suprema CORTE DI CASSAZIONE
sezione IV
SENTENZA 10 luglio 2014, n. 30483
Ritenuto in fatto
V.F. e F.A. sono stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore C.B. , dipendente della ditta G.S. s.r.l..
L’infortunio si è verificato in data (…) durante le operazioni di movimentazione di enormi lastre di vetro delle dimensioni di m. 3 X m. 2,50, del peso complessivo di q.22 circa, allorché il C. veniva investito dal carico che si ribaltava con frantumazione di vetri al suolo, subendo lesioni giudicate guaribili in 272 giorni con indebolimento permanente di un organo.
Al V. , titolare dell’omonima vetreria, è stato contestato di non avere informato i quattro operai della G.S.(tra cui il C. ) dei rischi specifici della sua azienda e di non aver messo a disposizione attrezzature idonee alla movimentazione di carichi pesanti; al F. , quale collaboratore con funzioni direttive della G.S. s.r.l., è stato, invece, addebitato di avere ordinato ai predetti operai di recarsi presso la vicina vetreria del V. per aiutarlo a movimentare il carico di vetri di notevoli dimensioni, senza informarli ed istruirli sui rischi di un lavoro diverso dalle loro abituali mansioni.
La sentenza di appello, nel confermare l’impostazione in fatto della sentenza di primo grado, secondo la quale era stato il F. , su richiesta del V. , a decidere di inviare gli operai occupati nella sua azienda, all’inizio della loro giornata di lavoro, presso la vetreria per lo scarico delle pesanti lastre di vetro- la cui successiva rottura aveva determinato le lesioni del C. – sottolineava in fatto che non era utilmente invocabile, ai fini di esclusione della responsabilità, l’asserito errore degli stessi operai nell’appoggio al muro delle lastre (era stata ‘l’intera balla a cedere non a cadere’), sia perché l’intera operazione si era svolta sotto la direzione del V. sia perché in ogni caso non era possibile pretendere dagli stessi alcuna particolare diligenza rispetto a mansioni del tutto estranee a quelle normalmente svolte.
In diritto, la responsabilità del V. era ancorata all’obbligo del datore di lavoro di garantire in generale la sicurezza dell’ambiente lavorativo anche a qualsivoglia persona presente sul luogo, ivi compresi, come nel caso in esame ai lavoratori ‘ distaccati’ da una impresa ad un’altra, sia pure per un tempo assai limitato e per un compito ben determinato; la responsabilità del F. era invece ricondotta a quella del datore di lavoro che disponeva il distacco dei propri lavoratori presso la ditta del vicino al fine di svolgere un lavoro del tutto estraneo alle mansioni da essi abitualmente svolte, senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione. In questa prospettiva i giudici di appello negavano l’applicabilità del principio di affidamento invocato dal F. .
Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati con due distinti ricorsi.
V.F. lamenta che la Corte di merito aveva fornito una rappresentazione della dinamica dei fatti in contrasto con le dichiarazioni rese da uno degli operai impegnati nell’operazione, dalle quali emergeva che la caduta dei lastroni si era verificata a seguito dell’errato posizionamento dei medesimi sul muro., non inclinato obliquamente con la parte alta verso il muro,con la conseguente impossibilità del medesimo di intervenire.
Non era pertanto ravvisabile alcun nesso di causalità tra la richiesta di ausilio ai dipendenti della G.S. e l’evento di danno verificatosi.
F.A. svolge analoghe considerazioni sostenendo che dalla corretta ricostruzione del fatto emerge che il carico sia caduto solo per essere stato maldestramente appoggiato al muro.
Nessuna responsabilità poteva, pertanto, essere individuata a suo carico in quanto l’attività di scarico di lastre di vetro da un autocarro ed il loro trasporto non richiede particolari informazioni in ordine ai possibili rischi connessi all’espletamento del lavoro. Si sostiene altresì l’illogicità della sentenza nella parte in cui esclude l’errore nell’appoggio al muro sul rilievo che operazioni erano state effettuate sotto la diretta vigilanza del V. .
Nessun rapporto di causalità era, pertanto, riscontrabile tra la condotta ascritta al F. di aver consentito che i dipendenti provvedessero allo scarico delle lastre e l’evento lesivo, riconducibile esclusivamente alla responsabilità del V. , il quale aveva assunto su di sé la responsabilità della direzione dei lavori, ponendo in essere una condotta con efficacia causale esclusiva nella determinazione dell’evento.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati.
La sentenza impugnata è corretta nell’applicazione dei principi di diritto, non presenta vuoti motivazionali né è caratterizzata dalle asserite illogicità.
In proposito, giova preliminarmente evidenziare che la Corte di appello ha tenuto conto degli elementi acquisiti e ha affermato che la dinamica dell’infortunio dovesse essere ricostruita nei seguenti termini.
I quattro operai della G.S. s.r.l. (tra cui l’infortunato), su sollecitazione del F. , direttore della G.S. s.r.l., si erano recati presso la vicina vetreria del V. per aiutarlo a movimentare un carico di vetri di notevoli dimensioni e di rilevante peso (q. 22) e durante le operazioni di movimentazione, avvenute su di un precario carrellino a rotelle, i lastroni di vetro erano caduti sul terreno infrangendosi sul C. il quale aveva riportato le gravi lesioni descritte nel capo di imputazione.
