Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 27 maggio 2014, n. 11832
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4275/2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
Nonche’ da:
(OMISSIS) S.R.L. (gia’ (OMISSIS) S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 3852/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/09/2011 R.G.N. 3749/2007 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. VENUTI Pietro – Consigliere
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4275/2012 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
Nonche’ da:
(OMISSIS) S.R.L. (gia’ (OMISSIS) S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 3852/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/09/2011 R.G.N. 3749/2007 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;
uditi gli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
FATTO E DIRITTO
1. Con sentenza 29.9.2011, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato la nullita’ della cessione dei contratti di lavoro di alcuni lavoratori di (OMISSIS) s.p.a. in favore di (OMISSIS) s.r.l. e per l’effetto, ordinato il ripristino dei loro rapporti con (OMISSIS) s.p.a. (nella quale era stata incorporata per fusione la prima societa’) nelle mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti.
2. In particolare, la Corte ha escluso la configurabilita’ di una cessione di ramo d’azienda, ed ha riconosciuto il diritto dei lavoratori a proseguire il rapporto di lavoro con (OMISSIS), ritenendo privo di efficacia verso quest’ultima le conciliazioni sindacali sottoscritte da alcuni lavoratori con (OMISSIS).
3. Avverso tale sentenza ricorre (OMISSIS) per tre motivi; resistono i lavoratori con controricorso, illustrato da memoria; propone ricorso incidentale per adesione, per tre motivi, (OMISSIS).
4. Il ricorso principale e quello incidentale per adesione devono essere riuniti in quanto proposti contro la stessa sentenza.
5. Con il primo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c., e degli articoli 1406, 2094 e 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto la sussistenza dell’interesse ad agire dei lavoratori per accertare l’illegittimita’ del trasferimento di ramo d’azienda, trascurando la normale inconfigurabilita’ di un intuitus personae nei confronti del datore e l’assenza di un pregiudizio concreto ed attuale del lavoratore, non configurabile a fronte di rapporti di lavoro proseguiti con il cessionario senza soluzione di continuita’.
6. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto che l’autonomia organizzativa e funzionale delle attivita’ trasferite dovesse essere preesistente al trasferimento, quale presupposto essenziale per la configurabilita’ di un ramo di azienda.
7. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, la quale non avrebbe motivato adeguatamente in ordine al ritenuto difetto di autonomia del ramo, che era invece gia’ esistente al momento della cessione.
8. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Nel rapporto obbligatorio il debitore e’, di regola, indifferente al mutamento della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore puo’ ledere l’interesse del creditore. In base a questo principio – espresso nell’articolo 2740 c.c., articolo 1268 c.c., comma 1, articolo 1272 c.c., comma 1, articolo 1273 c.c., comma 1, articolo 1406 c.c. – deve considerarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’articolo 1406 citato. L’articolo 2112 c.c., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi del cedente e senza necessita’ di consenso del lavoratore, costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entita’ economica organizzata in maniera stabile e con idoneita’ alla produzione o allo scambio di beni o di servizi.
9. Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilita’ di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e percio’ l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Ne’ questo interesse e’ escluso dalla solidarieta’ di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’articolo 2112, la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto, “esistenti” al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde puo’ ben configurarsi un pregiudizio a carico del ceduto in caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile. Per altro verso, e’ evidente che l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimita’ della cessione del ramo d’azienda si configura anche in ragione del rischio di una modifica in pejus della disciplina collettiva applicabile al rapporto lavorativo, nonche’, per altro verso, della possibilita’ di diversa garanzia, in fatto o in diritto, di conservazione del posto di lavoro presso il cessionario.
10. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato l’esigenza di tutela del lavoratore connessa al generale divieto di esternalizzazione “come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore”, divieto funzionale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una “preesistente realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento” (in tale senso, cfr. Sez. L, 6.4.2006 n. 8017 e Sez. L, 30.12.2003 n. 19842), e che il mutamento del datore di lavoro non si collochi in una prospettiva di elusione delle norme (cosi’ Cass. Sez. L, sentenza 28.10.2013, n. 22627).
