Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  26 novembre 2013, n. 26423

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26.07-8.09.2005 il Tribunale di Catania pronunciava la separazione personale dei coniugi R..R. e D.R. , fissando in Euro 1.032,00, oltre rivalutazione annuale e con decorrenza dal marzo 2001, l’assegno mensile che il D. doveva versare mensilmente alla moglie a titolo di mantenimento. Rigettava inoltre le reciproche domande di addebito della separazione, in quanto non era stata neppure richiesta alcuna prova conducente sul punto, nonché le originarie pretese della ricorrente di assegnazione della casa coniugale e di contributo per il mantenimento delle due figlie, oramai maggiorenni ed economicamente autosufficienti.
Il D. impugnava la sentenza di primo grado, insistendo nella domanda di addebito a carico della moglie, da sempre a suo dire affetta da problemi psichici e disturbi della personalità, e responsabile della frattura coniugale per avere reso “letteralmente impossibile la vita non solo al marito ma anche alle figlie…”.
Contestava, inoltre, di dovere contribuire al mantenimento della moglie, attesa la modestia dell’effettivo tenore di vita al quale, comunque, aveva contribuito pure la R. , che aveva sempre lavorato. Inoltre, evidenziava che la donna, nel corso del giudizio, aveva venduto un appartamento ricavandone Euro 80.000,00, si era impossessata di una somma di Euro 26.500,00 depositata in banca ed aveva in via esclusiva goduto della casa coniugale, ivi anche convivendo con altro uomo. Egli, invece, che, comunque, non aveva svolto tutte le attività che gli erano state attribuite su mera indicazione della moglie, aveva visto diminuire notevolmente il proprio reddito, e viveva con l’aiuto della madre e dei congiunti.
Con sentenza del 3-16-06.2009 la Corte di appello di Catania, in parziale accoglimento del gravame proposto dal D. , riduceva ad Euro 800,00 mensili, oltre rivalutazione in base Istat, l’assegno da lui dovuto a decorrere dalla domanda, per il mantenimento della moglie, respingendo gli ulteriori motivi dell’impugnazione e ponendo a carico dell’appellante il 50% delle spese del grado, compensate per la residua parte. La Corte territoriale osservava e riteneva che:
– era rimasta del tutto sfornita di riscontro probatorio la reiterata domanda dell’appellante, di addebito della separazione a carico della R. , fondata sulla relazione extraconiugale da lei intrattenuta ma rimasta meramente enunciata, nonché su evidenziati disturbi psichici della moglie, dalla stessa non negati ma attribuiti all’estremo disagio causatole dalle tensioni coniugali e dal comportamento del marito;
– nel corso della quasi trentennale vita coniugale, la fonte di sostentamento della famiglia era stata rappresentata dalle attività del D. , ambulante a XXXXXXX, commerciante nel settore dei prodotti per capelli ed arredi per parrucchieri; titolare della “TRICO DERM” avente ad oggetto “cura e chirurgia della calvizie”, come da esibito biglietto da visita; presidente del consiglio direttivo del “C.E.A.” (Centro Europeo Artigiani), scuola per la formazione di artigiani parrucchieri, consigliere del consorzio “Traicapelli” avente ad oggetto produzione, distribuzione e vendita di prodotti per parrucchieri; tutte emergenze rispetto alle quali le smentite dell’appellante, che aveva negato recisamente ogni redditività di dette attività, risultavano evidentemente incredibili, non spiegandosi, altrimenti, la stessa ragione di essere delle intraprese iniziative, e, comunque, contraddette da un complessivo tenore di vita di un certo agio desumibile in via indiziaria da una serie di circostanze: nel corso del matrimonio il D. aveva acquistato, in regime di comunione, la casa coniugale; un monolocale e magazzino (poi adibito a ufficio e deposito), oltre ad un appartamento bivani, che risultava venduto, nel 2003, dalla R. per il prezzo dichiarato di Euro 33.100,00.

Ancora, era emerso che le figlie avevano frequentato una scuola privata per la quale era stata pagata una retta di notevole importo; che nel 2000 l’appellante aveva acquistato in contanti un’autovettura Toyota coupé (cilindrata 1794) per la cifra di L. 1.500.000; inoltre aveva disposto di depositi bancari, aveva effettuato investimenti monetari ed aveva conti correnti.

