La massima
1. La sospensione necessaria del giudizio amministrativo, in ragione della pendenza di un giudizio penale, di per sé deroga al principio fondamentale, introdotto con il nuovo processo penale, della reciproca autonomia e del parallelismo dei due accertamenti giurisdizionali, i quali operano in ambiti diversi e con finalità differenti. Di conseguenza, essa può essere possibile soltanto se la definizione del giudizio amministrativo ineliminabilmente “dipenda” (come dispone l’art. 295 c.p.c.) da quella del giudizio penale, in quanto ne sia vincolata in modo esclusivo, diretto e consequenziale, e comunque deve essere disposta sulla base di una accezione restrittiva dei presupposti su cui si fonda proprio perché la sospensione rappresenta un’eccezione al principio generale dell’autonomia dei giudizi che ormai informa l’intera giurisdizione.
2. L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete. L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo.
3. La consistenza delle opere accertate deve intendersi provata sino a querela di falso, giacché i verbali in questione hanno natura di atti pubblici e sono assistiti dalla particolare efficacia probatoria tipica di tale categoria documentale.
4. La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato.
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE IV
SENTENZA 20 dicembre 2013, n.6151
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3222 del 2010, proposto da:
Magnifica RE s.r.l., Francesco Gennai, Andrea Gennai, Giovanna Vincenzi, rappresentati e difesi dall’avv. Duccio M. Traina, con domicilio eletto presso Duccio M. Traina in Roma, via G. Carducci, 4;
contro
Comune di Firenze, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Visciola, Annalisa Minucci, Maria Athena Lorizio, Francesca De Santis, con domicilio eletto presso Maria Athena Lorizio in Roma, via Dora, 1;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE III n. 00556/2010, resa tra le parti, concernente DECADENZA PERMESSO DI COSTRUIRE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Firenze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2013 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Paoletti, per delega dell’Avv. Traina, e Lorizio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I signori Francesco e Andrea Gennai e la signora Giovanna Vincenzi erano proprietari pro quota di un complesso immobiliare a Firenze, costituito da due distinti corpi di fabbrica (c.d. fabbricato A, adibito a uffici e a magazzino, e fabbricato B, adibito a soli uffici), separati da un resede scoperto, utilizzato come parcheggio e come luogo per il carico e lo scarico di materiali relativi all’attività commerciale esercitata da una società di loro pertinenza.
In data 8 febbraio 2007, essi hanno chiesto al Comune il rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un progetto di sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso commerciale e ricostruzione ad uso residenziale (fabbricato A), oltre risanamento conservativo del corpo edilizio adiacente (fabbricato B).
Il successivo 28 giugno, l’Amministrazione comunale ha rilasciato il permesso di costruire n. 119/2007.
In data 28 novembre 2007, i proprietari hanno stipulato un contratto preliminare di compravendita per la cessione del compendio immobiliare con la società Magnifica RE s.r.l., immettendola nel possesso – quanto al fabbricato B – entro e non oltre il 28 febbraio 2008, al fine di permettere il tempestivo inizio dell’attività edilizia autorizzata dal permesso, e rinviando l’immissione nel possesso della parte residua alla stipula del contratto definitivo.
La Società – autorizzata a ritirare il titolo edilizio e a dare avvio ai lavori – ha stipulato un contratto di appalto e posto in essere alcuni adempimenti preliminari.
Il 26 giugno 2008 la Società ha dato notizia al Comune dell’avvenuto inizio dell’attività.
Dopo la presentazione di un esposto da parte di alcuni cittadini e all’esito di una ricognizione esterna e di un sopralluogo, svoltisi il 4 e il 5 settembre 2008 ad opera della Polizia municipale – nucleo edilizia, che ne sono seguiti, il Comune – sulla premessa del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale dalla data del rilascio del permesso di costruire – ne ha pronunziato la decadenza con provvedimento del 4 febbraio 2009.
Il provvedimento è stato contestato dagli interessati, che ne hanno chiesto l’annullamento con ricorso al Tribunale territoriale.
A seguito di una rinnovata verifica dello stato dei luoghi (14 luglio 2009), il Comune, in data 25 agosto 2009, ha reiterato il provvedimento di decadenza, che le parti private hanno impugnato con motivi aggiunti.