11. Puo’ dunque affermarsi che, in tema di trasferimento di azienda, il lavoratore ha interesse ad accertare in giudizio la non ravvisabilita’ di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo consenso, per l’inapplicabilita’ dell’articolo 2112 cod. civ. e l’operativita’ della regola generale di cui all’articolo 1406 cod. civ., non essendo indifferente per il lavoratore, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore, ossia del datore di lavoro, che puo’ offrire garanzie piu’ o meno ampie di tutela dei diritti dei lavoratori.
12. Il secondo motivo di ricorso e’ del pari infondato.
L’articolo 2112 c.c., comma 5, nel testo introdotto dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, articolo 1 (di attuazione della direttiva n. 98/50/Ce, relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti) prevedeva – prima della novella del 2003 e nel testo qui applicabile- il trasferimento di parte dell’azienda, precisando che per quest’ultimo doveva intendersi un’articolazione funzionalmente autonoma di quell’attivita’ economica organizzata definita nella prima parte del medesimo quinto comma e con le medesime connotazioni; inoltre, la citata disposizione prescriveva anche che tale frazione dell’impresa, oggetto del trasferimento parziale, doveva essere preesistente al trasferimento e, pur a seguito di questo, doveva conservare la propria identita’. Pertanto, rientra nella nozione di trasferimento di parte dell’azienda, prevista dalla richiamata disposizione, l’enucleazione di attivita’ che avessero avuto una loro originaria identita’ tale da rispecchiare gia’ le connotazioni tipiche dell’attivita’ d’impresa, mentre non vi rientra l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo, che, quale parte del tutto, avrebbero potuto semmai dar vita ad una nuova impresa, ma questa non sarebbe stata preesistente, bensi’ sarebbe sorta proprio con l’atto di trasferimento (o, meglio, di conferimento) in favore del cessionario.
13. Con riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato che il complesso ceduto, denominata (OMISSIS) User support e composta da circa 600 dipendenti, ricomprendeva il GISP centrale e territoriale (che si occupava di reti LAN, sicurezza informatica ed interconnessioni), il Customer care (che assicurava l’assistenza informatica al cliente interno), l’Asset management (che curava la gestioni delle apparecchiature, l’inventario e la distribuzione: e’ il settore nel quale prestavano servizio i ricorrenti), il Desktop management (che svolgeva la manutenzione dell’hardware, delle postazioni di lavoro, l’assistenza per gli applicativi e l’help desk tecnico). In tale complesso erano confluiti lavoratori gia’ dipendenti di societa’ diverse ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), svolgenti diverse funzioni presso diverse sedi; peraltro, non tutti i dipendenti di tali societa’ erano stati assegnati ai detti servizi, e solo parte delle funzioni svolte dai detti settori erano confluite nell’ (OMISSIS) user support (altre erano state inglobate in una “control room”, in capo al soggetto cedente).
14. La corte territoriale ha altresi’ evidenziato che l’accorpamento nell’ (OMISSIS) user support aveva riguardato attivita’ disomogenee per funzioni e professionalita’, non integrate tra loro e prive di coordinamento unitario, e dunque sprovviste di qualsiasi autonomia organizzativa, funzionale ed economica.
15. La sentenza impugnata ha quindi ritenuto che, al fine di una corretta applicazione dell’articolo 2112 c.c., l’oggetto del trasferimento deve consistere in una preesistente entita’ economica che oggettivamente si presenti dotata di autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attivita’ volta alla produzione di beni e servizi, non essendo sufficiente la sola volonta’ dell’imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per se’ privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario) al solo scopo di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo di azienda.
16. La conclusione e’ in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che – con riferimento alla cessione di azienda regolata dall’articolo 2112 c.c., nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla c.d. legge Biagi – ha sempre ritenuto che l’elemento essenziale che caratterizza la cessione del ramo di azienda e’ la preesistenza di una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario, non potendo costituire invece un ramo di azienda l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo privi di autonomia.