Appariva, allora, del tutto inverosimile la improvvisa e del tutto immotivata cessazione dell’attività di piccolo imprenditore, nel luglio 2006, che il D. aveva inteso documentare con visura della Camera di Commercio di Catania, ed inattendibili le dichiarazioni di redditi pari a zero (in particolare, documentazione fiscale prodotta, relativa agli anni solari dal 2002 al 2005), laddove, viceversa, rilevava che lo stesso era soggetto munito di qualificata professionalità ed in condizioni di salute e di età (59 anni) assolutamente consone ad una inalterata attitudine lavorativa. Viceversa, la donna, nei quasi trenta anni di convivenza, si era dedicata in via assolutamente predominante alla cura delle figlie e dell’intero nucleo familiare; era emerso, infatti, che aveva lavorato in un passato ormai remoto (stando alle annotazioni sul libretto di lavoro, solo due volte, nel ’67 e nel ’71), prima del matrimonio, e solo occasionalmente e per breve periodo nel corso della convivenza, a suo stesso dire, come collaboratrice del marito nell’attività della suddetta CEA e come procacciatrice di affari, venditrice a domicilio per la società “Golden Products”. Ormai, per età (58 anni), per mancanza di qualsiasi qualificazione professionale e per condizioni di salute la R. appariva priva di adeguata e concreta capacità lavorativa. Peraltro irrilevante, era la circostanza relativa ad introiti derivanti dalla vendita di immobili comuni, spettando una cifra pari a ciascun coniuge;
– tuttavia, tenuto conto del complesso dei dati sopra indicati e del godimento, da parte della R. , dell’abitazione familiare, di proprietà comune, e della presumibile disponibilità di risorse complessive da parte del D. al di là della rappresentazione fiscale di comodo, pareva adeguato determinare in Euro 800,00 mensili l’ammontare dell’assegno di mantenimento, con decorrenza dalla domanda (marzo 2001), potendosi intendere implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella avanzata domanda di revoca quella di riduzione dell’assegno di mantenimento.
Avverso questa sentenza notificata il 17.07.2009, il D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato l’8.10.2009 alla R. , che non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il D. denunzia:
1. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 143 e 151 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in relazione alla mancata pronuncia sulla addebitabilità della separazione”.
Formula il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis “Se nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale, laddove sia stata avanzata richiesta di addebito, per il raggiungimento della prova sulla sussistenza di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali, tali da rendere la convivenza intollerabile, posti in essere da uno dei coniugi, il giudice di merito possa e debba tener conto anche dei comportamenti ostili manifestati nei confronti degli altri familiari (segnatamente i figli), nonché dei comportamenti tenuti in corso di giudizio per poter addivenire ad una pronuncia sull’addebitabilità della separazione”.
Il motivo è inammissibile sia per genericità del quesito, implicante un generico interrogativo, privo di qualsiasi specificità rispetto al caso deciso dalla Corte distrettuale ed alle esposte ragioni del negato addebito della separazione alla moglie, e sia per mancata formulazione della prescritta sintesi, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
2. “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 156 c.c. nonché in relazione all’art. 2729 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5. c.p.c. in relazione alla determinazione dell’assegno di mantenimento”.
Formula il seguente quesito “Se il Giudice della separazione, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge richiedente, per stabilire le effettive condizioni economiche e la situazione reddittuale del coniuge obbligato a fronte di quanto risulta dalla documentazione fiscale prodotta ed in mancanza di altri elementi certi, possa e debba avvalersi delle indagini della polizia tributaria e non fondare la propria decisione su presunzioni quando le stesse non risultano gravi, precise e concordanti”.
Il motivo non ha pregio.
In aderenza al dettato normativo i giudici d’appello hanno confermato il diritto della R. all’assegno di mantenimento e quantificato la relativa entità, puntualmente verificando anche il tenore della vita coniugale, le condizioni personali ed economiche dei coniugi, l’inadeguatezza delle condizioni di lei e le circostanze del caso, ivi compresa la durata del matrimonio, il tutto irreprensibilmente valutando le risultanze probatorie e valorizzando come fonti di presunzioni emersi elementi di fatto, nel rispetto dei principi che regolano la prova presuntiva. D’altra parte l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, non è doveroso ma rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che ben può non darvi corso a fronte dell’apprezzata sufficienza dei dati istruttori acquisiti.
Relativamente, invece, ai dedotti vizi motivazionali le censure si rivelano inammissibili
per assenza della prescritta sintesi dei rilievi.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità in ragione del relativo esito e del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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