Con sentenza 26 febbraio 2010, n. 556, il T.A.R. per la Toscana, sez. III, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce della nuova determinazione comunale, e ha respinto nel merito i motivi aggiunti.
Gli originari ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.
L’appello ripropone i motivi aggiunti proposti nel giudizio di primo grado.
1. Il Comune avrebbe omesso di rilevare parte dei lavori effettuati sul fabbricato B ed erroneamente ritenuto inidonei a evitare la decadenza quelli accertati (riguardanti il pavimento, alcuni muri, il controsoffitto e alcune porte). Ciò, nel presupposto che tali lavori non sarebbero riconducibili, né direttamente né indirettamente, all’opera assentita (realizzazione di finestra) e non avrebbero rispetto a questa carattere di strumentalità: non potrebbero pertanto integrare l’inizio dei lavori necessario a impedire la decadenza del titolo abilitativo.
In realtà, seppure le tavole progettuali prevedessero come unica variazione dello stato di fatto preesistente l’apertura di un vano finestra, il permesso richiamerebbe un intervento di risanamento conservativo. Tale circostanza legittimerebbe il compimento di una serie di lavori non comportanti modifiche alla distribuzione degli spazi interni, non individuabili nelle tavole grafiche, ma sicuramente riconducibili all’intervento conservativo e, in quanto effettivamente iniziati, del tutto idonei a evitare la decadenza del permesso di costruire.
D’altronde, anche a ritenere che i lavori ricordati non rientrassero nel perimetro del permesso poi decaduto, essi manifesterebbero comunque la chiara volontà del titolare di dare ad esso attuazione, trattandosi di interventi suscettibili di essere realizzati solo in virtù di tale titolo abilitativo senza necessità di approvazione di una previa variante. Nel caso di specie, si tratterebbe di interventi che non comporterebbero la sospensione dei lavori e che dunque – ai sensi dell’art. 83, commi 12 e 13, della legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (nel testo all’epoca vigente) – sarebbero legittimamente effettuabili come variante in corso d’opera, con il solo obbligo di deposito dello stato finale dell’opera come effettivamente realizzata.
2. I lavori realizzati prima della scadenza del termine di legge, considerate le dimensioni molto limitate dell’intervento progettato (risanamento conservativo), sarebbero stati più che sufficienti a impedire la decadenza del titolo, che peraltro l’Amministrazione avrebbe pronunziato dapprima, e reiterato poi, a notevole distanza di tempo dai primi accertamenti compiuti.
In contrario, il T.A.R. avrebbe affermato che, secondo le risultanze dei sopralluoghi, la prima cantierizzazione sarebbe avvenuta nell’ultima settimana di agosto; tale accertamento, contenuto in un atto pubblico facente prova fino a querela di falso, non potrebbe essere superato dai documenti di parte citati dai ricorrenti; la tardività della dichiarazione di decadenza sarebbe irrilevante, per trattarsi di un atto ricognitivo e vincolato ex lege.
In ciò, la sentenza impugnata sarebbe perplessa e comunque inutile se intendesse far riferimento all’intempestivo inizio dei lavori nel fabbricato A, che non viene in contestazione; sarebbe comunque sufficiente l’avvio delle opere nel fabbricato B, posto che l’intervento costruttivo, seppur articolato in una pluralità di edifici, avrebbe carattere unitario, come anche attesterebbe l’unicità del titolo autorizzatorio.
La pretesa tardività dei lavori, se riferita al fabbricato B, sarebbe invece un’affermazione radicalmente errata e del tutto priva di prova. In disparte la questione generale dei limiti entro i quali i rapporti redatti dai pubblici ufficiali fanno piena prova, la ritenuta tardività, nel caso di specie, non sarebbe stata verificata direttamente dalla Polizia municipale, ma deriverebbe da imprecisate “informazioni assunte”. Ne deriverebbe l’inesistenza di qualunque efficacia fidefaciente e l’idoneità del materiale offerto dai privati (documentazione fotografica, giornale dei lavori, dichiarazioni) a confutare le conclusioni cui l’Amministrazione è pervenuta.
Quanto, poi, al lungo intervallo di tempo intercorso fra l’accertamento e il provvedimento, gli appellanti richiamano la giurisprudenza secondo cui la perdita di efficacia del permesso di costruire sarebbe esplicazione di una potestà provvedimentale e avrebbe carattere costitutivo: il ritardo, nella concreta vicenda, avrebbe leso il legittimo affidamento dei privati.