17. Si e’ infatti affermato (cosi’ Cass. Sez. L, sentenza 3.10.2013, n. 22627; Sez. L, sentenza n. 22613 del 03/10/2013; Sez. L, sentenza n. 21711 del 04/12/2012; Sez. L, sentenza n. 2489 del 01/02/2008; Sez. L, sentenza n. 6452 del 17/03/2009) che per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’articolo 2112 c.c. (cosi’ come modificato dalla Legge 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entita’ economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita’, il che presuppone una preesistente realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda gia’ costituito. Si e’ pure rilevato (Sez. L, sentenza n. 206 del 10/01/2004) che l’articolo 2112 c.c., letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, consente di ricondurre alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purche’ si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attivita’, che si presentino prima del trasferimento come una entita’ dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identita’. In presenza di tali condizioni, puo’ configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacita’ operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare “know how”, realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex articolo 1406 c.c. e ss.. Requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’articolo 2112 c.c., resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attivita’ dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.
18. Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda e’ coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “e’ considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entita’ economica che conserva la propria identita’, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attivita’ economica, sia essa essenziale o accessoria” (articolo 1, n. 1, direttiva 2001/23).
19. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario, ha ripetutamente individuato la nozione di entita’ economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attivita’ economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60).
20. Tali principi sono stati ribaditi ulteriormente dalla Corte Europea che, pur richiamando l’articolo 8 della direttiva 2001/23 e la facolta’ ivi prevista che gli Stati membri applichino o introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative piu’ favorevoli ai lavoratori, prevedendo ad esempio il mantenimento dei diritti dei lavoratori anche in ipotesi piu’ ampie (e cosi’ nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entita’ economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento), ha affermato che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entita’ economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, e che, per altro verso, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine “conservi” implica che l’autonomia dell’entita’ ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento (Corte di Giustizia 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 32-34).
21. In proposito, va segnalato che la specifica finalita’ perseguita dalla giurisprudenza comunitaria (volta ad agevolare il trapasso dei lavoratori al cessionario e la conservazione del posto di lavoro) non e’ incompatibile con la finalita’, perseguita dalla giurisprudenza nazionale, di impedire le esternalizzazioni che realizzino un peggioramento della posizione dei lavoratori, trattandosi di tutele volte alla protezione dei diritti dei lavoratore nell’ambito delle vicende successorie del datore di lavoro.
Affinche’, dunque, si possano produrre gli effetti derivanti dall’applicazione dell’articolo 2112 c.c., occorre la configurabilita’ di un trasferimento di ramo di azienda, cio’ che postula necessariamente, secondo quanto detto, una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario.
23. Tale situazione non ricorre nella specie, secondo quanto accertato in fatto dal giudice di merito.
24. Puo’ dunque affermarsi che esattamente il giudice di merito esclude la ravvisabilita’ di un ramo di azienda, oggetto di cessione ai sensi dell’articolo 2112 c.c., in un complesso di servizi – privi di struttura aziendale autonoma e preesistente – consistenti nella gestione e manutenzione di strutture informatiche ed in assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e professionalita’ coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario. Ne’ puo’ assumere rilievo, al fine di ravvisare un trasferimento di ramo di azienda, la sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in quanto la qualificazione come ramo di azienda contrasterebbe sia con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23, che richiedono gia’ prima di quest’atto “un’entita’ economica che conservi la propria identita’”, ossia un assetto gia’ formato, sia con gli articoli 4 e 36 Cost., che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (corte cost. n. 115 del 1994) ad un mero atto di volonta’ del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi.
25. Il terzo motivo e’ del pari infondato.
L’iter logico seguito dalla sentenza e’ lineare e coerente e la soluzione e’ adeguatamente motivata: la sentenza ha infatti rilevato che dall’istruttoria era emerso che (OMISSIS) aveva trattenuto il polo informatico al suo interno, esternalizzando solo quattro settori con funzioni eterogenee che, in precedenza, avevano operato non in contratto tra loro e senza alcun coordinamento ed essendo anzi appartenute ancor prima a societa’ diverse, e che conseguentemente doveva escludersi che alla cessione preesistesse una articolazione autonoma. In difetto della possibilita’ di individuare un criterio unificante dell’ (OMISSIS) user support, anche solo per sottrazione rispetto alle funzioni relative ai servizi informatici rimasti in (OMISSIS) (nella c.d. control room o in una delle altre cinque divisioni nelle quali, insieme all’ (OMISSIS) user support, era stata organizzata la originaria (OMISSIS) operations and infrastruetures), la conclusione cui e’ pervenuta la corte territoriale risulta immune da censure.
