Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza n. 9780 del 28 febbraio 2014
La Corte,
ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con sentenza del 27 settembre 2012 il GUP del Tribunale di Trento, all’esito di giudizio abbreviato richiesto con l’opposizione a precedente decreto penale di condanna, infliggeva la pena di euro 200,00 di ammenda a carico di P.U., imputato della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. perché, per petulanza e per altri biasimevoli motivi, tramite continui e frequenti contatti telefonici nonché appostamenti nella pubblica via, poneva in essere comportamenti di disturbo e di molestia in danno della moglie separata O.V.; in Castello Molina di Fiemme, da giugno novembre 2010. A sostegno della decisione bis c.p.; la relazione dei servizi sociali del 16.10.2012, comprovante l’atteggiamento gravemente manipolatorio della p.o. verso i figli per porli, in termini di autentica aggressività, contro il padre; di qui, dai contenuti dei richiamati documenti, del tutto ignorati dal giudicante, la prova evidente della inaffidabilità della p.o. nelle accuse verso l’ex marito, fortemente osteggiato.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 660 c.p. e illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del reato contestato, in particolare osservando: nella vicenda in esame il giudicante ha escluso la rilevanze delle poche o nulle telefonate accertate a carico dell’imputato per poi valorizzare un unico episodio, quello del 27.10.2010; prova della condotta di reato è stata ritenuta la presenza dell’imputato nelle vicinanze dell’abitazione della O.; stare nelle vicinanze però non prova alcuna molestia ovvero petulanza e l’imputato era in quel luogo soltanto per poter vedere i figli, in continuazione negatigli dalla ex moglie come ampiamente provato con la documentazione innanzi richiamata; dal settembre 2010, afferma la CTU disposta dal tribunale di Trento, la O. impedisce all’ex marito di incontrare i figli; di qui l’assenza del biasimevole motivo anche in presenza di un eventuale suono del campanello; il padre fuori di casa attendeva l’uscita dei figli per poterli vedere mentre si recavano a scuola; di qui l’insussistenza dei requisiti di legge relativi alla contravvenzione cointestata.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il reato di molestia o disturbo alle persone, secondo consolidato insegnamento giurisprudenziale, non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere realizzato anche con una sola azione (Cass., Sez. I, 08/07/2010, n. 29933) purchè particolarmente sintomatica la stessa dei requisiti della fattispecie tipizzata. Su tale presupposto teorico è stata ritenuta molesta, ad esempio, anche una sola telefonata perché effettuata alle ore 23, ritenuta notturna, con il futile pretesto della richiesta di restituzione di una tuta (Cass., Sez. I, 22/04/2004, n. 23521) ovvero, dopo la mezzanotte, perché, nella specie, si è ritenuto che l’ora della telefonata dimostrava sia l’obiettiva, molesta intrusione in ore riservate al riposo, sia l’evidente intenzione dell’imputato di molestare la moglie, e non già di vedere il bambino, come difensivamente opinato, che a quell’ora avrebbe dovuto dormire (Cass., Sez. I, 12/11/2009, n. 36).
Nei richiamati precedenti l’unicità della telefonata è stata però criticamente valutata, ai fini di verificare, in concreto, la ricorrenza dei requisiti di legge per la sussistenza della contravvenzione, giacchè, ai fini del reato previsto dall’art. 660 c.p., l’atto di molestia dev’essere ispirato da biasimevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri. Di qui la rilevanza data all’ora dell’unica telefonata, eccezionalmente ritenuta petulante, ed ai motivi di essa.
3.2 Nel caso in esame l’imputato è accusato di aver suonato il campanello di casa, ripetutamente, in un arco temporale di circa un’ora, intorno alle sei del mattino di un giorno, il 27 ottobre, che in aree alpine come quella che fu teatro della vicenda, si appalesa particolarmente mattiniera e per questo incisivamente idonea ad arrecare fastidio e petulanza. Il fatto in sé, pertanto, è stato correttamente inserito dal giudicante nell’ipotesi tipica contestata ed alla tesi accusatoria la difesa ha opposto ragioni di merito volte a fornire una versione alternativa dei fatti di causa, versione alternativa peraltro per più profili irragionevole: vedere i figli alle sei del mattino ed attendere a quell’ora che uscissero per andare a scuola è francamente ricostruzione assolutamente illogica ed irrazionale. Lo sforzo maggiore della difesa, anche in questa fase di legittimità, si è però indirizzato sulla valutazione della prova a carico e sulla attendibilità delle accuse della ex moglie. Sul punto di nessun rilievo sono i documenti acquisiti al processo a riprova dell’instabilità mentale della p.o. e del suo astio verso l’ex marito, dappoichè il giudicante ha logicamente concluso per la credibilità delle denunce in atti sulla base dell’intervento dei CC., chiamati dalla p.l. e sopraggiunti verso le ore 6.40 per constatare la singolare presenza a quell’ora dell’imputato davanti alla casa della p.l.. A ciò si aggiunga che nessuna plausibile e ragionevole giustificazione di quella presenza è stata data dall’interessato prima e dalla difesa successivamente.
5. Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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