Trattasi di ricostruzione qui incensurabile, in ordine alla quale deve procedersi a verificare la correttezza della decisione.
Entrambi i ricorrenti hanno contestato la ricostruzione del fatto circa le modalità di rottura delle lastre, sostenendo che, come affermato dal giudice di primo grado, la caduta accidentale delle stesse era stata determinata dalla condotta colposa degli operai che le avevano appoggiato in equilibrio precario al muro.
Alla luce di tale ricostruzione il V. ed il F. hanno invocato l’esclusione di ogni responsabilità: il primo, sul rilievo che si era trattato di evento accidentale, non evitabile dal ricorrente attraverso le proprie conoscenze tecniche, il secondo, ha, invece, richiamato il principio di affidamento, in base al quale la direzione dell’intera operazione da parte del V. , persona qualificata e competente, avrebbe comportato l’assunzione su quest’ultimo della responsabilità dell’esecuzione dei lavori, esonerandolo da ogni responsabilità dell’evento lesivo.
Ciò premesso, va innanzitutto evidenziato che i ricorrenti propongono una ricostruzione del fatto non risultante dal testo della sentenza e come tale preclusa alla cognizione del giudice di legittimità, risolvendosi in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione logicamente argomentata.
In secondo luogo, anche accogliendo la ricostruzione secondo la quale l’evento lesivo sarebbe stato determinato dall’erroneo appoggio delle lastre di vetro al muro, i termini delle rispettive responsabilità non cambiano.
La censura del V. non tiene conto che allo stesso è stato contestato di non avere fornito il lavoratore di tutti i presidi di sicurezza o altre attrezzature adeguate per il trasporto delle lastre, tra i quali certamente non rientra il carrellino, risultato del tutto inidoneo allo scopo (art. 35, comma 1, DPR 626/94) e di non averli informati sui rischi specifici della sua azienda (artt. 7 e 89 del medesimo decreto), e non è dubitale che spettasse in ogni caso all’imputato, in forza della sua esperienza, fornire indicazioni agli operai inesperti in quel settore sulle modalità di appoggio delle lastre al muro.
Ciò che rileva ai fini dell’affermazione della responsabilità del V. è che, in materia di normativa antinfortunistica, l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che nell’impresa hanno prestato la loro opera, quale che sia stata la forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione.
Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. art. 3, comma 2, del dpr 27 aprile 1955 n. 547) o, anche, di persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l’infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza.
Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nell’ambiente lavorativo, a prescindere da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa (cfr anche, Sezione IV, 24 giugno 2008, Ansalone ed altro).
È di decisivo rilievo, in proposito, il disposto dell’articolo 2087 del codice civile, in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell’impresa, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’articolo 40, comma 2, c.p..
Parimenti infondato è il ricorso proposto dal F. , con il quale si sostiene l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro trattandosi di rischi specifici propri della ditta che si era avvalsa del lavoro degli operai della G.S..
La censura non tiene conto che la responsabilità del committente, in ossequio alla disciplina di settore- (prima, l’articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994; ora, trasfuso sostanzialmente nell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008)- non esclude quella del datore di lavoro in caso di infortunio.
Nella stessa prospettiva è stato altresì ritenuto che in caso di distacco di un lavoratore da un’impresa ad un’altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall’art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante. (v. da ultimo, Sezione IV, 19 aprile 2013, Farinotti ed altro, rv. 256397).
Il datore di lavoro, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l’evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l’inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui non erano presenti nel luogo di lavoro attrezzature idonee per l’esecuzione dei lavori l’omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile.
In tal senso, i giudici di merito hanno evidenziato che l’imputato era venuto meno ai propri doveri di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inviando gli operai presso la ditta del vicino, al fine di svolgere un lavoro del tutto estraneo alle mansioni da essi abitualmente svolte, senza fornire loro dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della nuova e diversa prestazione.
Né potrebbe valere nel caso concreto in esame il richiamo, al principio del cd. ‘affidamento’ in tema di infortuni sul lavoro, in virtù del quale ciascun consociato può confidare che ciascuno si comporti secondo le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell’attività che di volta in volta viene in questione – posto che, come più volte affermato.
Detto principio, come evidenziato nella sentenza impugnata, non opera allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa nell’inosservanza di tali norme da parte di colui che invoca il suddetto principio, come nel caso in esame.
Tale principio non potrebbe, infatti, essere utilmente richiamato dall’imputato né con riferimento all’operato dei suoi dipendenti, da lui non istruiti sulle corrette modalità di esecuzione dell’operazione di movimentazione delle pesanti lastre di vetro (mancata istruzione integrante violazione di norma antinfortunistica, ritenuta causalmente connessa con la verificazione dell’evento), né con riferimento alla condotta del coimputato V. , attesa proprio la pregressa violazione rimproverata al F. .
Per le ragioni che precedono i ricorsi vanno rigettati, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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