26. Il controricorso incidentale per adesione proposto da (OMISSIS), proposto per i medesimi motivi del ricorso principale, deve essere, al pari di questo e per i motivi fin qui esposti, respinto.
27. Le spese seguono la soccombenza.
2. In particolare, la Corte ha escluso la configurabilita’ di una cessione di ramo d’azienda, ed ha riconosciuto il diritto dei lavoratori a proseguire il rapporto di lavoro con (OMISSIS), ritenendo privo di efficacia verso quest’ultima le conciliazioni sindacali sottoscritte da alcuni lavoratori con (OMISSIS).
3. Avverso tale sentenza ricorre (OMISSIS) per tre motivi; resistono i lavoratori con controricorso, illustrato da memoria; propone ricorso incidentale per adesione, per tre motivi, (OMISSIS).
4. Il ricorso principale e quello incidentale per adesione devono essere riuniti in quanto proposti contro la stessa sentenza.
5. Con il primo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c., e degli articoli 1406, 2094 e 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto la sussistenza dell’interesse ad agire dei lavoratori per accertare l’illegittimita’ del trasferimento di ramo d’azienda, trascurando la normale inconfigurabilita’ di un intuitus personae nei confronti del datore e l’assenza di un pregiudizio concreto ed attuale del lavoratore, non configurabile a fronte di rapporti di lavoro proseguiti con il cessionario senza soluzione di continuita’.
6. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 c.c., per avere la sentenza ritenuto che l’autonomia organizzativa e funzionale delle attivita’ trasferite dovesse essere preesistente al trasferimento, quale presupposto essenziale per la configurabilita’ di un ramo di azienda.
7. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, la quale non avrebbe motivato adeguatamente in ordine al ritenuto difetto di autonomia del ramo, che era invece gia’ esistente al momento della cessione.
8. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Nel rapporto obbligatorio il debitore e’, di regola, indifferente al mutamento della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore puo’ ledere l’interesse del creditore. In base a questo principio – espresso nell’articolo 2740 c.c., articolo 1268 c.c., comma 1, articolo 1272 c.c., comma 1, articolo 1273 c.c., comma 1, articolo 1406 c.c. – deve considerarsi inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’articolo 1406 citato. L’articolo 2112 c.c., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi del cedente e senza necessita’ di consenso del lavoratore, costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entita’ economica organizzata in maniera stabile e con idoneita’ alla produzione o allo scambio di beni o di servizi.
9. Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non ravvisabilita’ di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e percio’ l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Ne’ questo interesse e’ escluso dalla solidarieta’ di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’articolo 2112, la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto, “esistenti” al momento del trasferimento e non quelli futuri, onde puo’ ben configurarsi un pregiudizio a carico del ceduto in caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile. Per altro verso, e’ evidente che l’interesse del lavoratore ad agire per l’accertamento della illegittimita’ della cessione del ramo d’azienda si configura anche in ragione del rischio di una modifica in pejus della disciplina collettiva applicabile al rapporto lavorativo, nonche’, per altro verso, della possibilita’ di diversa garanzia, in fatto o in diritto, di conservazione del posto di lavoro presso il cessionario.
10. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato l’esigenza di tutela del lavoratore connessa al generale divieto di esternalizzazione “come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore”, divieto funzionale proprio all’interesse ad accertare che il ramo di azienda ceduto consista in una “preesistente realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non in una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento” (in tale senso, cfr. Sez. L, 6.4.2006 n. 8017 e Sez. L, 30.12.2003 n. 19842), e che il mutamento del datore di lavoro non si collochi in una prospettiva di elusione delle norme (cosi’ Cass. Sez. L, sentenza 28.10.2013, n. 22627).
11. Puo’ dunque affermarsi che, in tema di trasferimento di azienda, il lavoratore ha interesse ad accertare in giudizio la non ravvisabilita’ di un ramo di azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e, quindi, l’inefficacia di questo nei suoi confronti in difetto del suo consenso, per l’inapplicabilita’ dell’articolo 2112 cod. civ. e l’operativita’ della regola generale di cui all’articolo 1406 cod. civ., non essendo indifferente per il lavoratore, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore, ossia del datore di lavoro, che puo’ offrire garanzie piu’ o meno ampie di tutela dei diritti dei lavoratori.
