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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 9 luglio 2014, n. 15598

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12 giugno 2006 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città in data 9 agosto 2002, rigettava la domanda con cui M.L. , convenendo in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del Demanio, aveva chiesto di accertare che il giardino recintato del suo fabbricato in (OMISSIS) (distinto in Catasto al fg. 30 mappali 1043/1 e 1049) non ricadeva in area del demanio marittimo e che essa, pertanto, non doveva alcuna indennità a titolo di abusiva occupazione; con la stessa sentenza la Corte di appello, accogliendo in parte la domanda riconvenzionale del Ministero, condannava l’attrice, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento della somma di Euro 7.000,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo, per il periodo di abusiva occupazione dal 22 giugno 1985 al 31 dicembre 1991, mentre dichiarava prescritto il diritto al risarcimento dei danni per il periodo anteriore. In particolare, la Corte di appello osservava che: 1) ai sensi degli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav., la natura demaniale di un’area posta a ridosso del mare è determinata esclusivamente dalla morfologia della costa senza necessità, in caso di fenomeni di erosione, del procedimento di natura meramente ricognitiva previsto dall’art. 32 cod. nav.; 2) nella specie la natura demaniale di un’area di circa 140-150 mq – in parte (mq 124,20) inglobata dal giardino ed in parte occupata dalla scogliera artificiale posta privatamente a protezione della costa – era risultata dalle foto scattate dal c.t.u. che dimostravano, come, in occasione delle mareggiate, il mare risaliva lungo il muro del giardino dell’attrice; 3) l’area in questione era, inoltre, intestata catastalmente al Demanio e non era compresa nell’atto di acquisto della M. ; 4) l’occupazione senza titolo costituiva illecito permanente che dava luogo ad un diritto al risarcimento dei danni mano a mano maturati, per i quali, tuttavia, la prima richiesta di pagamento risaliva al 22 giugno 1990 e, d’altro canto, le richieste di risarcimento dei danni, ivi compresa la domanda riconvenzionale, si fermavano tutte al 1991; 5) il danno doveva essere liquidato in via equitativa tenendo conto dell’estensione dell’occupazione, dello stato del litorale, dell’uso modesto che dell’area poteva essere fatto dallo Stato e dai cittadini (ancora più modesto in assenza della scogliera artificiale) e dell’esiguità dei canoni di concessione richiesti dall’Amministrazione negli anni 80.
M.L. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del Demanio resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, affidato a tre motivi, al quale M.L. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 823 e 2697 c.c. e dell’art. 28 cod. nav. nonché il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la demanialità dell’area in assenza dell’allegazione e della prova, da parte dell’Amministrazione convenuta, dell’idoneità dell’area ad un uso pubblico.
Il motivo è infondato. Ai sensi degli artt. 28 cod. nav. e 822 c.c. il lido del mare e la spiaggia fanno parte del demanio marittimo; in particolare, poiché per lido del mare si intende quella porzione di riva che si trova a contatto diretto con le acque del mare e che da esso viene coperta in occasione delle mareggiate ordinarie, è evidente l’impossibilità di ogni altro uso che non sia quello marittimo. Lo stesso deve dirsi per quella parte di spiaggia costituita da quei tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie; diverso ragionamento può farsi soltanto per la parte di spiaggia costituita dall’arenile, e cioè, per quel tratto di terraferma che risulta relitto dal normale ritirarsi delle acque e che può, comunque, restare idoneo, anche solo potenzialmente, agli usi pubblici del mare (Cass. 30 luglio 2009, n. 17737; Cass. 5 novembre 1981, n. 5817). Nella specie, pertanto, discutendosi del lido del mare e della parte di spiaggia soggetta alle mareggiate straordinarie, la demanialità è indipendente dal concreto accertamento della funzione pubblica svolta.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., lamentando la quantificazione in via equitativa del danno malgrado dello stesso l’Amministrazione non avesse fornito alcuna prova.
Il motivo è infondato. La prova del danno è, infatti, insita nell’esclusione dell’uso pubblico attuata con la recinzione. La sentenza impugnata ha, d’altro canto, come riferito in narrativa, precisato i criteri sulla cui base ha provveduto alla liquidazione equitativa del danno.
Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del Demanio deducono la violazione degli artt. 2041, 2943, 2944 e 2946 c.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale in tema di risarcimento del danno, considerato che nella specie si verteva in un’ipotesi di arricchimento senza causa conseguito all’arretramento della costa ed alla prosecuzione dell’occupazione, in buona fede e senza colpa, da parte dell’originario proprietario.
Il motivo è inammissibile per novità della domanda. Risulta, infatti, dallo stesso ricorso incidentale che la domanda riconvenzionale dell’Amministrazione era stata proposta per l’abusiva occupazione di un’area demaniale.
Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo che la domanda riconvenzionale era stata proposta con la comparsa depositata il 31 maggio 1993, e non nel 1991 come affermato dalla sentenza impugnata, lamentano il mancato riconoscimento dell’effetto sospensivo (oltre che interruttivo) della domanda giudiziale, con la conseguenza che, ai sensi degli artt. 2943 e 2945 c.c., non era maturata alcuna prescrizione per le indennità maturate dopo il 31 dicembre 1991 e sino alla data del ricorso in cassazione.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi. La Corte di appello ha individuato il danno richiesto in quello verificatosi sino a tutto il 1991 ed ha ritenuto maturata la prescrizione per il danno anteriore al 22 giugno 1985; la Corte di appello, invece, non ha preso in considerazione, e quindi neppure ha dichiarato prescritto, il danno maturato dopo il 31 dicembre 1991, in quanto non richiesto dall’Amministrazione. In tale situazione quest’ultima, ove avesse ritenuto di avere
chiesto il risarcimento dei danni anche per il periodo successivo alla predetta data, avrebbe dovuto dedurre la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non certo la violazione delle norme in tema di prescrizione.
Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali deducono il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva travisato gli atti di lite laddove aveva ritento che la domanda riconvenzionale fosse stata proposta nel 1991 e non nel 1993, come in effetti era avvenuto.
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate nell’esame del secondo motivo. Dalla sentenza impugnata risulta che l’atto introduttivo del giudizio era stato notificato il 18 marzo 2003, con la conseguenza che la comparsa di risposta con la domanda riconvenzionale era necessariamente successiva. La data della domanda riconvenzionale è, tuttavia, irrilevante al fine di individuare il periodo in relazione al quale era stato chiesto il risarcimento dei danni.
Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del giudizio di cassazione.

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