’ favorevole si applica infatti soltanto alle sanzioni propriamente tributarie e non anche a quelle non aventi tale natura e, di conseguenza, in carenza di qualsivoglia diversa previsione normativa di applicazione anche alle infrazioni commesse in precedenza, non puo’ farsi ricorso al regime invocato nel motivo.
Il ricorso va pertanto rigettato, ai sensi di cui in motivazione, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e come da dispositivo.
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