Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 22 aprile 2014, n. 17591
Ritenuto in fatto
1. H.A. di nazionalità albanese impugna innanzi a questa Corte per il tramite dei suoi due difensori la sentenza del 27 settembre 2012, con la quale la Corte d’appello di Roma ha ridotto da anni 11 ad anni 9 di reclusione la pena complessiva inflittagli dal G.U.P. del Tribunale di Roma col rito abbreviato il 6 giugno 2011 per i seguenti tre reati, dei quali solo i primi due riuniti col vincolo della continuazione:
1) – tentato omicidio aggravato dal motivo futile in danno del connazionale N.E. , da lui colpito con tre colpi d’arma da fuoco che lo avevano attinto all’addome ed alla coscia sinistra, avendo in tal modo commesso atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte, intento non perseguito per cause indipendenti dalla sua volontà (artt. 56, 575, 577 comma 1 n. 4, 61 n. 1 cod. pen.);
2) – illecita detenzione e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo, con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di commettere il delitto che precede (artt. 61 n. 2 cod. pen., 2 e 4 legge n. 895 del 1967);
3) – formazione di una patente di guida albanese totalmente falsa, avendo apposto sul relativo modulo la propria foto ed avendo contraffatto i timbri del documento (artt. 482, 477 cod. pen.).
2. La Corte d’appello di Roma è pervenuta all’anzidetta riduzione di pena avendo escluso dal delitto sub 1) l’aggravante della premeditazione ed avendo altresì ridotto l’aumento di pena a titolo di continuazione per i due reati in materia di armi, determinandolo in mesi 6 di reclusione per ciascuno di essi, si che alla pena base di anni 12 di reclusione prevista per il primo reato, ai sensi dell’art. 56 comma 2 cod. pen., è stata aggiunta l’ulteriore pena di anni 1 di reclusione a titolo di continuazione, in tal modo determinandosi la pena complessiva in anni 13 di reclusione, ridotta per il rito abbreviato ad anni 8 e mesi 8 di reclusione. A tale ultima pena è stata aggiunta quella di mesi 4 di reclusione per il reato di falso contestatogli sub 3, si che la pena finale a carico dell’imputato è stata determinata in complessivi anni 9 di reclusione.
3. Il tentato omicidio è avvenuto in (omissis) , nella notte fra il (omissis) ; N.E. , di nazionalità albanese, si trovava a bordo della sua auto BMW ferma sul ciglio della strada, ovvero mentre procedeva a passo d’uomo, seduto al lato guida, in compagnia di B.A. , giovane donna di nazionalità rumena, asseritamente sua fidanzata, allorché la sua auto era stata affiancato da una Ford Ka, guidata dall’imputato; quest’ultimo aveva rallentato l’andatura del suo veicolo e, giunto all’altezza della sua auto in sosta, gli aveva esploso contro tre colpi di pistola in rapida successione da distanza ravvicinata, stimata nell’ordine di 2 metri, che avevano colpito il N. all’addome ed alla coscia sinistra.
Il movente del tentato omicidio era da ricercare nella rivalità fra i due uomini per la gestione della donna rumena, la quale aveva abbandonato l’imputato, avendo preferito la compagnia della vittima.
4. H.A. deduce due doglianze:
I) – erronea applicazione della legge penale e motivazione carente e contraddittoria, in quanto la sentenza impugnata aveva escluso nel suo comportamento la sussistenza di un dolo intenzionale ed aveva ritenuto che egli si fosse rappresentato come eventuale la morte della vittima e che, pur di portare a compimento la sua azione e perseguire il suo intento, aveva accettato l’evento morte; il che costituiva motivazione contraddittoria, in quanto l’omicidio tentato del N. avrebbe dovuto comportare che l’evento letale fosse stato da lui accettato non come dato eventuale, ma evento previsto come certo ovvero altamente probabile.
Sussisteva poi un errore di prospettiva nella sentenza impugnata, per non avere essa esaminato l’intero quadro della vicenda, al fine di accertare l’elemento psicologico che aveva caratterizzato il suo agire.
Non era stato indicato il movente che lo aveva determinato ad agire, essendo stato solo rilevata l’adeguatezza causale del suo agire, la quale era solo un presupposto per dichiararlo colpevole del delitto tentato in esame, essendo altresì richiesto, per la sua punibilità, l’univocità degli atti rispetto all’intento omicidiario, inteso come rappresentazione dell’evento ed accettazione del relativo rischio.
Non era possibile desumere dal solo svolgimento dei fatti l’esistenza di una sua volontà di uccidere, essendo altresì richiesto che i fatti fossero stati analizzati nella loro completezza; il che nella specie non era avvenuto, non avendo la sentenza impugnata rilevato che egli, trovandosi vicinissimo al bersaglio, avrebbe potuto mirare alle parti vitali visibili della vittima; che, essendo le due auto affiancate a bassa velocità, egli avrebbe potuto mirare senza approssimazioni; che il secondo ed il terzo colpo erano stati da lui univocamente sparati verso il basso; che egli non aveva scaricato l’intero caricatore della sua pistola; che i cristalli dell’auto della vittima erano rimasti intatti.