In conclusione, la distinzione tra lavori avviati al solo scopo di eludere il termine di decadenza e interventi espressione di un effettivo intento edificatorio sarebbe da porsi non in astratto, ma in concreto. Nel caso controverso, i lavori, dopo essere stati tempestivamente e adeguatamente avviati sul fabbricato B, sarebbero subito dopo iniziati anche sul fabbricato A e sarebbero proseguiti sino al momento dell’intervento comunale. Tutte circostanze queste che, valutate nel loro complesso, non consentirebbero di dubitare dell’effettivo intendimento degli originari ricorrenti di realizzare le opere assentite.
Nell’insistere sulla richiesta di misure cautelari, gli appellanti rilevano di non poter più chiedere un nuovo permesso di costruire, giacché le varianti apportate al P.R.G. della Città imporrebbero una radicale ristrutturazione del progetto e l’adozione di un piano di recupero.
Il Comune di Firenze, costituitosi in giudizio per resistere all’appello, ha in un secondo tempo depositato una memoria, nella quale:
riassume la complessiva vicenda, sottolineando come il progetto edilizio avesse quale contenuto sostanziale il solo fabbricato A. Tale caratteristica emergerebbe già dalla relazione di accompagnamento al progetto. Non a caso, il permesso di costruire poi rilasciato aveva a proprio dichiarato oggetto la demolizione di fabbricato ad uso commerciale e ricostruzione ad uso residenziale;
ricorda che, in data 20 aprile 2009, la Società appellante avesse presentato domanda per il rilascio di un nuovo permesso di costruire (con riguardo a un progetto lievemente difforme da quello precedente), domanda di cui la Società medesima aveva poi chiesto l’annullamento, comunicando la propria intenzione di voler coltivare unicamente il progetto originario;
espone caratteristiche e finalità della nuova disciplina urbanistica adottata dall’Amministrazione comunale, motivata in linea generale dall’obiettivo di evitare interventi di densificazione edilizia in lotti posti all’interno di isolati già densamente edificati. Ne sarebbe conseguito un limite di altezza (7 metri) per gli interventi di sostituzione edilizia progettati all’interno di un isolato, a fronte di un progetto della società Magnifica RE che avrebbe previsto un nuovo edificio di 12 metri di altezza, con una copertura pressoché totale della superficie del lotto;
nel merito, aderisce alle considerazioni del T.A.R. e si oppone ai motivi dell’appello;
infine, richiama il progetto di variante in corso d’opera, presentato dalla Società, che, per le sue caratteristiche, avrebbe comportato necessariamente la sospensione dei lavori.
La domanda cautelare degli appellanti è stata accolta dalla Sezione con ordinanza 5 maggio 2010, n. 2033.
Approssimandosi la discussione del ricorso, le parti hanno depositato memorie.
Il Comune informa che la Magnifica RE avrebbe portato a termine l’intervento edilizio, trasmettendo in data 14 novembre 2011 la comunicazione di fine lavori e depositando la pratica di abitabilità per il fabbricato A e due successive S.C.I.A. per il fabbricato B. Depositando documenti, richiama inoltre l’avvenuta emissione di decreto di citazione a giudizio penale nei confronti di alcuni dirigenti e collaboratori della Società, per l’asserita falsità delle dichiarazioni rese circa l’avvio e la successiva conclusione dei lavori in questione, oltre che per fatti relativi ad abusi edilizi. Contrariamente a quanto affermato nell’appello, le opere realizzate nell’edificio B differirebbero in modo sostanziale dal progetto precedente e avrebbero carattere evidentemente abusivo: da ciò la comunicazione alla Procura della Repubblica e, come detto, l’avvio dell’azione penale.
Gli appellanti contestano l’ammissibilità – ex art. 104, comma 2, c.p.a. – dei nuovi documenti depositati dal Comune e ne affermano comunque l’irrilevanza, in quanto eventi successivi che non potrebbero spiegare alcun effetto sulla legittimità dei provvedimenti impugnati.
Con successiva memoria di replica, gli appellanti rilevano che i fatti oggetto del giudizio penale, richiamato dal Comune, avrebbero una diretta incidenza sulla controversia amministrativa, nella misura in cui riguarderebbero l’accertamento dell’effettivo inizio dei lavori contestati.
