Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  14 maggio 2014, n. 19895

Considerato in fatto

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il giudice di pace di Roma ha assolto C.M.G. dal delitto di cui all’articolo 595 cp in danno dell’avvocato S.R. per non aver commesso il fatto.
1.1. Alla C. è addebitato di aver indirizzato una missiva al consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, con la quale accusava l’avvocato S. di atteggiamento ostruzionistico e persecutorio nei suoi confronti, di minacce, di aver gonfiato le spese addebitate alla C. stessa, di non aver rilasciato le relative fatture, di non aver consegnato copie delle fatture quietanzate a fronte dei pagamenti effettuati.
2. Ricorre per cassazione il competente procuratore della Repubblica e deduce mancanza, ovvero illogicità di motivazione, ovvero ancora contraddittorietà per mancata valutazione di prova o per travisamento della stessa, assenza della veridicità delle accuse formulate dalla C. nei confronti della S., assenza della buona fede nella C., esercizio da parte del giudice di potestà riservata dalla legge ovvero a organi legislativi o amministrativi, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
2.1. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata è del tutto carente di motivazione in quanto il giudice di pace non si pronuncia in merito alla diffamatorietà delle espressioni utilizzate dalla signora C. nell’esposto indirizzato al consiglio dell’ordine. La motivazione, seppur ritenuta sussistente, è comunque contraddittoria e illogica, perché in essa si fa riferimento a una sentenza della corte di cassazione che è relativa ai rapporti tra l’avvocato e il suo cliente, laddove la C. non era cliente della S., ma era la controparte del cliente della S. che era il condominio, il quale aveva intentato azione civile contro la C. Il consiglio dell’ordine degli avvocati, per altro, come si ricorda nella stessa sentenza, ha attestato l’assoluta regolarità della condotta dell’avvocato S. e dunque le accuse mosse dalla C. sono prive di fondamento. L’imputata, inoltre, era ben consapevole della falsità delle accuse che andava a muovere all’avvocato S. in quanto un suo esposto, depositato presso la procura della Repubblica di Roma, era stato già archiviato. Non è stata inoltre acquisita documentazione relativa all’operato dell’avvocato S. e alle determinazioni del competente consiglio dell’ordine che aveva, a sua volta, archiviato l’esposto a carico del predetto professionista. Al proposito è da rilevare, secondo il ricorrente, che il giudicante si è anche arrogato il compito di valutare l’operato del predetto consiglio dell’ordine professionale; infine è stata irritualmente assunta la dichiarazione dell’imputata, che si è limitata a depositare un suo scritto, con ciò impedendo all’accusa di svolgere le proprie domande e considerazioni.

Considerato in diritto

1. Premesso che all’imputato è consentito di tenere, in dibattimento, il comportamento che giudica più consono alla sua difesa e dunque anche di tacere, rispondere parzialmente alle domande, fare spontanee dichiarazioni, depositare documenti e/o note scritte, il ricorso è fondato e merita accoglimento. Ciò, appunto, nonostante la assoluta erroneità dell’ultima considerazione svolta dalle impugnate pubblico ministero.
2. Invero, la evidente fondatezza delle prime due censure rende inutile l’esame delle altre.
3. Dalla lettura della sentenza impugnata (che oltretutto conclude in maniera incongrua rispetto alla motivazione, in quanto, nel caso di specie, a voler condividere il ragionamento espresso dal giudice di pace, la formula assolutoria avrebbe dovuto essere quella della insussistenza del fatto), emerge che il giudicante si è abbandonato a considerazioni circa l’opportunità di talune scelte assunte dall’amministratore del condominio e sulla conseguenti iniziative del legale del condominio stesso (appunto l’avvocato S.), ma non ha manifestato il suo convincimento circa la ipotizzata natura diffamatoria delle accuse che la C., con l’esposto indirizzato al competente consiglio dell’ordine, aveva mosso al predetto professionista.
3.1. È certamente fondata la considerazione in base alla quale è consentito criticare l’operato di un professionista, indirizzando scritti o comunque comunicazioni al competente organo amministrativo professionale. Va da sé, tuttavia, che le critiche devono riferirsi a fatti realmente accaduti o comunque a fatti che il criticale ritenga, senza sua colpa, essere realmente accaduti. Soltanto su tali aspetti si sarebbe dovuto pronunciare il giudice di pace, invece di indulgere in considerazioni di tutt’altra natura.
3.2. Invero, se l’avvocato S. ha effettivamente tenuto la condotta indicata nel capo d’imputazione, la C. ha semplicemente esercitato un suo diritto; quello di segnalare la condotta del predetto avvocato al competente consiglio dell’ordine.
3.3. Se, viceversa, si tratta di accuse infondate, consapevolmente mosse e strumentalmente formulate, è evidente che va valutata la sussistenza del delitto contestato. A tal proposito, come correttamente osserva il pubblico ministero ricorrente, il giudice di pace non avrebbe dovuto ignorare né lo sviluppo procedimentale di eventuali denunce proposte contro la S. in sede penale, né le deliberazioni assunte in merito dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma.
4. Le spese della costituita parte civile andranno, eventualmente, liquidate “al definitivo”.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice di pace di Roma.

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