12. Il secondo motivo di ricorso e’ del pari infondato.
L’articolo 2112 c.c., comma 5, nel testo introdotto dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, articolo 1 (di attuazione della direttiva n. 98/50/Ce, relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti) prevedeva – prima della novella del 2003 e nel testo qui applicabile- il trasferimento di parte dell’azienda, precisando che per quest’ultimo doveva intendersi un’articolazione funzionalmente autonoma di quell’attivita’ economica organizzata definita nella prima parte del medesimo quinto comma e con le medesime connotazioni; inoltre, la citata disposizione prescriveva anche che tale frazione dell’impresa, oggetto del trasferimento parziale, doveva essere preesistente al trasferimento e, pur a seguito di questo, doveva conservare la propria identita’. Pertanto, rientra nella nozione di trasferimento di parte dell’azienda, prevista dalla richiamata disposizione, l’enucleazione di attivita’ che avessero avuto una loro originaria identita’ tale da rispecchiare gia’ le connotazioni tipiche dell’attivita’ d’impresa, mentre non vi rientra l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo, che, quale parte del tutto, avrebbero potuto semmai dar vita ad una nuova impresa, ma questa non sarebbe stata preesistente, bensi’ sarebbe sorta proprio con l’atto di trasferimento (o, meglio, di conferimento) in favore del cessionario.
13. Con riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato che il complesso ceduto, denominata (OMISSIS) User support e composta da circa 600 dipendenti, ricomprendeva il GISP centrale e territoriale (che si occupava di reti LAN, sicurezza informatica ed interconnessioni), il Customer care (che assicurava l’assistenza informatica al cliente interno), l’Asset management (che curava la gestioni delle apparecchiature, l’inventario e la distribuzione: e’ il settore nel quale prestavano servizio i ricorrenti), il Desktop management (che svolgeva la manutenzione dell’hardware, delle postazioni di lavoro, l’assistenza per gli applicativi e l’help desk tecnico). In tale complesso erano confluiti lavoratori gia’ dipendenti di societa’ diverse ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), svolgenti diverse funzioni presso diverse sedi; peraltro, non tutti i dipendenti di tali societa’ erano stati assegnati ai detti servizi, e solo parte delle funzioni svolte dai detti settori erano confluite nell’ (OMISSIS) user support (altre erano state inglobate in una “control room”, in capo al soggetto cedente).
14. La corte territoriale ha altresi’ evidenziato che l’accorpamento nell’ (OMISSIS) user support aveva riguardato attivita’ disomogenee per funzioni e professionalita’, non integrate tra loro e prive di coordinamento unitario, e dunque sprovviste di qualsiasi autonomia organizzativa, funzionale ed economica.
15. La sentenza impugnata ha quindi ritenuto che, al fine di una corretta applicazione dell’articolo 2112 c.c., l’oggetto del trasferimento deve consistere in una preesistente entita’ economica che oggettivamente si presenti dotata di autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attivita’ volta alla produzione di beni e servizi, non essendo sufficiente la sola volonta’ dell’imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per se’ privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario) al solo scopo di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo di azienda.
16. La conclusione e’ in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che – con riferimento alla cessione di azienda regolata dall’articolo 2112 c.c., nella formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla c.d. legge Biagi – ha sempre ritenuto che l’elemento essenziale che caratterizza la cessione del ramo di azienda e’ la preesistenza di una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario, non potendo costituire invece un ramo di azienda l’assemblaggio di frammenti del processo produttivo privi di autonomia.
17. Si e’ infatti affermato (cosi’ Cass. Sez. L, sentenza 3.10.2013, n. 22627; Sez. L, sentenza n. 22613 del 03/10/2013; Sez. L, sentenza n. 21711 del 04/12/2012; Sez. L, sentenza n. 2489 del 01/02/2008; Sez. L, sentenza n. 6452 del 17/03/2009) che per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’articolo 2112 c.c. (cosi’ come modificato dalla Legge 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entita’ economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identita’, il che presuppone una preesistente realta’ produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volonta’ dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda gia’ costituito. Si e’ pure rilevato (Sez. L, sentenza n. 206 del 10/01/2004) che l’articolo 2112 c.c., letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, consente di ricondurre alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purche’ si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attivita’, che si presentino prima del trasferimento come una entita’ dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identita’. In presenza di tali condizioni, puo’ configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacita’ operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare “know how”, realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex articolo 1406 c.c. e ss.. Requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’articolo 2112 c.c., resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attivita’ dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.
18. Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda e’ coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “e’ considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entita’ economica che conserva la propria identita’, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attivita’ economica, sia essa essenziale o accessoria” (articolo 1, n. 1, direttiva 2001/23).
19. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario, ha ripetutamente individuato la nozione di entita’ economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attivita’ economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60).
20. Tali principi sono stati ribaditi ulteriormente dalla Corte Europea che, pur richiamando l’articolo 8 della direttiva 2001/23 e la facolta’ ivi prevista che gli Stati membri applichino o introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative piu’ favorevoli ai lavoratori, prevedendo ad esempio il mantenimento dei diritti dei lavoratori anche in ipotesi piu’ ampie (e cosi’ nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entita’ economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento), ha affermato che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entita’ economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente, e che, per altro verso, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine “conservi” implica che l’autonomia dell’entita’ ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento (Corte di Giustizia 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 32-34).
21. In proposito, va segnalato che la specifica finalita’ perseguita dalla giurisprudenza comunitaria (volta ad agevolare il trapasso dei lavoratori al cessionario e la conservazione del posto di lavoro) non e’ incompatibile con la finalita’, perseguita dalla giurisprudenza nazionale, di impedire le esternalizzazioni che realizzino un peggioramento della posizione dei lavoratori, trattandosi di tutele volte alla protezione dei diritti dei lavoratore nell’ambito delle vicende successorie del datore di lavoro.
Affinche’, dunque, si possano produrre gli effetti derivanti dall’applicazione dell’articolo 2112 c.c., occorre la configurabilita’ di un trasferimento di ramo di azienda, cio’ che postula necessariamente, secondo quanto detto, una struttura organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario.
23. Tale situazione non ricorre nella specie, secondo quanto accertato in fatto dal giudice di merito.
24. Puo’ dunque affermarsi che esattamente il giudice di merito esclude la ravvisabilita’ di un ramo di azienda, oggetto di cessione ai sensi dell’articolo 2112 c.c., in un complesso di servizi – privi di struttura aziendale autonoma e preesistente – consistenti nella gestione e manutenzione di strutture informatiche ed in assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e professionalita’ coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario. Ne’ puo’ assumere rilievo, al fine di ravvisare un trasferimento di ramo di azienda, la sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in quanto la qualificazione come ramo di azienda contrasterebbe sia con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23, che richiedono gia’ prima di quest’atto “un’entita’ economica che conservi la propria identita’”, ossia un assetto gia’ formato, sia con gli articoli 4 e 36 Cost., che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (corte cost. n. 115 del 1994) ad un mero atto di volonta’ del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi.
25. Il terzo motivo e’ del pari infondato.
L’iter logico seguito dalla sentenza e’ lineare e coerente e la soluzione e’ adeguatamente motivata: la sentenza ha infatti rilevato che dall’istruttoria era emerso che (OMISSIS) aveva trattenuto il polo informatico al suo interno, esternalizzando solo quattro settori con funzioni eterogenee che, in precedenza, avevano operato non in contratto tra loro e senza alcun coordinamento ed essendo anzi appartenute ancor prima a societa’ diverse, e che conseguentemente doveva escludersi che alla cessione preesistesse una articolazione autonoma. In difetto della possibilita’ di individuare un criterio unificante dell’ (OMISSIS) user support, anche solo per sottrazione rispetto alle funzioni relative ai servizi informatici rimasti in (OMISSIS) (nella c.d. control room o in una delle altre cinque divisioni nelle quali, insieme all’ (OMISSIS) user support, era stata organizzata la originaria (OMISSIS) operations and infrastruetures), la conclusione cui e’ pervenuta la corte territoriale risulta immune da censure.
26. Il controricorso incidentale per adesione proposto da (OMISSIS), proposto per i medesimi motivi del ricorso principale, deve essere, al pari di questo e per i motivi fin qui esposti, respinto.
27. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese e competenze di lite, che si liquidano in euro tremila per compensi ed euro cento per spese, oltre accessori come per legge.
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