assegno divorzile

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  6 maggio 2014, n. 9658

Fatto e diritto

In un procedimento di separazione tra N.G. e S.M., la Corte d’Appello di Catania, con sentenza in data 20/06/2011, in riforma della sentenza del Tribunale di Caltagirone, determinava in €. 1.000,00 mensili l’assegno in favore della moglie e della figlia.
Ricorre per cassazione il N., che pure deposita memoria difensiva.
Resiste con controricorso la S..
Non si ravvisano violazioni di legge.
Per giurisprudenza ampiamente consolidata, anche in sede di separazione, l’assegno per il coniuge deve tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale, e tuttavia indice di tale tenore di vita può essere l’attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi (Cass. n. 2156 del 2010).
In sostanza il ricorrente propone profili e situazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una sentenza caratterizzata da motivazione adeguata e non illogica.
Non è vero, come invece sostiene il ricorrente, tanto nel ricorso che nella memoria, che il giudice a quo non abbia considerato il suo intervenuto pensionamento, con conseguente riduzione del suo reddito. Al contrario, la sentenza impugnata ritiene sottostimato l’importo dell’assegno, come stabilito dal primo giudice, e lo eleva, pur tenendo conto della diminuzione del reddito dell’obbligato. Il giudice tiene altresì conto delle proprietà immobiliari del ricorrente, sulla base di una nota della Guardia di Finanza, richiamata dal ricorrente stesso: fabbricato del valore di lire 76.300.000; terreno non edificabile per lire 8.600.000 (la circostanza che questi immobili diano scarso reddito non è decisiva, perché l’obbligato potrebbe alienare una parte del suo patrimonio immobiliare, per provvedere alla corresponsione di assegno per moglie e figlia) nonché del godimento della casa coniugale, che avrebbe potuto essere assegnata alla moglie, convivente con la figlia maggiorenne, ma non autosufficiente economicamente (è questa la circostanza che correttamente il giudice evidenzia, vantaggiosa per l’odierno ricorrente, rispetto al ritorno a Torino della moglie presso la famiglia di origine).
Dal contesto motivazionale emerge pure che il giudice a quo ha considerato che i redditi dell’obbligato erano al lordo dell’imposizione fiscale.
Quanto alle spese del giudizio di appello, la valutazione spetta al giudice di merito, e la condanna del ricorrente viene ricollegata alla sua soccombenza, ancorchè parziale.
Va pertanto rigettato il ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in €. 2.300,00 di cui €. 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.

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