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La massima

L’inammissibilità genetica dell’impugnazione per difetto di specificità o manifesta infondatezza delle censure, non consentendo il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione, interdice la possibilità di far valere o rilevare d’ufficio la causa estintiva maturata nelle more della trattazione del ricorso per cassazione.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza del 19 giugno 2013, n. 26666

…omissis…

.1 In particolare, con statuizione conforme a quanto già esposto dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha evidenziato come l’imputato avesse personalmente avanzato istanza per ottenere il rilascio della carta di soggiorno, allegandovi il certificato unico rilasciato alla moglie dal di lei datore di lavoro, documento quindi in suo possesso, recante l’indicazione di un importo complessivo per reddito da lavoro dipendente di circa tre volte superiore a quello risultante dagli accertamenti condotti presso l’Agenzia delle Entrate di Licata e quindi da ritenersi materialmente falso. Ha quindi attribuito la confezione di tale certificato all’attività o all’istigazione del ricorrente in quanto unico soggetto interessato a far apparire esistenti i requisiti reddituali, necessari per conseguire il rilascio della carta di soggiorno, escludendo del pari che plausibile interesse potesse aver avuto il datore di lavoro al rilascio di un documento per redditi superiori a quelli realmente erogati, per di più difforme da quelli presentati all’I.N.P.S. ed agli uffici finanziari, ragione per la quale è stato ritenuto superfluo procedere a perizia grafologica per accertare l’autenticità o meno della sottoscrizione presente sul documento in contestazione.

1.2 A tali ragionevoli ed argomentati rilievi il ricorrente oppone una possibile, ma meramente ipotetica, ricostruzione alternativa circa l’interesse del datore di lavoro a presentare all’ente previdenziale un certificato esponente redditi inferiori al corrisposto per versare minori oneri contributivi; in tal modo prospetta una mera illazione, priva di certo supporto dimostrativo, che, come tale, non può nemmeno essere presa in seria considerazione in questa fase di legittimità e che risulta anche smentita dalla circostanza che i redditi in misura inferiore a quanto riportato nel “cud” contraffatto erano stati indicati anche all’Ufficio delle Entrate e non soltanto all’I.N.P.S., come risulta dalla sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella di appello. E’ quindi logicamente insostenibile che lo stesso imprenditore possa avere volontariamente rilasciato due copie o due originali di contenuto differente dello stesso documento, destinati ad essere esibiti a pubbliche amministrazioni diverse, in grado di avvedersi della loro difformità mediante un banale ed usuale controllo incrociato.

2. In ordine alla questione, prospettata in via subordinata, dell’intervenuta estinzione del reato per prescrizione, premesso che effettivamente, secondo quanto già rilevato anche dal primo giudice, la data di commissione dell’illecito va stabilita nel momento di presentazione dell’istanza per il rilascio della carta di soggiorno, ossia al 17 aprile 2004, il termine massimo di sette anni e mezzo, stabilito a norma della vigente formulazione dell’art. 157 cod. pen., in quanto più favorevole all’imputato rispetto al regime in vigore al momento della consumazione del reato, sarebbe venuto a scadenza il 17 ottobre 2011 e non nel 2012 come erroneamente riportato nel ricorso. Il procedimento ha però subito i seguenti periodi di sospensione: dal 17.1.2011 al 1.2.2012 ex art. 132 disp. att. cod. proc. pen., per un anno e quattordici giorni; dall’1.2.2012 al 7.3.2012 e dal 14.5.2012 al 5.10.2012 per ragioni di salute del difensore e dal 7.3.2012 al 14-5-2012 per ragioni di salute dell’imputato, per un periodo complessivo di anni uno, mesi sei, giorni quattordici, il che ha comportato la proroga per il corrispondente lasso di tempo del termine massimo di prescrizione con la sua scadenza nel maggio 2013, dopo comunque la pronuncia della sentenza impugnata.

2.1 Infine, va rilevato però che l’inammissibilità del principale motivo di ricorso per le ragioni già esposte impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione: come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’inammissibilità genetica dell’impugnazione per difetto di specificità o manifesta infondatezza delle censure, non consentendo il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione, interdice la possibilità di far valere o rilevare d’ufficio la causa estintiva maturata nelle more della trattazione del ricorso per cassazione (Cass. S.U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266; S.U. n. 33542 del 27/6/2001, Cavalera, rv. 219531, S.U. n. 23428 del 22/3/2005, Bracale, rv.231164).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013

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