Ferma restando la richiesta di accoglimento dell’appello, chiedono pertanto, in via gradata:
la sospensione del presente giudizio ai sensi degli artt. 79 c.p.a. e 295 c.p.c., sino alla definizione del processo penale con sentenza irrevocabile;
il rinvio della discussione o la cancellazione della causa dal ruolo, in modo di poter tenere conto almeno delle prove raccolte nel giudizio penale di primo grado;
l’ammissione di prova per testi, articolandone i capitoli.
Anche il Comune, che contesta l’inammissibilità dei documenti, dedotta dalla controparte, ha depositato una memoria di replica.
All’udienza pubblica del 5 novembre 2013, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Secondo l’art. 15, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. testo unico dell’edilizia), “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita …”.
Conforme è la normativa specifica del Comune di Firenze (art. 6 ter del regolamento edilizio).
Qui, appunto, sta il nocciolo della presente controversia, nella quale si discute sull’an, il quando e il quantum dei lavori avviati dalla società Magnifica RE sull’area oggetto del permesso di costruire, di cui il Comune ha dichiarato la decadenza.
In sintesi, il Comune giustifica i provvedimenti adottati sulla base dei risultati di due sopralluoghi svolti dalla Polizia municipale, ai quali la Società contrappone le dichiarazioni giurate rilasciate da alcuni suoi dirigenti e collaboratori.
2. A tale proposito, nasce una questione preliminare. Poiché, in relazione all’asserita falsità di queste dichiarazioni, è stata promossa l’azione penale, la Società appellante chiede innanzi tutto – ai sensi dell’art. 79 c.p.a. e 295 c.p.c. – la sospensione del giudizio amministrativo sino alla definizione del procedimento penale.
La richiesta non può essere accolta.
A norma dell’art. 295 c.p.c., cui l’art. 79 c.p.a. fa rinvio, “il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.
Nel riesaminare a fondo la questione generale, anche alla luce degli orientamenti più recenti della Corte di cassazione (si veda, in specie, ss. uu. 26 gennaio 2011, n. 1768), la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pervenuta alla conclusione (del tutto condivisibile) secondo cui la sospensione necessaria del giudizio amministrativo in ragione della pendenza di un giudizio penale di per sé deroga al principio fondamentale, introdotto con il nuovo processo penale, della reciproca autonomia e del parallelismo dei due accertamenti giurisdizionali, i quali operano in ambiti diversi e con finalità differenti. Di conseguenza, essa può essere possibile soltanto se la definizione del giudizio amministrativo ineliminabilmente – per l’appunto – ‘dipenda’ (come dispone l’art. 295 c.p.c.) da quella del giudizio penale, in quanto ne sia vincolata in modo esclusivo, diretto e consequenziale, e comunque deve essere disposta sulla base di una accezione restrittiva dei presupposti su cui si fonda proprio perché la sospensione rappresenta un’eccezione al principio generale dell’autonomia dei giudizi che ormai informa l’intera giurisdizione (cfr. da ultimo sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386, ove anche un più ampio quadro ricostruttivo e riferimenti ulteriori).
Nel caso di specie, il Collegio non ritiene sussistere un così stretto rapporto di pregiudizialità, nel senso che, già sulla base del materiale documentale acquisito agli atti, è possibile definire la controversia, senza che sia necessario attendere l’esito del giudizio penale e senza che neppure occorra – come chiede, in via subordinata, la Società appellante – poter valutare le prove raccolte nel primo grado del giudizio penale medesimo né disporre prova testimoniale.
3. Per costante giurisprudenza, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete. L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2004, n. 7748; Id., sez. IV, 15 aprile 2013, n. 2027, ove riferimenti ulteriori).
Secondo la relazione descrittiva, compilata dopo la ricognizione esterna e il sopralluogo del 4 e 5 settembre 2008, le opere rilevate sarebbero consistite “nella rimozione degli infissi interni, esterni e smontaggio dei controsoffitti”.
Non è ben chiaro se le opere indicate si riferiscano al fabbricato A o al fabbricato B. Tuttavia, per quanto emerge dal verbale dell’accertamento del 14 luglio 2009, nel corso del precedente sopralluogo – secondo le dichiarazioni del signor Ciucchi (coordinatore della sicurezza), del geometra Sequi (direttore dei lavori) e del signor Ferraro (titolare dell’impresa edile appaltatrice) – sarebbe stato impossibile accedere all’edificio B. L’esito dell’ispezione nei termini sopra riferiti, pertanto, sembra piuttosto riferirsi all’edificio A, posto che l’edificio B appare essere stato ispezionato solo dall’esterno e che nessuna dichiarazione risulta essere stata fatta e verbalizzata circa pretesi lavori compiuti nell’edificio B medesimo.
