Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 23 gennaio 2014, n. 1439
Svolgimento del processo
1) Il 28 aprile 2003 A.O. ha proposto opposizione a decreto ingiuntivo relativo a spese condominiali deducendo di non essere condomino dello stabile; di non aver mai ricevuto copia del regolamento o delle tabelle; che dal 1973, epoca in cui aveva acquistato un seminterrato nella palazzina O di via (omissis) non aveva ricevuto alcuna richiesta, fino al 2001; che successivamente aveva appreso che il condominio aveva deliberato di applicare per analogia le tabelle della palazzina N, di cui contestava l’applicazione.
Ha denunciato la nullità di tutte le delibere cosi adottate e chiesto la revoca dell’ingiunzione.
Il giudice di pace, accogliendo le eccezioni del Condominio resistente, ha respinto l’opposizione, essendo controverse delibere non tempestivamente impugnate dal condomino A. , riconosciuto tale sulla base del titolo di proprietà che gli era stato chiesto di esibire.
Il tribunale di Messina con sentenza 13 aprile 2011 ha rigettato il gravame interposto dall’opponente, il quale ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 17 novembre 2011.
Il Condominio ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1138 cc e 68 disp. att. e vizi di motivazione.
Parte ricorrente deduce che il giudice di merito non avrebbe affrontato le problematiche relative al presupposto giuridico della richiesta di quote condominiali, al calcolo delle quote, all’attribuzione dei millesimi in sede assembleare. Lamenta che l’amministratore avrebbe inventato una quota millesimale perché le tabelle della palazzina N, applicate in via analogica, non le prevedevano e la misura non era stata nemmeno convenzionalmente stabilita.
2.1) Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 633 c.p.c. e 63 disp. att. c.c. e vizi di motivazione ed è finalizzato a contestare la decorrenza del termine per impugnare le delibere del novembre 2001 e gennaio 2002.
A. sostiene che dette delibere non lo riguardavano, perché non contemplavano espressamente la sua posizione. Aggiunge che nel ricevere le delibere unitamente alla richiesta di pagamento egli, sapendo che i cantinati erano esclusi dal calcolo dei millesimi, non aveva interesse ad impugnare e poteva riservarsi di opporsi alle richieste illegittime di somme in un secondo momento.
2.2) Il terzo motivo ribadisce, nel denunciare violazione degli artt. 1138 c.c. e 68 disp. att., che l’amministratore aveva attribuito le quote senza tener conto che nelle tabelle della palazzina N il cantinato non figurava.
3) Le censure, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondate.
In materia di condominio vige il principio dell’esecutività della deliberazione dell’assemblea, che consente la temporanea esigibilità, senza pregiudizio del definitivo accertamento dei debiti qualora penda altra impugnazione della stessa delibera o di un atto presupposto, e la delibera non sia stata sospesa.
Sono impugnabili in ogni tempo, unitamente al decreto ingiuntivo emesso sulla base di una delibera assembleare, le delibere nulle. Sono invece inammissibili le impugnazioni avverso delibere annullabili.
In via generale Cass. SU 4806 del 2005 ha stabilito che debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
3.2) La giurisprudenza ha precisato successivamente che è solo annullabile la delibera con la quale erroneamente si applichi il criterio legale di riparto delle spese condominiali; diverso è il caso in cui consapevolmente l’assemblea deliberi di modificare i criteri di riparto stabiliti dalla legge (o in via convenzionale da tutti i condomini), arbitrariamente derogando ad essi. Nella singolare fattispecie si è in presenza di un caso di annullabilità.
Va premesso che la speciosa opposizione del ricorrente era tutta imperniata a partire dalla tesi di essere estraneo al condominio, per il solo fatto che per lungo tempo non gli erano stati richiesti oneri condominiali.
L’accertamento del giudice di pace, non più controvertibile in questo giudizio, della esistenza di porzione condominiale appartenente all’opponente, ha fatto contemporaneamente venire in evidenza la circostanza che non esisteva tabella millesimale approvata convenzionalmente e che i condomini erano intesi alla elaborazione delle tabelle definitive, tanto che parte delle spese per cui è causa si riferiscono proprio ai costi preventivati per conferire un incarico professionale in tal senso.
3.3) È il ricorrente ad invocare, denunciando il vizio di motivazione, l’esame delle delibere del 6 novembre 2001 e del 10.1.2002 (ricorso pag. 6) per far constare quanto contenuto nelle delibere suddette. Da esse (si combinano l’ultima parte della prima e il testo della terza pagina della seconda delibera) si evince invece che venne constatata la “mancanza di tabelle millesimali di ripartizione delle spese” e deliberato di incaricare un tecnico di provvedervi, cioè proprio la condotta che il ricorso erroneamente rimprovera (sempre all’inizio di pag. 6) al Condominio di non aver tenuto.
Il riparto venne quindi deliberato in via provvisoria, adattando per quanto possibile la tabella della palazzina N nell’ottica non di violare il disposto normativo, ma di ottemperarvi, poiché esso fa gravare su tutti i comproprietari – e quindi anche su chi sino ad allora era stato di fatto estraneo (ma non in forza, di un precedente deliberato unanime) – le spese condominiali. Giova infatti ricordare che la mancanza di tabelle millesimali applicabili in relazione alla spesa effettuata consente all’assemblea di adottare, a titolo di acconto e salvo conguaglio, tabelle provvisorie (Cass. 24670/06; 8505/05).
Pienamente consapevole della sua qualità e dell’assenza di tabelle definitive – non poteva infatti ignorare di essere condomino in quanto comproprietario del seminterrato posto nello stabile – il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la delibera con la quale venne reso esecutivo il riparto comunicatogli dall’amministratore. Sin dalla data di ricevimento della richiesta di pagamento (datata 11 gennaio 2002), la quale faceva espresso riferimento a quanto deliberato nell’allegato verbale di assemblea del 10.1.2002, che doveva – a quel punto – diligentemente procurarsi, era stato infatti messo in grado di conoscere l’esistenza della deliberazione e di valutare se fosse affetta da vizi che comportavano la nullità o errori di merito nel determinare la pretesa.
I giudici di merito, nel ritenere tardiva e inammissibile ogni doglianza fondata sulla impugnazione del riparto fondato sul criterio provvisorio, hanno quindi fatto corretta applicazione della normativa vigente, conforme alla dinamica interpretativa che, con i poteri correttivi e integrativi della Corte, è stata qui delineata.
Resta pertanto affermato il seguente principio di diritto:
La delibera assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ., relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese condominiali, ove, in mancanza di tabelle millesimali del condominio, adotti un criterio provvisorio, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 cod. civ., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137, ultimo comma, cod. civ..
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 800 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
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