Dall’esame completo della fattispecie concreta non era dunque desumibile una sua univoca intenzione di uccidere, anche perché uno solo dei tre colpi di pistola da lui esplosi era stato idoneo a causare l’evento morte;
II) – insussistenza dell’aggravante dei motivi abietti e futili, avendo la stessa sentenza impugnata ammesso che il movente del tentato omicidio ascrittogli era rimasto oscuro; ora sebbene con i motivi di appello egli non avesse contestato la sussistenza dell’aggravante in esame, trattavasi pur sempre di un rilevante errore di diritto, che aveva inficiato l’impostazione dell’intera sua vicenda processuale.
Considerato in diritto
1. È infondato il primo motivo di ricorso proposto da H.A. .
2. Con esso il ricorrente lamenta l’insussistenza nel suo comportamento del dolo omicidiario, tale da consentire la sua condanna per il delitto di cui agli artt. 56, 575 cod. pen..
Va al contrario rilevato che la motivazione addotta dalla Corte territoriale per ritenere la sussistenza nel comportamento tenuto dal ricorrente dell’elemento psicologico del dolo omicidiario appare incensurabile nella presente sede, siccome immune da vizi logici e da contraddizioni.
Esso è stato correttamente qualificato dalla sentenza impugnata come dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo alternativo, che si ha quando, come nel caso in esame, il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi alternativi causalmente collegabili al suo comportamento cosciente e volontario e cioè, nella specie, la morte ovvero il grave ferimento della vittima; e la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che il dolo diretto, nella sua manifestazione nota come dolo alternativo, è compatibile con l’omicidio tentato (cfr., in termini, Cass. 1^ 20.10.97 n. 9949; Cass. 1A 25.5.07 n. 27620).
3. I giudici di merito hanno desunto la sussistenza dell’anzidetto dolo omicidiario correttamente avendo valorizzato le concrete modalità della condotta da lui tenuta e precisamente:
– l’avere il ricorrente usato come strumento di offesa una potente arma da fuoco e cioè una pistola semiautomatica calibro 7,65 pienamente funzionante e della cui micidialità non è dato dubitare;
– l’avere il ricorrente esploso ben tre colpi in rapida successione con la pistola anzidetta mentre con la sua autovettura stava superando a bassissima velocità l’auto della vittima e quindi a distanza molto ravvicinata, mirando alla parte alta dello sportello anteriore sinistro, in corrispondenza della zona toracica ed addominale della vittima, ben essendo consapevole che la forza d’impatto dei proiettili esplosi era tale da superare la lamiera dello sportello e da attingere il corpo della vittima; in particolare il primo di tali colpi, che ha colpito fortuitamente la maniglia della portiera anteriore sinistra dell’auto in cui si trovava la vittima, aveva avuto un andamento quasi orizzontale ed una distanza dal suolo pari a cm. 81,5; aveva pertanto avuto una direzione tale che, se non avesse incontrato l’ostacolo della maniglia e della lamiera dell’auto, avrebbe senz’altro colpito la vittima in piena zona toracica con esito letale;
– l’essere stati tutti e tre i colpi esplosi dal ricorrente orientati verso il tronco della vittima, che sedeva al lato guida del veicolo colpito; di essi, uno era stato, come sopra detto, fortunosamente trattenuto dalla maniglia della portiera, mentre gli altri due avevano forato lo sportello dell’auto, penetrando uno nell’addome ed un altro nella coscia sinistra della vittima.
Correttamente pertanto la sentenza impugnata ha rilevato sia la sussistenza dell’idoneità dell’azione commessa dal ricorrente a procurare la morte della persona offesa, intesa come sua capacità causale a produrre l’evento morte, in quanto il primo colpo di pistola, se non fosse stato trattenuto dalla maniglia della portiera, avrebbe avuto esito letale, sia l’univocità di detta azione a cagionare detto evento letale, con la specificazione, già in precedenza illustrata, che il dolo ravvisabile nel comportamento del ricorrente è quello alternativo, essendosi egli rappresentato sia l’eventualità che dal suo comportamento derivassero lesioni per la parte offesa, sia che, da esso, conseguisse la morte della stessa, avendo accettato entrambi detti esiti come alternativamente possibili.
La motivazione addotta dai giudici di merito per ritenere la sussistenza, nel comportamento del ricorrente, del dolo omicidiario sotto la forma del dolo alternativo nei confronti di N.E. è pertanto pienamente condivisibile, siccome immune da illogicità e contraddizioni (cfr., in termini, Cass. 2^ 23.5.07 n. 23419).
4. È poi inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen. il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza nel suo comportamento dell’aggravante del motivo abietto e futile. Come invero ammesso dallo stesso ricorrente e com’è desumibile dagli atti di causa, non risulta che la censura anzidetta rientri fra i motivi di appello proposti innanzi alla Corte territoriale.
5. Il ricorso proposto da H.A. va pertanto respinto, con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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