Quanto a quest’ultimo, la relazione del 2009 attesta che, mentre il permesso di costruire prevedeva solo l’apertura di un ulteriore vano finestra, tale opera non sarebbe stata ancora eseguita.
Nei termini che precedono, dunque, è stato l’esito dell’accertamento disposto dall’Amministrazione comunale.
Il verbale del 2008 aggiunge che le opere elencate sarebbero state compiute “successivamente alla prima cantierizzazione e cioè a fine agosto – primi di settembre”. La circostanza risulterebbe “da informazioni assunte”.
Il dato temporale emerge de relato e – come correttamente, sotto tale profilo, osserva l’appello – non è assistito da alcuna particolare forza probatoria. Invece la consistenza delle opere accertate, come descritta nelle relazioni, deve intendersi provata sino a querela di falso, giacché i verbali in questione hanno natura di atti pubblici e sono assistiti dalla particolare efficacia probatoria tipica di tale categoria documentale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2011, n. 3683; Id., sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703).
4. In ragione della natura complessiva dell’intervento assentito (il progetto – si ripete – prevedeva una sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso commerciale e ricostruzione ad uso residenziale, oltre risanamento conservativo del corpo edilizio adiacente, ed è dettagliatamente illustrato nella relazione tecnica che accompagna la domanda di permesso), le opere accertate – anche data per ammessa la loro avvenuta esecuzione entro la data di scadenza dell’efficacia del titolo – appaiono del tutto marginali e volte solo a impedire in limine la decadenza del titolo stesso, comunque non idonee a questo scopo.
Sotto tale profilo, non è neppure dirimente accertare se esse si riferiscano all’edificio A (come sostiene il Comune) o all’edificio B (come vogliono gli appellanti). Ché anzi, se fosse vera la tesi (che al Collegio sembra meno plausibile) secondo cui i lavori compiuti avrebbero riguardato il fabbricato B, ne seguirebbe ancor più la loro sostanziale irrilevanza, posto il ruolo del tutto marginale che l’intervento su tale edificio svolgeva nell’ambito dell’operazione edilizia, unitariamente considerata.
L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori spettanti all’Amministrazione comunale. Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno (si veda più ampiamente Cons. Stato, sez. IV, n. 2017 del 2013, cit.).
Non c’è dubbio che una pluralità di fattori abbia impedito il reale avvio delle opere nel termine prescritto; essi sono ricordati nelle dichiarazioni riferite nel verbale del 2008 (tardivo rilascio dell’immobile da parte degli occupanti, problematiche inerenti la scarsa tenuta della rampa di collegamento tra la via pubblica e il resede, mancata acquisizione della deroga per i rumori).
Queste circostanze obiettive avrebbero potuto forse anche giustificare la proroga del termine per l’inizio dei lavori (come prevede l’art. 15, comma 2, secondo periodo, t.u., e l’art. 6 quinquies del regolamento edilizio); ma la proroga non risulta accordata e nemmeno richiesta, cosicché essi non possono produrre alcuna giustificazione circa il mancato rispetto del termine di legge.
5. Quanto, infine, all’intervallo di tempo tra l’accertamento e la dichiarazione di decadenza, che l’appello censura come eccessivo, esso non appare comunque tale, alla luce della scansione temporale della vicenda (come detto più volte, il primo accertamento è del settembre 2008; il primo provvedimento di decadenza del febbraio 2009; l’ispezione è ripetuta nel luglio 2009 e la decadenza reiterata nell’agosto successivo). Peraltro, anche in disparte il rilievo che precede, il Collegio esprime convinta adesione all’orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente, secondo cui la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2011, n. 5028; Id., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 974; Id., sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2915). Lo scarto temporale lamentato dalla Società appellante, quindi, rimane comunque irrilevante sul piano della disciplina giuridica della vicenda.
6. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.
Ogni altro motivo o eccezione non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Considerata la complessità – anche in punto di fatto – della vicenda, il Collegio ritiene che sussistano giustificate ragioni per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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